Un anno al vetriolo. Los Angeles Police Department, 1953 (LAPD ’53, 2015)
di James Ellroy (con Glynn Martin)
Edizioni ContrastoBooks, 2016
Traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini
pp. 208
€ 9,96 (cartaceo)
Del mio amore sconfinato per i noir di James Ellroy ho già parlato in altre occasioni, qui su Critica Letteraria e altrove. Autore eclettico e visionario, romanzi dalle trame stratificate, linee narrative fittamente interconnesse, protagonisti meravigliosamente imperfetti, stile narrativo brutale e diretto, insomma il maestro dell’hard boiled moderno per eccellenza. I lavori di Ellroy sono imponenti, spesso vanno oltre le cinquecento pagine, sono un mix perfetto di realtà e finzione, soprattutto sono storie perfettamente inserite nel contesto storico, politico e sociale statunitense del periodo cui si riferiscono.
Un anno al vetriolo, pubblicato in America nel 2015, è un libro diverso dal resto della produzione di Ellroy ma allo stesso tempo coerente e in linea con essa: è il risultato di una ricerca minuziosa e profonda, fatta negli archivi del Dipartimento di Polizia di Los Angeles insieme al direttore del Los Angeles Police Museum (sì, il LAPD ha addirittura un museo); raccoglie una serie di foto scattate sulle tante scene del crimine nel 1953 (l’anno in cui si svolge L.A. Confidential, fra l’altro), corredate dal testo nell’inconfondibile prosa ellroyana.
Fotografie drammatiche, violente, che riportano a un mondo in bianco e nero popolato da poliziotti rigorosamente bianchi e anglos, da rapinatori in giacca, cravatta e panama bianco, in cui risaltano le enormi auto dell’epoca e le altrettanto impressionanti dimensioni del materiale in uso ai fotografi della polizia. Bellissima, ad esempio, è la foto in cui si vede un tavolo disseminato di lampadine esauste usate per i flash delle enormi 6x6.
Il libro è il punto di arrivo di un progetto, elaborato da Ellroy qualche anno prima della pubblicazione, che aveva lo scopo di raccontare Los Angeles attraverso la storia del suo dipartimento di polizia, con il quale la città ha da sempre, nel bene e nel male, un legame a doppo filo. Lo stesso filo lega il LAPD allo stesso Ellroy, che con la polizia di quella città ha avuto un rapporto particolare, fin da quando, all’età di sei anni, viene informato dell’uccisione della madre, e poi durante un’adolescenza scompensata e un’età adulta ai margini della società, prima di rinascere, quasi per caso, come scrittore di successo: un percorso di vita che Ellroy racconta minuziosamente ne I miei luoghi oscuri, del 1996.
La narrazione che Ellroy fa della polizia di Los Angeles nei suoi lavori è sincera ed equidistante: non celebra eroi e non nasconde sotto il tappeto gli aspetti meno edificanti del modus operandi dei tutori della Legge: corruzione, razzismo, misoginia e violenza erano problemi che piagavano, allora ancor più di oggi, la polizia losangelina; tuttavia Ellroy non cade mai nel tranello di considerare uguali gli attori che stanno dalle due parti della barricata.
Il progetto su Los Angeles, scrivevo sopra: come tutti i progetti che si rispettino ha subito modifiche anche sostanziali in corso d’opera; come racconta Glynn Martin, direttore del Los Angeles Police Museum, che ha accompagnato Ellroy nel lavoro di ricerca e costruzione del libro, l’idea originale di raccogliere materiale fotografico relativo al periodo dal 1920 al 1970 circa ha cambiato direzione quando è emersa l’evidenza che il materiale iconografico datato 1953 era soverchiante rispetto a qualsiasi altro periodo, sia per quantità che per un curioso assortimento di casi particolari e insoliti, che all’epoca avevano riempito pagine e pagine di tabloid.
L’anno 1953, poi, rappresenta un punto di svolta per Los Angeles, che da quell’anno inizia ad espandersi fino alla odierna megalopoli, attraverso la crescita demografica e la modernizzazione della rete autostradale. In quell’anno, soprattutto, il celeberrimo e mitizzato Bill Parker, capo della polizia della città, consolida il suo potere e l’efficacia del Dipartimento stesso, eradicando il crimine organizzato da L.A. (secondo il discutibile principio che il fine giustifica i mezzi) e iniziando un lavoro di promozione e propaganda del LAPD con l’aiuto dell’industria hollywoodiana di intrattenimento. A un paio di anni prima risale la messa in onda del primo episodio di Dragnet, serial poliziesco basato sul lavoro investigativo (oggi si direbbe police procedural) padre di tutti i successivi telefilm di quel genere.
Un altro tranello che Ellroy evita – sicuramente il più subdolo – è il voyeurismo: trattandosi di foto scattate su scene di omicidi, suicidi o rapine sarebbe fin troppo facile divenire preda della pornografia del dolore: lo scrittore non giudica, non insiste sui particolari più scabrosi e mantiene un atteggiamento distaccato nonostante la narrazione avvenga mediante quello stile irriverente e gergale (be-bop writing, secondo la strepitosa definizione di un anonimo lettore), che è la cifra ellroyana per eccellenza.
Un lavoro fuori dagli schemi dunque, ma una sorta di manuale d’uso, utilissimo per addentrarsi con più agio nella densità dei romanzi di Ellroy, in cui la finzione romanzesca è sempre agganciata alla storia e alla cronaca del periodo in cui è situata.
Una lettura necessaria, quindi? Non esageriamo, piuttosto un lavoro apprezzabile che merita ampiamente il tempo dedicatogli. Buona lettura.
Stefano Crivelli
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