di Sheila Heti
ilSaggiatore, gennaio 2023
pp. 240
€ 18 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)
Un riflesso di luci verdi e rosse, di «piccole pietre lucenti di vetro colorato tenute insieme da una rete di ferro» (p. 33) di una lampada economica, ricade danzante e bellissimo sul volto di Mira, e sulle sue dita sottili ed eteree, incuriosite dall’armonia delle cose semplici e ignorate poiché anonime o passate di moda. Pare quasi di sentire in sottofondo arrivare le note del Favoloso mondo di Amélie di Yann Tiersen, laddove un negozio di lampade, l’attesa della fine del turno pomeridiano, e l’emozione di spegnere uno a uno i lumi stanchi uniscono il respiro inquisitore del lettore a quello della protagonista di Colore puro, scritto da Sheila Heti e vincitore del Governor General’s Literary Award in Fiction 2022.
Sono frammenti di fogli e numeri incollati qua e là in città che suggeriscono a Mira quale appartamento e quale lavoro accogliere nella sua nuova vita, quella lontana da casa, da suo padre, che l’ha portata a iscriversi all'Accademia Americana dei Critici Americani, quell’esistenza che guarda al futuro e alla costruzione del proprio ruolo pubblico e sociale. Eppure, nonostante la maestosità del titolo del piano di studi universitario, la vita delle giovani leve è scarna, precaria, annidata in case in affitto puzzolenti e ammuffite, dove persino le pagine dei libri marciscono. Essi sono un gruppo di ragazzi che si appartengono e si scrutano, semplicemente per aver scelto di essere futuri critici, e che non hanno intenzione di conoscere altri esseri umani al di fuori di quell’unione epidermica, di quella bolla di amicizie fatta di saluti e noncuranza. Solo una giovane donna, che abita sopra una libreria esoterica, Annie, spalanca la porta magica della vita di Mira. «Come si spiega la potenza di certi legami con le persone, e la debolezza di altri legami? [...] Con alcune persone capita che succedano troppe cose a livello emotivo, più di quante sia sensato se si tiene in considerazione la scarsità di quanto si è condiviso con queste persone che riescono a infiammare qualcosa in noi come nessun altro. Succede nei primissimi istanti in cui le si riconosce e poi la sensazione non va più via. Nessuna banalità è in grado di spegnere questo fuoco, e perciò, anche se le due persone non si dovessero rivedere mai più, il legame resterà per sempre» (pp. 48-49).
All’improvviso, tutti siamo Mira. Tutti ci riconosciamo in quel preciso istante perché ognuno di noi lo ha già vissuto o lo sta vivendo per la prima volta. E anche se per la protagonista quella sensazione «era come una vagina che si allargava per accogliere un pene enorme, solo che questo le succedeva all’altezza del petto, una parte del suo corpo che di solito teneva alla larga l’amore e che si preoccupava solo di proteggere gli organi interni» p. 48, in realtà quel primo incontro è profondamente trascendente, cosmogonico. Ora, Heti dona un nuovo aspetto alla vita essenziale di Mira: nessuna lascivia guida il desiderio della protagonista verso Annie, al contrario e inaspettatamente sono gli dei che in qualità di costruttori di strade collegano due cuori, due pezzi, due toraci. Tutto diventa indistinguibile, la verità è sempre più lontana, incomprensibile. Il lettore si muove a tentoni, e non ha altra scelta, adesso che persino le immaginarie e rassicuranti note di Yann Tiersen cessano, perché quelle piccole pietre lucenti di vetro colorato (l’amore per Annie) in verità si rivelano ostaggio di una robusta rete di ferro, metafora grigiastra del rapporto padre-figlia dove «il colore era rivolto verso l'interno. Il colore puro era introverso, come un animaletto timoroso» (p. 55).
Timore e introversione che esplodono in Mira con la morte del padre, quell’unico genitore che l’aveva sempre spronata a essere grande quanto la riva di un lago, a essere ambiziosa, e dimostrare agli altri quanto fosse capace. Tuttavia, la giovane donna ora sa che se fosse stata uno spirito più piccolo, delle dimensioni di una foglia, senza aspirazioni per il futuro, non si sarebbe allontanata dal padre, e probabilmente non avrebbe vissuto nel rimpianto e nella tristezza di un rapporto famigliare non goduto pienamente e con consapevolezza.
È proprio da questo istante che Colore puro si traveste da incontro inatteso e infruttuoso al prosieguo delle nostre vite, poiché impalpabile, indistinto, fuggevole e svantaggioso per il tempo che gli è stato dedicato. Eppure, una forza centripeta trascina il lettore in una sorta di Bibbia postmoderna portatrice di un messaggio universale, riconoscibile e svelatore, dunque detestabile per il solo fatto di impedire il giusto distacco da esperienze ordinarie e straordinarie come l’amore e la morte.
Le pagine si susseguono con parole e paragrafi spezzati, colme di elucubrazioni sull'esistenza di Dio e sull'evoluzione, su ciò che fu la prima bozza dell’esistenza (infanzia, adolescenza e vita adulta) e su ciò che sarà la seconda bozza dell'esistenza. «[...] A volte una persona è destinata ad andare avanti nel mondo tenendo a una certa distanza la persona amata, perché quella distanza serve per rendere tutto ancora più bello. Riuscire a trovare la giusta distanza da ogni cosa è la sfida più importante nella vita. Stare alla giusta distanza, come Dio che si allontana dalla tela: perché se sei troppo vicino non vedi niente, come non vedi niente se sei troppo lontano» (p. 168).
Sfida che sia Mira sia il lettore sono destinati a perdere miseramente. Ed è in questa totale presa di coscienza che risiede la forza e la credibilità di questo romanzo ascrivibile alle Nuove Avanguardie Letterarie.
Colore puro è un libro pieno di sofferenza, di dolore e di solitudine, che si interroga sul senso della vita, della morte e dell'amore tra persone che non sono legate da un rapporto di sangue. Mira e Sheila Heti credono nella creazione di una seconda bozza della vita, che sarà migliore perché tutti si ameranno a prescindere dalla procreazione: un'inquietante distopia che diviene utopia o viceversa?
Eppure per quanto tutto possa sembrare inintelligibile e a tratti assurdo, e dunque pretestuosamente profondo e psicologico, Colore puro, in realtà, abita la superficie delle cose, perché:
«Abbiamo completamente perso di vista la superficie delle cose, quanto è utile saper leggere la superficie, e quando proviamo a leggere quello che c'è sotto, semplicemente ce lo inventiamo» (p.159).
Olga Brandonisio