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Poesie da rosso confessionale: "Lady Lazarus e altre poesie" di Sylvia Plath per Mondadori

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Lady Lazarus e altre poesie
di Sylvia Plath
Mondadori, febbraio 2023

pp. 172
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Sono lanterna - la mia testa una luna
Giapponese di carta, la mia pelle oro in foglia
È carissima, molto delicata.
Non ti sbalordisce il mio calore? E la mia luce?
Sono un'immensa camelia
Che s'infuoca e va e viene, vampa a vampa. (p. 71 - Dalla poesia "Febbre a quarantuno")
Di Sylvia Plath conosciamo tutti la tragica fine, un po' meno ciò che l'ha portata a quell'epilogo. Probabilmente la poesia era una valvola di sfogo tramite cui allentare le angosce e i pensieri tenebrosi, e questa raccolta dell'autrice statunitense ci regala qualche indizio.
"Lady Lazarus e altre poesie", pubblicato lo scorso febbraio per la collana Lo specchio di Mondadori, include parecchie composizioni che rientrano nel cosiddetto genere della confessional poetry, "Lady Lazarus" compresa (che in questa antologia troviamo a pagina 11), una poesia scritta nel 1965 che può riassumere i tormenti, le preoccupazioni e l'ossessione per la morte della scrittrice.
Lazarus come Lazzaro forse? Come invito a morire per poi rinascere?
Poesie di confessione, dunque, poesie da confessionale: Sylvia Plath mette in rima il suo essere, la sua disillusione nei confronti della vita, senza aver paura di sottolineare parole "spaventose" come morte, suicidio, ammazzare, al contrario, esorcizzandole.
Attraverso la traduzione di Giovanni Giudici (che come ci dice la postfazione di Teresa Franco, è stato il primo lettore e traduttore di Sylvia Plath in Italia) assistiamo a una sorta di smitizzazione dell'autrice: ultimamente si sente spesso parlare di lei quasi come una leggenda, un'entità mitologica, forse proprio a causa di questo suo suicidio grottesco e, direbbero i più, coraggioso. Eppure questa raccolta spoglia la donna-divinità da quest'aura leggendaria per riportarla sul pianeta terra, per ridarle corpo e animo affinché noi la vediamo solamente come una donna che ha sofferto e poi ha ceduto alla morte.
Non mi è mai piaciuta infatti questa tendenza a eleggere Plath come agnello sacrificale, come simbolo di un femminismo estremo che, detto sinceramente, è solo fine a se stesso: se proprio si deve fare dell'autrice un simbolo che sia allora quello della debolezza umana, della donna non come donna in senso di genere, ma come persona che non ce l'ha fatta ad affrontare le brutture della vita, l'amore "malato" per il marito Ted Hughes, il peso di essere madre, e ha preferito mettere la testa in un forno per spegnere le sue voci.
Amore mio, ho passato
Tutta la notte annaspando,
Fra lenzuola grevi come il bacio d'un perverso. (p. 69)
Le poesie contenute in questa raccolta sono chiaramente autobiografiche e non nego che siano difficili da leggere, proprio perché sappiamo quale sentimento le ha partorite: passiamo dalla poesia "Un regalo di compleanno" in cui i versi "non ho tanta voglia di regali quest'anno. in fondo sono viva soltanto per caso" (p. 51) a "L'ingessatura" che recita "non ne uscirò mai! Siamo ora in due me stesse: questa, nuova di zecca, bianchissima e l'altra vecchia e gialla" (p.113). Non disdegna la quotidianità come terreno per veicolare le proprie idee, non è una di quelle poetesse che ricercano il bello e il lusso a tutti i costi: va bene un forno, un gesso, un lenzuolo, persino delle semplici api, per scrivere.
Se i sentimenti pessimistici la fanno da padrone, è il colore rosso che lega una poesia all'altra: Sylvia Plath ci racconta la sua vita attraverso una precisa iconografia blasfema, parla di "rosse chiome" di tulipani, di papaveri (i fiori dell'oppio), di carne rossa di bocca, di sangue, fiamme e inferno. Nomina lei stessa il colore "rosso" in tutte le sue declinazioni, purpuree, vermiglie, porpora cupo, screziate di scarlatto, chiaro riferimento (almeno, a mio avviso) al sangue come sfogo e fine ultimo.
Come si può intuire questa non è una lettura semplice, ma una lettura conturbante, da centellinare.
Non la consiglierei come prima lettura a chi si avvicina all'opera di Sylvia Plath, ma come approfondimento sì, per capirla meglio e interpretarla meglio. Un plauso alla traduzione di Giovanni Giudici che pur trasgredendo un pochino l'originale (in alcuni casi) rende queste poesie difficili più vivide e comprensibili.

Deborah D'Addetta