Un frammento alla volta. Dieci lezioni dall’archeologia
Proprio come ognuno di noi lascia qualcosa di sé nelle cose che ha fatto e nelle persone che ha incontrato e proseguiranno il cammino, il passato non muore e non passa del tutto: lascia tracce di sé che gettano lampi di luce su avvenimenti e processi accaduti nel corso di un lungo arco di tempo e che da quel tempo sono stati in parte cancellati o offuscati. Quella luce può illuminare sviluppi e momenti cruciali nella vita delle società umane, permettendoci di capire i perché e i per come oggi siamo come siamo. Il riferimento a quel passato, se vogliamo conoscere noi stessi, non può e non deve passare e svanire, come qualcosa di morto che non ci riguarda più, esattamente come non passare e non può passare la memoria delle persone che abbiamo amato e che hanno contato nella nostra vita, segnandone anche la storia e il destino. (p. 17)
Immagine dall’inserto fotografico del libro |
In archeologia, la prova sta nella coerenza di tutti i dati che riusciamo a ricavare dai frammenti recuperati e sui quali costruiamo le nostre ipotesi, e nella non contraddizione tra le varie informazioni ottenute. Solo così possiamo dare legittimità a quella parte del processo cognitivo che deve necessariamente ricorrere all’immaginazione. (p. 77)
Il libro Un frammento alla volta è diviso in dieci capitoli, «dieci lezioni dall’archeologia» che partono dell’origine della famiglia, dalla divisione dei ruoli in comunità estese che gettano il seme delle disuguaglianze e del potere, alla rivoluzione urbana e le sue conseguenze. Un’opera circolare che si chiude ad anello: l’autrice parte con un discorso più riflessivo sul valore dell’archeologia e termina con un altro capitolo dello stesso tenore in cui tira le somme sugli esiti e sull’importanza dello studio storico della Mesopotamia, quell’«area del mondo di fenomeni cruciali, come la nascita dell’agricoltura, delle città e dello stato» (p. 11). La Mesopotamia campeggia indiscussa nel lavoro di ricostruzione storica: gli studi storici e archeologici affermano che la famiglia come entità base autonoma e di produzione non è sempre esistita, ma ha avuto origine con la rivoluzione neolitica, per la precisione nel cosiddetto Neolitico Preceramico B (collocabile tra l’8500 e il 7000 a.C.), in quell’area chiamata da tempo immemore “Mezzaluna fertile” e che comprende parte dell’Iran nord occidentale, la Turchia meridionale e prosegue a ovest fino al Libano.
Immagine tratta dall’inserto fotografico del libro |
La nascita dell’agricoltura - perno della rivoluzione neolitica - l’allevamento prima di ovini e poi bovini e suini, cambia la visione del mondo dell’uomo del tempo, se così si può dire, perché costringe a «programmare in modo nuovo e diverso la vita quotidiana e la gestione delle risorse» (p. 45): si passa alla vita sedentaria, alla formazione di primi villaggi, alla necessità di coinvolgere più persone nella stagione del raccolto e della conservazione di prodotti agro-pastorali. Non cambia solamente la vita materiale, ma anche le relazioni. È proprio in questo momento che la famiglia diventa unità produttiva e di consumo e i legami parentali diventano determinanti. In tutto ciò il fattore ambiente è stato decisivo per la strutturazione delle prime società: rispetto all’Anatolia e alla Mesopotamia settentrionale dove la produttività della terra non richiede importanti attività di coordinamento e di amministrazione dei beni alimentari, permettendo così la formazione di una società egalitaria, nella Mesopotamia meridionale, la terra offre diverse condizioni e potenzialità agricole e ciò ha permesso la formazione di famiglie estese, ben strutturate nei ruoli e nelle gerarchie. Proprio in quest’area sono stati costruiti i primi templi, segnale quindi di forme di culto e di qualche forma di prestigio e di potere.
All’interno del libro c’è una sezione illustrata che raccoglie una serie di foto che mostrano le testimonianze della civiltà del palazzo di Arslantepe, dove la nostra studiosa ha riportato alla luce tantissimi sigilli e cretulae, ossia dei grumi di argilla su cui veniva apposto il sigillo per chiudere dei contenitori di beni alimentari in modo riconoscibile dai membri di quella determinata comunità o villaggio. L’uso delle cretulae, dapprima utilizzato nelle società egalitarie della Mesopotamia settentrionale (Siria, Iraq settentrionale) - rientranti in quella che gli archeologi hanno chiamato «cultura di Halaf» - , a contatto con le società gerarchizzate e complesse delle aree meridionali, divenne strumento per una «gestione diseguale delle risorse economiche nelle mani di pochi» (p. 84). I sistemi più complessi e verticizzati della Bassa Mesopotamia soppiantarono le antiche società egalitarie: le case passarono dalla struttura circolare a quella rettangolare, con più stanze, tra cui un magazzino per le scorte alimentari, vennero costruiti templi e istituiti rituali complessi, il potere passò nelle mani dei privilegiati. Anche le ceramiche e i sigilli divennero più elaborati e vennero realizzati oggetti di lusso che arricchivano i corredi funerari delle famiglie potenti. Le antiche comunità della Mesopotamia partono da situazioni di partenza diverse, ma finiscono poi anche quelle più semplici, per accogliere al loro interno le disuguaglianze sociali: dove si dividono i ruoli, per sopraggiunta necessità di amministrare i beni prima gestiti in comune, si creano situazioni di potere e di comando.
Vari tipi di disuguaglianze sono dunque nati in diversi contesti ambientali e sociali e hanno avuto esiti e ripercussioni molto differenti sullo sviluppo successivo delle società, dei loto sistemi politici più o meno centralizzati e di diversi tipi di economie più o meno accentratrici o volte al bene comune. Questi diversi sviluppi hanno sempre avuto precise radici nel loro passato, o meglio nei diversi passati che hanno dato forma a quelle società. (p.102)
Lungo questo viaggio, attraverso il quale Frangipane illustra i momenti principali di quelle aree e quelle società che hanno influenzato la civiltà di Arslantepe (la nascita dello Stato, la rivoluzione urbana, gli scambi con i popoli vicini, fino alla scoperta del sito e i primi scavi della professoressa Alba Palmieri), si apre in parallelo sempre una riflessione sul valore dell’archeologia e sull’importanza della memoria per comprendere il presente. Le ricerche storiche e archeologiche ci forniscono lezioni importanti per l’umanità: attraverso i frammenti e le rovine, la loro interpretazione e la ricostruzione della loro storia, l’uomo tocca con mano l’energia di quelli che sono venuti prima di lui, che millenni fa hanno dimostrato di saper resistere ai grandi cambiamenti, adattandosi a nuove situazioni e accogliendo sfide sempre nuove imposte dalla natura e dalle circostanze socio-ambientali.
Come ha scritto Truman Capote nel lontano 1948: «Hai mai sentito quello che dicono i saggi? Tutto il futuro esiste nel passato». (p. 47)
Marianna Inserra
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