Questo #EditoriInAscolto vi propone il racconto dell'esperienza presso la fiera del libro Testo, tenutasi a Firenze dal 24 al 26 febbraio, secondo una delle redattrici di CriticaLetteraria: una visita che si è concentrata in particolare sulla proposta di una casa editrice (e non solo, come vedremo)...
Oramai anche il lettore più casuale se ne sarà accorto: il panorama editoriale contemporaneo diventa ogni giorno più magmatico. I prodotti più diversi iniziano a fondersi e confondersi, tra riviste, almanacchi, inserti: e se da una parte questa continua rinnovazione può essere interpretata come un segnale di salute del mondo culturale italiano, dall’altra diventa sempre più facile perdersi tra questo florilegio di novità, non sempre caratterizzate dalla qualità della proposta. Per questo è quantomai importante in questo periodo storico volgerci all’indietro e andare a vedere le origini della cultura che ci circonda, la tradizione da cui sono nate queste forme così diverse; specie nel caso in cui queste tradizioni siano vivissime ancora oggi. Stiamo parlando della rivista Il Mulino, che non solo è attiva dal 1951, più di settant’anni, ma è addirittura nata prima dell’omonima casa editrice, che tutti conosciamo come una delle realtà più attive nel mondo della saggistica e della varia.
È proprio questa
lunghissima storia, strettamente avvinta alla storia della casa editrice, che il
Mulino ha voluto raccontare, presentandosi all’ultima edizione di Testo, la
fiera dell’editoria fiorentina, con una proposta particolare, atta a rivelare
la propria doppia anima: la rivista Il Mulino era il centro della proposta
dello stand, e il titolo di ogni numero uscito negli ultimi anni, secondo la
cadenza trimestrale della rivista, ha costituito lo spunto per creare sette percorsi
di saggistica che guidassero il lettore o la lettrice all’interno del catalogo
della casa editrice, ciascuno secondo le proprie inclinazioni, dall’intelligenza
artificiale all’antropocene, dalla democrazia al concetto di confine. Il numero
“La vocazione intellettuale”, che ha aperto il 2022 della rivista, ha subito
catturato la mia attenzione, e così hanno fatto anche i titoli del suo percorso,
che, tra Solo i folli cambieranno il mondo di Lamberto Maffei e Le
alternative non esistono di Claudio Giunta, puntavano a decostruire l’idea
che abbiamo oggi di intellettuale, lasciando campo libero a formulazioni nuove.
Insomma, una saggistica di altissimo livello, che però sa dimostrarsi
estremamente personale e sentita: i tipici libri che ti fanno dire “ma sembra
proprio scritto per me!”.
Ma qual è stata
dunque la lunga strada che dal 1951 ha portato il Mulino ad essere quello che è
oggi? Lo abbiamo chiesto a Bruno Simili, vicedirettore della rivista Il Mulino,
che ha accettato di essere intervistato per noi. Tutto nasce proprio con la rivista,
ci dice: nel 1951, a pochi anni dal conflitto mondiale, nasce un “foglio
universitario” fondato da “giovani ex compagni di liceo” che si danno il nome
di Il Mulino. Un titolo umile, che Simili sottolinea essere ispirato da Il
mulino del Po, il romanzo di Riccardo Bacchelli; ma è anche un titolo che
dimostra una volontà di “macinare idee” e crearne di nuove, senza schierarsi con
nessuna fazione. Nel 1954, come conseguenza dell’aggregazione culturale fatta
nascere dalla rivista, si iniziano a pubblicare i primi libri: editoria come
esigenza culturale, dunque, in un processo che si pone radicalmente diverso,
anzi, letteralmente inverso rispetto alle necessità dell’editoria contemporanea,
sempre alla ricerca di lettori! E l’anima della rivista è rimasta la stessa
ancora oggi, in un momento in cui l’interesse per le riviste è diventato quasi sfrenato,
e molte case editrici corrono a pubblicare la propria. Il Mulino, che
ancora una volta si pone in netta controtendenza, essendo invece nato proprio
come rivista, ha saputo però abitare le varie fasi e scenari culturali a cui ha
assistito nel corso dei decenni. Interrogato su come la rivista ha saputo modificarsi,
Simili ci parla dell’interessante equilibrio tra cartaceo e digitale – il Mulino
oggi ha anche un sito web su cui gli articoli escono a cadenza più frequente –,
ma anche delle varie iniziative e convegni organizzati dalla rivista, nonché
anche del processo di composizione del comitato, che per statuto basa su
cariche a tempo determinato di tre anni, consentendo un’incredibile pluralità
di voci in continuo rinnovamento. Un comitato che si distingue proprio per la
sua pluralità: attinge dal gruppo degli associati ma non solo, dal mondo dell’accademia
ma non solo, e al momento consta di una larga percentuale femminile.
Gli stessi argomenti
vengono ripresi qualche ora dopo, quando, tra i numerosi eventi che hanno luogo
dentro la Stazione Leopolda in questo weekend di febbraio, ce n’è uno che si
distingue: il tema della rassegna è “Come si fa un libro”, ma stavolta Mario
Ricciardi, direttore della rivista Il Mulino, sul palco assieme a Rossella
Ghigi e Eleonora Landini, si chiede qualcos’altro: come si fa una rivista? La
risposta è chiara: con gli equilibri, con le commistioni, con le novità. Sono
molti gli equilibri che vengono in mente sentendo la presentazione: l’equilibrio
tra mille tipi di idee diverse, macinate e mescolate fino a renderle qualcosa
di nuovo; l’equilibrio di presente e passato, secondo la “tradizione della
traduzione” di cui ci parla Ricciardi dal palco; la commistione di due elementi
chiari fin nel sottotitolo della rivista, cioè la cultura e la politica, fatti
comunicare finché non si rivelano come assai più interconnessi di quanto sembrerebbe
a un primo sguardo. Non è forse questo il ruolo della cultura - scoprire le interconnessioni, rompere gli equilibri certi per stabilirne di nuovi?
Marta Olivi