Vicolo di Sant’Andrea 9
di Manuela Faccon
Feltrinelli, febbraio 2023
pp. 274
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Cercava le parole, ma non le venivano. Tutti quegli anni in poche frasi. (p. 12)
Padova, 1958. Teresa lavora come
portinaia presso un palazzo signorile del centro e la sua vita sembra scorrere tranquilla
tra faccende domestiche, spese al mercato e chiacchiere in cortile, ma, dietro
quell’apparente normalità, cela un segreto che brucia da più di quindici anni.
La storia inizia nel 1943: Teresa è la domestica dei Levi; una famiglia ebrea,
nella quale ha trovato una seconda casa, dove tutti i membri la considerano
come una figlia e una sorella ed è stata proprio la Signora Levi, infatti, a
trasmetterle l’amore per i libri e per lettura. Le deportazioni e i
rastrellamenti però erano alle porte anche di Padova e, così un giorno, mentre
tornava dal mercato, la famiglia Levi è stata caricata su una camionetta e portata
via. Ed è proprio vero che a volte è solo una questione di secondi perché in
quel frangente, poco prima di salire, la Signora Levi ha affidato a Teresa il suo
bene più prezioso: il piccolo Amos di appena qualche settimana.
È qui, in quell’attimo, che la
vita di Teresa cambierà per sempre: se prima era una giovane innamorata e
spensierata nonostante il clima bellico, ora, con il piccolo Amos, le responsabilità
le cadranno addosso. Non può abbandonare il bambino: lo deve tenere al sicuro
dai rastrellamenti. Grazie al sostanzioso, e non banale, sostegno della
famiglia, cercherà di salvarlo dalla persecuzione fascista, ma una soffiata
svelerà il segreto. Dopo averla arrestata, Teresa è rinchiusa in manicomio e Amos le sarà
portato via.
La assalì una fitta di nostalgia per il tempo lontano e spensierato in cui era stata soltanto una ragazzina romantica che sognava un futuro insieme a Gianni, una famiglia, dei bambini. (p. 209)
L’esistenza quindi di Teresa,
prima dentro l’ospedale e poi una volta uscita, è segnata dalla ricerca quasi
ossessiva del bambino, di cui, anche dopo la fine della guerra, sembra si siano perse le tracce. La protagonista non avrà pace finché non saprà che fine abbia fatto Amos. Il
segreto e l’onore per l’impegno saranno le molle necessarie per far sì che non
si arrenda, tanto da accettare anche lavori umilianti, pur di venir a capo
della verità e di scrollarsi quel peso dall’anima in primis per il bambino e poi per se stessa ,perché a ogni costo «doveva
[…] ritrovarsi. E per riuscirci dove prima trovare Amos, tenere fede alla
promessa fatta a una madre disperata» (p. 125).
Manuela Faccon, ispirandosi a
storie famigliari e a ricordi d’infanzia (il personaggio di Teresa è, infatti,
ispirato alla zia dell’autrice), ci racconta una storia dal grande potenziale
narrativo che, una volta terminata la lettura, lascia numerosi spunti di
riflessioni su cui soffermarsi: dai rastrellamenti fascisti, alla malattia
mentale sfruttata come strumento politico fino agli anni del Dopoguerra. Tuttavia
la poca incisività del personaggio di Teresa, sospesa perennemente tra
ripensamenti e sensi di colpa («e come sempre, di fronte a un dolore o
a un dispiacere, si ritrovò a concludere di esserselo meritato», p.
180) , mi ha lasciato qualche dubbio. Ed è un grande peccato, perché Vicolo di Sant’Andrea 9 avrebbe le tutte
le carte in regola per trasportare il lettore in una storia d’altri tempi, tempi che, alla fine, non sono nemmeno tanto lontani dai nostri e, forse, sarebbe stato
interessante approfondire maggiormente certi filoni narrativi, come, ad
esempio, l’atteggiamento della popolazione nei confronti dei comandanti
fascisti nel Dopoguerra - nella storia si accenna velocemente a un tentativo di
denuncia da parte della protagonista - o il ricovero di Teresa in manicomio, del
quale, invece, carpiamo poco, così come si fa solo un cenno alle condizioni delle degenti nell’ospedale
psichiatrico. Nonostante queste mie impressioni, l’autrice ci racconta una storia intima sui sacrifici di una
madre che ha consacrato la vita alla ricerca del suo bambino e, nel farlo, mostra
quanto un solo attimo possa cambiare la vita per sempre.
Per tutti quegli anni aveva tenuto i ricordi sotto chiave, ma adesso tornavano prepotentemente a galla, incluso quello della mattina in cui lei gli era stata portata via per non fare mai più ritorno. (p. 115)