Bisogna raccontare la verità, perché questa è molto più di una storia sulla Chiesa cattolica e gli ebrei: è, più in generale, una storia di uomini, narrata in modi diversi, in luoghi e tempi altrettanto diversi, ma spesso ripetuta. È la storia di una religione potente o di una comunità potente, convinta di essere, per decreto divino, detentrice della Verità e depositaria di tutto ciò che è buono, e di una minoranza disprezzata, il Diverso, l’agente del Demonio. (p. 29)
La Chiesa, tra i vari scandali più o meno recenti, ha favorito l’antisemitismo moderno, quello - per intenderci - che è stato alla base dell’Olocausto. Nel suo libro, Kertzer, rivela i segreti più turpi del Vaticano gelosamente tenuti nei secoli lontani da occhi curiosi, sigillati negli archivi vaticani. La chiesa cattolica romana si è nascosta dietro la ragione più strettamente religiosa dell’antigiudaismo, ma, in realtà, come mostrano documenti e testimonianze incontrovertibili, ha contribuito a seminare un odio profondo verso gli ebrei, in vario modo, dalla segregazione forzata nei ghetti tenuti in condizioni disumane, al battesimo coatto, al distintivo giallo da portare obbligatoriamente per chi fosse ebreo, alle torture ed impiccagioni. Ciò che impressiona è che non stiamo parlando di eventi accaduti in epoca medievale, ma ancora nell’Ottocento! Lo stesso Tribunale dell’Inquisizione, creato in epoca controriformistica, esiste ancora anche se ha cambiato nome ed i suoi poteri sono ormai solo simbolici.
L’opera I papi contro gli ebrei è un poderoso lavoro di ricerca e ricostruzione storica, permesso grazie all’apertura degli Archivi segreti Vaticani (nelle note ho appreso che si possono consultare, autorizzati, fino ad oggi quelli che arrivano fino al pontificato di Pio XII, quindi al 1958) che copre circa 125 anni di fitta documentazione, tra carteggi, relazioni, articoli di periodici cattolici, etc.
Il libro si divide in tre parti: nella prima l’autore affronta le radici dell’antisemitismo della Chiesa a partire dal 1555 con Pio IV che per primo decreta la separazione tra cristiani ed ebrei, che verranno confinati in appositi ghetti, nella periferia della città, privandoli della libertà di potersi spostare senza regolare autorizzazione, perché essi «dovevano essere tenuti in quarantena per non infettare la popolazione cristiana» (p. 35) e con la bolla Cum nimis absurdum
annullava tutti i precedenti privilegi, proibiva agli ebrei di svolgere altra occupazione che non fosse quella di cenciaioli e di possedere case e terreni e ordinava che fossero confinati in un ghetto. In conseguenza dell’editto pontificale, furono costruiti ghetti nella città degli stati pontifici che ospitavano comunità ebraiche, i cui membri furono costretti a vivere in alloggi soffocanti, circondati da mura che li separavano dalla popolazione cristiana. Il ghetto di Roma era situato in una zona della città sulle rive del Tevere, poco salubre e soggetta ad inondazioni. (p. 36)
La ricerca di Kertzer prosegue, nella prima parte, fino a Pio IX - al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti - e la fine del pontificato del quale coincide con quella dell’era dello strapotere della Chiesa e della “cattività” ebraica: è emblematico l’episodio ben ricostruito, attraverso i documenti degli Archivi segreti del Vaticano, di Edgardo Mortara, un bambino ebreo di sei anni che viene strappato dalla braccia del padre e che non fa più ritorno alla sua famiglia di origine, poiché erano giunte voci di un suo presunto battesimo nascosto e quindi, agli occhi del pontefice, il piccino era un cristiano a tutti gli effetti e non avrebbe più potuto stare a contatto coi suoi familiari, ebrei recidivi che si rifiutavano di convertirsi e di risiedere presso la casa dei catecumeni (fondata da Paolo III nel 1543, allo scopo di perfezionare la conversione dei deicidi). Se qualche secolo prima questi soprusi “a fin di bene” - secondo la Chiesa - erano accettati dalla popolazione cristiana e anche dagli Stati del vecchio Continente, all’indomani dell’Unità d’Italia «il dominio papale era un anacronismo e non aveva alcun motivo di esistere nella seconda metà del XIX secolo» (p. 141). Di lì a poco tempo al pontefice non rimarrà che Roma e il territorio circostante: la presenza di un Stato teocratico nel cuore della penisola ha comunque rallentato, o quanto meno, reso tortuoso il processo di Unità del nostro Paese.
