[...] ormai nella piccola testa di Nina, pure se in maniera confusa e vaga, si era fatta strada l'idea del rifiuto. Non solo era stata buttata nella ruota appena nata, ma la scartavano anche da grande. (p. 43)
Un libro di luoghi chiusi. A volte asfittici, sempre portatori di segreti, talvolta pieni di vite con le loro speranze, talaltra pieni di problemi e sofferenza.
Il primo luogo - ben più di una semplice ambientazione - è il brefotrofio, dove Nina viene cresciuta dopo essere stata abbandonata, appena nata, sulla ruota degli esposti: non bastano le attenzioni di suor Immacolata o la presenza di tanti altri bambini orfani o non riconosciuti a far sentire la protagonista una di loro. Anzi, in quella quotidianità fatta di compiti e regole ferree, preghiere a orari scanditi, un po' di studio e tante mansioni, è tutto teso verso il periodo dell'esposizione. Si tratta di un momento di rottura, quando i bambini, oltre a essere fotografati con sguardi pieni di aspettative (almeno nei primi anni), possono essere adottati. Questa occasione è però spesso seguita da una cocente delusione, perché sono davvero pochi a lasciare il brefotrofio, soprattutto i più piccoli. Ma questo è un cerchio che si ripete, e a ogni esposizione i bimbi sperano di essere scelti, a costo di uscirne nuovamente frustrati. Diverso è per chi ormai è grande, come Marcella, che, essendo una ragazzina, è ormai disillusa sull'adozione; invece, racconta a Nina i suoi sogni di riscatto: dal trovare un buon marito al volersi emancipare, trovandosi un lavoro o sfondando nel mondo del cinema. Come consolare, invece, i grandi occhi spalancati di Lucia, la bambina dalla carnagione di burro e i capelli biondissimi, che ha perso entrambi i genitori e il fratellino? Per lei Nina è quasi una sorella, un punto di riferimento nell'ambiente nuovo e così diverso dalla vita borghese che Lucia ha lasciato, suo malgrado. E forse lei, Lucia, può diventare un'amica per Nina, nonostante la sua paura costante di affezionarsi a qualcuno.
All'infanzia nel brefotrofio si alternano pagine dedicate alla giovinezza, trascorsa in un secondo luogo: la fabbrica di tabacco di Lanciano. Negli anni Sessanta vi incontriamo Nina, ormai ventenne («Era al mondo da più di vent'anni, ma era rimasta allo stesso punto», p. 53), alle prese con il suo lavoro da operaia di grande precisione, dove è importante essere metodiche e, d'altro lato, fare gruppo per sopportare al meglio le tante ore lavorative mal pagate. Con lei ritroviamo Marcella, di cui Nina è diventata la coinquilina. Come sono finite lì le ragazze? E dove è finita invece Lucia? La vita di ragazze giovani, ormai indipendenti, che devono aprirsi alla vita con una scarsa disponibilità economica si alterna ai loro momenti di piccole e grandi speranze, alle serate a ballare dopo essersi agghindate al meglio, sperando di coprire l'odore persistente di tabacco. Il tempo per lo svago e i pensieri d'amore è sempre troppo poco, ma basta a lasciarle fantasticare, anche se la paura di restare ferita domina Nina. Intanto il progresso tecnologico incombe, e il rischio che molte operaie si vedano licenziare si fa sempre più realistico. Nina, Marcella e le altre, che impareremo a conoscere via via, parteciperanno agli scioperi e alle proteste che si affacciano davanti alla possibilità di una riduzione di personale? E cosa otterranno? Non meraviglia che la protagonista scriva che «voleva iniziare il 1968 libera dalla schiavitù» (p. 179).
Queste due dimensioni si intrecciano e si alimentano implicitamente l'una con l'altra: ci sono svolte che segnano grandi delusioni umane, mentre altre mostrano come dietro a un'istituzione cattolica apparentemente rigida e fredda regnino segreti profondi, pieni di umanità e di solidarietà. Con Il pozzo delle bambole (titolo di grande efficacia, fin da subito, il cui significato si chiarirà però verso la fine del romanzo), Simona Baldelli ci propone un romanzo denso di sentimenti sfumati, mai stucchevolmente netti, dal momento che non esiste felicità o disperazione assoluta per chi, come Nina, ha imparato a sue spese che sentirsi rifiutati fin da piccolissimi ammanta qualsiasi altra emozione. La felicità è infatti opacizzata da questo ricordo, mentre la disperazione è attutita da un dolore più grande, a cui è difficile rassegnarsi. E così anche la speranza e la fiducia, lumicini sottili, sono un po' adombrati dalla paura della delusione, ma - nonostante tutto - splendono.
GMGhioni