di Larry McMurtry
Einaudi, 2019
Traduzione di Margherita Emo
€ 12,80 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
C’è una scena, a circa mezz’ora dall’inizio di quel capolavoro di film dei fratelli Coen che è Il Grinta (True Grit, per i nerd come me), in cui la giovane Mattie Ross esce al galoppo da una stalla, diretta verso quello che allora (fine Ottocento) si chiamava Territorio Indiano, immensa area pressoché inesplorata dell'Ovest americano nella quale la natura era ostile tanto quanto gli indiani non ancora sottomessi e le bande di fuorilegge che spadroneggiavano senza limiti. Insomma, un luogo pericolosissimo in cui il valore della vita era pari allo zero.
Ora, non è del romanzo di Charles Portis da cui il film è tratto che voglio scrivere (se vi interessa, trovate la mia recensione qui), ma la scena che vi ho descritto mi è balzata più volte alla mente con tutta la sua potenza evocativa, nei lunghi momenti passati in compagnia di questo Lonesome Dove, che è l’oggetto della recensione che vi accingete a leggere.
Il nucleo narrativo del libro tratta di un viaggio verso l’ignoto, ossia verso lo stesso territorio inesplorato, pericoloso e ostile di cui parlavo in apertura. Lonesome Dove è il microscopico villaggio, da qualche parte nel Texas meridionale, dove ha sede la Hat Creek Cattle Company, l’allevamento di cavalli gestito da Augustus “Gus” McCrae e Woodrow Call, i due personaggi principali del romanzo; due uomini agli antipodi ma perfettamente complementari, spesso in disaccordo ma allo stesso tempo in perfetta sintonia, frutto della lunga esperienza nelle fila dei Texas Ranger con i quali hanno combattuto messicani, Comanche e banditi. Stufo della routine e sempre in cerca di nuove sfide, Call convince il socio a guidare una mandria di bovini e cavalli fino in Montana, e a nulla valgono le obiezioni mosse da Gus, che comunque decide di partecipare - un po' controvoglia - all’impresa. I due partono dopo aver reclutato il numero necessario di cowboy, e alla compagnia si aggregano anche alcuni personaggi bizzarri e improbabili (due ragazzi irlandesi appena immigrati, una ex prostituta, il pianista di un saloon, un cuoco messicano).
Il viaggio sarà un’odissea, fra
tempeste di sabbia, uragani, fiumi in secca o in piena, serpenti velenosi, scarsità di
cibo e di acqua, piccoli scontri con gli indiani; qualcuno morirà, qualcun altro troverà una
sistemazione lungo il percorso, per tutti sarà un’esperienza
irripetibile. E comunque nulla, alla fine dell’avventura, sarà rimasto uguale a
prima: Ulisse tornerà a Itaca solo, invecchiato e sfinito e la ritroverà profondamente diversa da come l'aveva lasciata.
Lonesome Dove è un romanzo lunghissimo (quasi mille pagine), eppure non c’è un passaggio, un capitolo, una pagina di troppo. La lunghezza permette la definizione dei tantissimi personaggi, che prendono vita e si staccano dallo sfondo, magari per un tempo limitato ma sufficiente a dar loro un significato all’interno delle diverse linee narrative che McMurtry gestisce in modo perfetto, con un sistema di convergenze e divergenze che permette la tessitura di una trama avvincente e senza il minimo calo di tensione, sostenuta da una meravigliosa vena ironica che affiora nei momenti più opportuni.
Se c’è una (relativa) difficoltà nella lettura del romanzo, a dirla tutta, è il superamento dei primi capitoli, che sono una preparazione al racconto del “grande viaggio”. In questi avviene l’entrata in scena dei diversi protagonisti, il ritmo è lento e senza scossoni, in linea con la tranquilla vita quotidiana in quel di Lonesome Dove. Tutto però ha un senso, un equilibrio con i giorni sempre uguali, fino alla partenza per quelle oltre tremila miglia verso il Montana, quel salto nel buio che porta alla mente la scena cinematografica di cui scrivevo all’inizio. Da questo momento, la narrazione cambia passo e ha un’impennata di realismo e drammaticità; soprattutto compare quella violenza che è curiosamente assente nei primi capitoli.
Non che la violenza in sé costituisca un valore, intendiamoci, ma stiamo pur sempre leggendo una storia che ha luogo nella seconda metà dell’Ottocento in un ambiente estremamente ostile, e sarebbe sciocco pretenderne una diversa rappresentazione. Oltre alla violenza della natura, anche le uccisioni a sangue freddo e le esecuzioni sommarie erano la quotidianità nell’Ovest americano senza legge di allora. Ed è proprio grazie a questi elementi che la leggibilità del romanzo rimane ai massimi livelli fino alla fine, fra pagine dinamiche e momenti di stasi (pochi, in realtà) che creano un racconto dalle caratteristiche di un'epica moderna.
I temi che emergono dalla lettura di Lonesome Dove sono diversi: l'amicizia profonda, la morte e il distacco, il senso di giustizia, il rapporto con la natura, la fragilità della vita, la scoperta dell'ignoto; è interessante, poi, comparare le diverse visioni esistenziali soprattutto fra i due personaggi principali, Call e Augustus (a pensarci bene, forse la star è proprio quest'ultimo).
E poi c'è, immancabile, il paesaggio, elemento cardine nella letteratura che racconta la Frontiera; un ambiente difficile e mortalmente pericoloso ma di una bellezza che toglie il fiato: non c'è scrittore, da Thornton Wilder a James Michener, a Sam Shepard, a tantissimi altri che, parlando di "cose americane", non accenni anche in modo fugace a quegli spazi infiniti, ai tramonti infuocati, alla natura lussureggiante.
Larry McMurtry è già apparso sulle pagine di CriticaLetteraria con le recensioni di Hud il selvaggio (1961) e di Voglia di tenerezza (1975); Lonesome Dove fu pubblicato nel 1985, e nello stesso anno uscì Blood Meridian dell’altro grande cantore del West leggendario, Cormac McCarthy. Due romanzi completamente diversi per stile, ritmo e approccio al tema, due capolavori assoluti che hanno lasciato il segno nella narrativa sulla Frontiera. Letture impegnative entrambe, ma entrambe fonte di profonda soddisfazione.
Stefano Crivelli
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