«Agli ebrei eterni fanciulloni, insolenti, caparbii, sporchi, ladri, bugiardi, ignoranti, seccatori e flagello dei vicini e dei lontani, fu conceduta non già una troppa ma sola quella libertà che hanno gli altri. Subito ne abusarono per impedire quella degli altri, impossessandosi, non si sa come, della fortuna pubblica, quasi ormai comandandolo soli non solo col danaro accaparrato ormai tutto nelle loro mani, ma colla stessa autorità legale loro venuta anch’essa col resto in mano nei Paesi dove è loro permesso di esercitarla di qualsiasi grado». Ma continuava padre Oreglia, nonostante tutto gli ebrei avevano l’audacia di lamentarsi di essere perseguitati «al primo grido di un qualsiasi che levi la voce contro questa invasione vandalica di una razza nemica ed ostile al cristianesimo ed alla società generale» (p. 155)
Questo è un estratto di un articolo risalente al 1880: lo scopo di questi periodici era quello di convincere le persone che gli ebrei andavano di nuovo tenuti separati dai cristiani e spesso facevano uso della parola “razza”, in maniera - è evidente - non innocente.
Lo stesso Oreglia, ora lanciava violente tirate antisemite ora scriveva articoli pieni di amore e compassione per loro. Il principio che stava ed è sempre stato alla base di questi messaggi “di apertura” della Chiesa verso il popolo deicida consiste nella convinzione del papa e del clero cattolico che con il battesimo un qualsiasi ebreo si sarebbe redento. Insomma, in qualche modo “la macchia” si sarebbe potuta cancellare, d’altronde lo stesso Cristo era ebreo. Ma, al varcare la soglia del secolo XX, un altro presunto “peccato” aggravava la fedina penale degli ebrei: la Massoneria.
Nel 1893, il gesuita padre Saverio Rondina, in un articolo intitolato La morale giudaica (apparso sempre su «La civiltà cattolica») elencava le più turpi azioni commesse dagli ebrei, e non trascura di dire che
chi oggi dirige la politica è la borsa, e questa è in mano ai giudei; chi governa, è la Massoneria, e anche questa è diretta da’ giudei; chi volge e rivolge a suo senno l’opinione pubblica, è la Stampa, e questa altresì è in gran parte ispirata e sussidiata da’ giudei. (p. 165)
Testimonianze di disprezzo per gli ebrei, di insinuazioni di vampirismo perdurate fino ad un’epoca relativamente recente, di accuse di emanare un terribile odore, caratteristica della loro pelle giudaica che neppure il battesimo può estinguere, ingiurie, confessioni estorte sotto torture agghiaccianti: il libro di Kertzer è disseminato di questi elementi che hanno in qualche modo indicato la strada dell’Olocausto. Nella terza parte, intitolata, appunto, La vigilia dell’Olocausto - più breve rispetto alle precedenti -l’autore ricostruisce il lavoro dei papi e dei loro instancabili segretari di Stato, in particolare di monsignor Achille Ratti che da prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana diventa emissario papale in Polonia: proprio lui, una volta eletto pontefice con il nome di Pio XI, dirigerà «la risposta della Chiesa al sorgere del fascismo in Italia e del nazismo in Germania». (p. 276)
Non meno dure sono state le politiche di altri Stati europei, alcuni addirittura teatro di spietati pogrom. L’autore, nella metà della seconda parte del libro, ricostruisce anche la basi dell’antisemitismo moderno in Paesi come la Francia, l’Austria, la Polonia, indicandone i fautori più attivi: scoprirete che tra questi ci sono moltissimi protestanti convinti che l’ebreo sia il nemico da abbattere, la fonte di ogni male. Fortunatamente
Non tutto il panorama europeo era così desolante, perché c’erano membri del clero cattolico profondamente spaventati dall’ incessante identificazione della Chiesa con l’antisemitismo e particolarmente disgustati dai suoi aspetti più rozzi, come le ricorrenti accuse di omicidio rituale rivolte agli ebrei. (p. 306)
A Roma era stata, infatti, formata un’associazione nel 1926 chiamata «Gli amici di Israele» che contava tanti membri tra preti, vescovi e cardinali, che propugnavano, previo cambiamento di alcuni atteggiamenti della Chiesa verso gli ebrei, l’importanza della conversioni di questi ultimi. Come si può facilmente intuire, l’associazione venne messa a tacere, dichiarata sciolta e le spiegazioni vennero opportunamente fornite da Enrico Rosa, fervente sostenitore delle idee della Santa Sede, in un articolo apparso sempre su «La civiltà cattolica»:
Non c’è dubbio che gli organizzatori degli «Amici di Israele» avessero cominciato prefissandosi un obiettivo lodevole, cioè la conversione degli ebrei. Sfortunatamente i loro sforzi erano rapidamente degenerati in qualcosa di completamente diverso. […] La Chiesa doveva proteggersi «con eguale diligenza, dall’altro estremo non meno pericoloso e anche più seducente sotto l’aspetto di bene». Questo era appunto l’estremo rappresentato dagli «Amici di Israele». (pp. 307-308)
I buoni cattolici, insomma, nulla potevano - si leggeva nel periodico più volte citato - agli ebrei non era concesso di avere parità di diritti come i cittadini di uno Stato, in quanto erano i nemici, non soltanto dei cristiani, ma di una intera nazione. In virtù di questo principio, la Chiesa non si è opposta, o lo ha fatto blandamente, alle leggi razziali emanate dal regime fascista italiano, macchiandosi di colpe imperdonabili.
Marianna Inserra
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