Anche le rovine hanno un’anima. La fascinazione dell’archeologia nell’avvincente libro di Marcella Frangipane, pioniera della campagna di scavo ad Arslantepe, in Turchia


Un frammento alla volta. Dieci lezioni dall’archeologia
di Marcella Frangipane
Il Mulino edizioni, febbraio 2023

pp. 280
€ 18,00 (cartaceo)
€ 12,37 (eBook)


Quanti di voi, da piccoli, alla domanda «Cosa vuoi fare da grande?», hanno risposto «l’archeologo»? Poi avete finito per fare altro nella vita… succede. L’archeologo è proprio una di quelle figure che i bambini sognano di diventare da adulti: l’avventura, il viaggio, la fascinazione di quegli attrezzi magici che liberano oggetti preziosi dalla sabbia e dai detriti del tempo, il confrontarsi con civiltà perdute, la gioia di trovare i resti di una nuova specie di dinosauro!
Marcella Frangipane, nel suo affascinante libro Un frammento alla volta, confessa che invece lei non aveva le idee ben chiare neppure quando si è iscritta all’Università, ma la passione è scoppiata ex abrupto seguendo le lezioni di Paletnologia del professor Puglisi alla Sapienza di Roma. L’epifania scaturita da quel corso ha preso il cuore della nostra autrice, che nella prefazione ricorda con gratitudine e nostalgia i suoi professori che le hanno trasmesso la passione per l’archeologia.
Nel libro la studiosa ricostruisce un frammento alla volta la storia di Arslantepe, nella Turchia orientale, a una ventina di chilometri dall’Eufrate,  presso la piana di Malatya dove è stato scoperto un importante villaggio risalente al IV millennio: qui l’archeologa ha cominciato a lavorare dal 1976 e ha diretto i lavori di scavo per oltre trent’anni. Arslantepe è oggi patrimonio UNESCO e per la nostra è stato un vero e proprio laboratorio di ricostruzione storica, di ricerca, di lavoro di team e anche centro di legami affettivi nati dal lavoro insieme, di collaborazione improntata sul rispetto. È ad Arslantepe che Frangipane ha imparato il valore dell’archeologia nella sua accezione più profonda di “scienza globale” che coinvolge e collabora con più discipline specifiche (paleobotanica, etnologia, antropologia, geologia etc.), perché «scienza dell’uomo nel tempo» (p.37).
Proprio come ognuno di noi lascia qualcosa di sé nelle cose che ha fatto e nelle persone che ha incontrato e proseguiranno il cammino, il passato non muore e non passa del tutto: lascia tracce di sé che gettano lampi di luce su avvenimenti e processi accaduti nel corso di un lungo arco di tempo e che da quel tempo sono stati in parte cancellati o offuscati. Quella luce può illuminare sviluppi e momenti cruciali nella vita delle società umane, permettendoci di capire i perché e i per come oggi siamo come siamo. Il riferimento a quel passato, se vogliamo conoscere noi stessi, non può e non deve passare e svanire, come qualcosa di morto che non ci riguarda più, esattamente come non passare e non può passare la memoria delle persone che abbiamo amato e che hanno contato nella nostra vita, segnandone anche la storia e il destino. (p. 17)

Immagine dall’inserto fotografico del libro
Lavoro di ricostruzione storica quasi come dovere civico: studiare il passato, per spiegarci il presente. Ricomporre le tracce della storia, sommerse dalla fisicità dei detriti, coperte dalle stratificazioni  dei secoli per accorciare la distanza tra quel passato e l’epoca presente: in questa scienza occorrono non solo la preparazione e la motivazione, ma anche l’immaginazione e tanta curiosità. Questi ingredienti sono fondamentali: l’archeologia non è una scienza sperimentale, una “scienza dura”, non ha la possibilità di provare e comprovare le varie ipotesi formulate dai ricercatori.

In archeologia, la prova sta nella coerenza di tutti i dati che riusciamo a ricavare dai frammenti recuperati e sui quali costruiamo le nostre ipotesi, e nella non contraddizione tra le varie informazioni ottenute. Solo così possiamo dare legittimità a quella parte del processo cognitivo che deve necessariamente ricorrere all’immaginazione. (p. 77)

Il libro Un frammento alla volta è diviso in dieci capitoli, «dieci lezioni dall’archeologia» che partono dell’origine della famiglia, dalla divisione dei ruoli in comunità estese che gettano il seme delle disuguaglianze  e del potere, alla rivoluzione urbana e le sue conseguenze. Un’opera circolare che si chiude ad anello: l’autrice parte con un discorso più riflessivo sul valore dell’archeologia e termina con un altro capitolo dello stesso tenore in cui tira le somme sugli esiti e sull’importanza dello studio storico della Mesopotamia, quell’«area del mondo di fenomeni cruciali, come la nascita dell’agricoltura, delle città e dello stato» (p. 11). La Mesopotamia campeggia indiscussa nel lavoro di ricostruzione storica: gli studi storici e archeologici affermano che la famiglia come entità base autonoma e di produzione non è sempre esistita, ma ha avuto origine con la rivoluzione neolitica, per la precisione nel cosiddetto Neolitico Preceramico B (collocabile tra l’8500 e il 7000 a.C.), in quell’area chiamata da tempo immemore “Mezzaluna fertile” e che comprende parte dell’Iran nord occidentale, la Turchia meridionale e prosegue a ovest fino al Libano. 

