Sull'isola
di Federico Baccomo
Mondadori, gennaio 2023
pp. 332
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Marta è una donna in fuga. O meglio, tecnicamente il suo è un semplice viaggio di lavoro. Ma mentre chiude il trolley e si appresta ad attendere l'ascensore, dopo un fugace bacio di saluto al marito Eugenio, Marta si rende conto che più di ogni cosa vuole mettere spazio e tempo tra lei e quella vita, tra lei e quell'uomo, tanto amato, ma negli ultimi mesi diventato quasi un peso, un bambino da accudire, un uomo depresso dopo un grosso scivolone professionale.
Marta ha detto una piccola bugia, ha anticipato la partenza per arrivare prima di tutti, per starsene un po' da sola su quell'isola greca, Aglaia (inutile cercarla sulle mappe), dove di lì a qualche giorno lo studio di architettura per il quale lavora parteciperà a un'importantissima gara di assegnazione lavori: archistar internazionali hanno presentato fior di progetti per cambiare volto all'isola e trasformarla in un resort di lusso. Lei e il suo capo hanno presentato il progetto di una clinica di chirurgia estetica all'avanguardia. La posta in palio è altissima, ne va del suo futuro professionale. Ma prima di quel giorno Marta vuole rimanere con se stessa, desidera mettere ordine tra i pezzi della sua vita o semplicemente anela a un po' di riposo. Dirigendosi al gate dell'aeroporto le cade l'occhio su una cesta di vecchi libri a 2€, Marta non è mai stata una grande lettrice, ma un volume la colpisce: la copertina rappresenta una donna che sta correndo giù da un sentiero a rotta di collo e, cosa buffa e inquietante, sembra proprio lei in una fotografia da bambina. Stessa postura, stessa espressione. Incuriosita, lo acquista e in aereo inizia la lettura.
L'arrivo sull'isola non è dei migliori, un burbero barcaiolo la lascia al porto, sola, e nessuno dall'albergo viene a prenderla. L'isola di Aglaia è sferzata da pioggia e vento (dimenticatevi il sole della Grecia, per i giorni a venire sarà così) e la prima impressione che suscita è cupa e un po' sinistra. Cominciano così i tre giorni che cambieranno per sempre la vita di Marta.
Il romanzo mette in scena precisamente quel momento in cui una donna prende coscienza della deriva che apaticamente sta subendo la propria vita e sente in sé un click che le impone di riprenderne le redini (che poi questa consapevolezza debba per forza passare dal sesso fa parte un po' della visione maschile delle cose... ma è certamente funzionale al racconto).
Fuori stagione, fra un temporale e l'altro, mentre l'albergo è quasi in disuso (in attesa dell'arrivo delle delegazioni, il desk non aveva annotato il suo arrivo anticipato), Marta, passeggiando verso il faro dove sorgerà la famosa clinica, conosce Roman, un ragazzo strano, silenzioso, enigmatico. Quasi incurante della presenza della donna, che lo osserva da lontano, il giovane, di fronte al mare, sta impilando pietre di ogni misura a formare quelle torri perfettamente armoniche, in equilibrio quasi impossibile che è facile incontrare in quei luoghi dove il paesaggio porta a riflettere. L'incontro tra i due, che ha in sé qualcosa di magico e senza tempo, qualcosa di favoloso, di romanzesco, non sarà l'unico. Senza troppi giri di parole, il lettore è portato già a immaginare cosa possa accadere fra Marta e Roman.
Marta non è sola però; ad accompagnare le sue mosse in questi giorni c'é una compagna di carta, Diana, la protagonista del libro comprato quasi casualmente in aeroporto. L'autore, tal Orazio Guttieri (inutile cercarlo), con una prosa ampollosa, ridondante e antica, narra di un breve adulterio, una fiammata d'amore che lega Diana, donna sposata, a Elia, giovane conosciuto per caso in campagna, sotto i tralci di una vite. Da qui in poi Marta scoprirà con curiosità, stupore e incredulità che la storia del libro ricalcherà in presa diretta gli stessi avvenimenti che lei vivrà. Quasi come una profezia.
Baccomo si diverte un mondo a scrivere le pagine parallele del feuilleton, che potrebbe sembrare tardo ottocentesco, inerpicandosi su quella retorica magniloquente. Mettendo a confronto due modi di raccontare la stessa vicenda. Un espediente certamente interessante, ma che, a mio parere, corre il rischio di rallentare e raffreddare il ritmo della narrazione. Che, invece, nelle altre parti risulta molto più dinamico e coinvolgente. Federico Baccomo scrive per il cinema, il teatro e la televisione. E si vede. La descrizione di quest'isola (che non c'è) è talmente vivida che par di camminare con Marta su quelle rocce, sentirsi addosso gli spruzzi del mare rabbioso e incapricciato, essere colpiti in faccia dal vento autunnale.
E anche l'accelerazione impressa al racconto man mano che prosegue fa parte di una solida capacità di scrittura per immagini: se le prime 200 pagine hanno un andamento cadenzato e regolare, quasi lento, le successive si accavallano, rotolano via, si impennano. In un climax perfettamente studiato. E mentre tutta la prima parte risente fortemente del pensiero autoriferito di Marta (la narrazione ruota tutto intorno al sé, al cambiamento che la sta investendo, alle sensazioni nuove che sta provando, ai ricordi che diventano rese dei conti, ai pensieri mutevoli che la scuotono, ai dubbi che la lacerano), gli avvenimenti di tutta la seconda parte succedono imprevisti prendendo piacevolmente in contropiede il lettore.
Sa bene che è azzardato affermarlo ora, sono certezze che si rafforzano solo con il senno di poi, ma sente con micidiale limpidezza che c'è stata una Marta prima di Aglaia e ci sarà una Marta dopo Aglaia. La cesura è netta, e al futuro sarà concesso solo di mettere in evidenza i contorni della seconda rispetto alla prima. (p. 277)
Nel tirare le somme della propria vita e nel piantare i paletti per il futuro, Marta, sull'isola e nel giro di questa manciata di giorni, ha modo di confrontarsi con tre uomini: Eugenio, il marito distante, che sente la sua mancanza tardi, forse troppo tardi; Roman, il ragazzo che le fa girare la testa; e Jacopo Cardopane, il suo capo, l'archistar tronfia ed egocentrica, marpione quanto basta, la cui stella professionale ultimamente si è un po' offuscata. E, detto tra noi, il genere maschile non ci fa una gran bella figura... vedrete. Cercando di sopravvivere ai soprusi, psicologici, amorosi, sessuali e professionali, Marta si imporrà pensieri, decisioni e azioni. E agirà.
È sulla soglia di un territorio inesplorato, che ha sempre creduto inaccessibile. Tra le mille emozioni che si agitano in lei, è lo stupore a dominare. Lo stupore che aveva dimenticato, rimasto in fondo agli anni più giovani, quando i sentimenti, più che consolare, sconvolgevano. (p. 159)
Interessante, nella parte finale, diventa anche il gioco dei ruoli tra vittima e carnefice. Chi è che cosa? E il lettore da che parte è portato a stare?
Calandosi psicologicamente nei panni di una donna messa alla prova nei suoi affetti più cari, nel suo orgoglio professionale, nel suo appeal verso l'altro sesso, Federico Baccomo coglie l'attimo in cui, scrollandosi di dosso una crisalide troppo a lungo subita, Marta diventa farfalla e si riprende il suo destino. Quel che è certo è che Marta «è arrivata sull'isola come una donna in fuga e come una donna in fuga si prepara ad andarsene» (p. 316).
Sabrina Miglio
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