Immagine tratta dall’inserto
fotografico del libro

La nascita dell’agricoltura - perno della rivoluzione neolitica - l’allevamento prima di ovini e poi bovini e suini, cambia la visione del mondo dell’uomo del tempo, se così si può dire, perché costringe a «programmare in modo nuovo e diverso la vita quotidiana e la gestione delle risorse» (p. 45): si passa alla vita sedentaria, alla formazione di primi villaggi, alla necessità di coinvolgere più persone nella stagione del raccolto e della conservazione di prodotti agro-pastorali. Non cambia solamente la vita materiale, ma anche le relazioni. È proprio in questo momento che la famiglia diventa unità produttiva e di consumo e i legami parentali diventano determinanti. In tutto ciò il fattore ambiente è stato decisivo per la strutturazione delle prime società: rispetto all’Anatolia e alla Mesopotamia settentrionale dove la produttività della terra non richiede importanti attività di coordinamento e di amministrazione dei beni alimentari, permettendo così la formazione di una società egalitaria, nella Mesopotamia meridionale, la terra offre diverse condizioni e potenzialità agricole e ciò ha permesso la formazione di famiglie estese, ben strutturate nei ruoli e nelle gerarchie. Proprio in quest’area sono stati costruiti i primi templi, segnale quindi di forme di culto e di qualche forma di prestigio e di potere.

All’interno del libro c’è una sezione illustrata che raccoglie una serie di foto che mostrano le testimonianze della civiltà del palazzo di Arslantepe, dove la nostra studiosa ha riportato alla luce tantissimi sigilli e cretulae, ossia dei grumi di argilla su cui veniva apposto il sigillo per chiudere dei contenitori di beni alimentari in modo riconoscibile dai membri di quella determinata comunità o villaggio. L’uso delle cretulae, dapprima utilizzato nelle società egalitarie della Mesopotamia settentrionale (Siria, Iraq settentrionale) - rientranti in quella che gli archeologi hanno chiamato «cultura di Halaf» - , a contatto con le società gerarchizzate e complesse delle aree meridionali, divenne strumento per una «gestione diseguale delle risorse economiche nelle mani di pochi» (p. 84). I sistemi più complessi e verticizzati della Bassa Mesopotamia soppiantarono le antiche società egalitarie: le case passarono dalla struttura circolare a quella rettangolare, con più stanze, tra cui un magazzino per le scorte alimentari, vennero costruiti templi e istituiti rituali complessi, il potere passò nelle mani dei privilegiati. Anche le ceramiche e i sigilli divennero più elaborati e vennero realizzati oggetti di lusso che arricchivano i corredi funerari delle famiglie potenti. Le antiche comunità della Mesopotamia partono da situazioni di partenza diverse, ma finiscono poi anche quelle più semplici, per accogliere al loro interno le disuguaglianze sociali: dove si dividono i ruoli, per sopraggiunta necessità di amministrare i beni prima gestiti in comune, si creano situazioni di potere e di comando.

Vari tipi di disuguaglianze sono dunque nati in diversi contesti ambientali e sociali e hanno avuto esiti e ripercussioni molto differenti sullo sviluppo successivo delle società, dei loto sistemi politici più o meno centralizzati e di diversi tipi di economie più o meno accentratrici o volte al bene comune. Questi diversi sviluppi hanno sempre avuto precise radici nel loro passato, o meglio nei diversi passati che hanno dato forma a quelle società. (p.102)

Lungo questo viaggio, attraverso il quale Frangipane illustra i momenti principali di quelle aree e quelle società che hanno influenzato la civiltà di Arslantepe (la nascita dello Stato, la rivoluzione urbana, gli scambi con i popoli vicini, fino alla scoperta del sito e i primi scavi della professoressa Alba Palmieri), si apre in parallelo sempre una riflessione sul valore dell’archeologia e sull’importanza della memoria per comprendere il presente. Le ricerche storiche e archeologiche ci forniscono lezioni importanti per l’umanità: attraverso i frammenti e le rovine, la loro interpretazione e la ricostruzione della loro storia, l’uomo tocca con mano l’energia di quelli che sono venuti prima di lui, che millenni fa hanno dimostrato di saper resistere ai grandi cambiamenti, adattandosi a nuove situazioni e accogliendo sfide sempre nuove imposte dalla natura e dalle circostanze socio-ambientali.

Come ha scritto Truman Capote nel lontano 1948: «Hai mai sentito quello che dicono i saggi? Tutto il futuro esiste nel passato». (p. 47)

Marianna Inserra