di Virginia Reeves
Clichy, aprile 2023
Traduzione di Giada Diano
pp. 365€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Niente è sacro a casa di Fred, ogni cosa è un esperimento. (p. 221)
Quando
lo psichiatra comportamentale Fred Malinowski arriva all’istituto
psichiatrico Boulder Hospital, non immagina che la sua intera esistenza sarà sconvolta
per sempre e che i suoi piani lavorativi e privati non potranno più essere gli
stessi.
Siamo
agli inizi degli anni Settanta, quando Fred e sua moglie Laura lasciano una
grande città americana per trasferirsi nel roccioso (e per Laura anche poco
accogliente) Stato del Montana. In effetti, questa decisione così drastica è legata
all’esclusivo lavoro di Fred, il quale accetta, a discapito delle perplessità della
moglie, di riprendere in mano le sorti del Boulder Hospital, un istituto
psichiatrico ormai in rovina, diretto verso la chiusura. Se da una parte Fred,
almeno all’inizio, nota una potenziale e concreta chance di carriera, dall’altra
Laura vede sacrificata la sua persona. Ora lì, in quella piccola città di
montagna, non può che essere solo la moglie del direttore del Boulder e
quest’etichetta fin da subito le va molto stretta.
Avevo bisogno che mi facesse sentire che ero reale e importante e parte di qualcosa, e le poche volte in cui è successo è svanito così velocemente che è stato anche peggio che se non fosse successo affatto. E io voglio essere di nuovo completa. (p. 191)
Piano
piano tutto si frantuma, perdendo, come una bussola impazzita, la strada
giusta. Il rapporto inizia a scricchiolare quando Fred, fino a quel
momento votato solo alla carriera, nota una giovane, anzi giovanissima,
paziente: Penelope.
«Pen» (p. 63), come la chiamava Fred,
è una ragazza adolescente, ricoverata al Boulder hospital per attacchi epilettici.
Ben presto, tra i due inizia un rapporto che travalica quello di medico e paziente,
nel quale l’attrazione fisica è da subito evidente. Se da parte di Fred è
solo superficiale passione carnale, senza mai sentimentalismi, da parte di
Pen, ragazza fragile, Fred diventa qualcosa di più, una sorta di figura paterna
che le fa dimenticare la sua disabilità. Pen, infatti, è stata ricoverata lì
dai genitori, perché, nella concezione dell’epoca, “essere epilettica” era “essere
psichiatrica” («gli epilettici devono
stare con i disabili», p. 42). Penelope ricerca quindi, in questo rapporto, il
calore umano mai ricevuto dalla famiglia e così, almeno fin quando è
ricoverata, non riesce a sottrarsi a quella malsana dinamica, nonostante sappia
che non le porterà niente di buono.
Fred riesce a sentire tutti i punti in cui i loro corpi si toccano – ginocchia, mani, le parti morbide degli avambracci di Penelope - e quando si ritrae e si alza in piedi, avverte uno strappo, come un cerotto staccato dalla pelle. (p. 64)
Ed
è in questo triangolo amoroso (Laura, Fred e Penelope) che l’autrice, Virginia
Reeves, indaga cosa succede quando le crepe di un rapporto si fanno sempre più
profonde e quando non si trova il coraggio di affrontare le proprie pulsioni,
siano esse carnali o intellettuali. D’altronde
l’intento dell’autrice si trova già nel titolo originale The Behaviour of love, “il comportamento dell’amore”. Sì, perché
nella storia di Fred, sua moglie e Penelope si ritrovano le reazioni più
comuni, ma non banali, dell’essere umano negli intricati rapporti di coppia: la
rassegnazione, la rivalsa, la disperazione e l’ipocrisia scandiscono le vite
dei tre protagonisti e sono solo alcune sfumature di questa complessa storia. Soffermarci
esclusivamente sulla trama - una passione nata tra le mura di un manicomio, sulle
orme di Follia di Patrick McGrath (recensito qui)-, sarebbe nondimeno un approccio semplicistico, perché in Anatomia di un matrimonio l’impeto
carnale di Fred verso Pen è solo il primo passo verso il baratro emotivo. E
allora viene da chiedersi: se Fred non avesse accettato il ruolo da direttore
al Boulder Hospital e non avesse incontrato Penelope, come sarebbe stato il suo
rapporto con Laura? Ovviamente, non c’è una risposta, ma quello che rimane dopo
la lettura è che le vite di Fred e Laura sarebbero state ugualmente infelici,
anche senza Penelope perché, alla fine, quando le crepe diventano troppo
profonde, non c’è modo di aggiustarle.
L’autrice,
raccontandoci l’ambizione sfrenata di Fred, ci trasmette anche l’ambiente
psichiatrico degli anni Settanta, un momento cruciale per la storia della
malattia mentale. Erano anni di accesi dibattiti tra psichiatri che si chiedevano: continuare con i classici
approcci o sperimentare terapie nuove e cambiare così la concezione stessa
della malattia mentale? È nell’approccio
innovativo che Fred crede con tutte le sue forze; il malato deve essere
reintrodotto nella società. Questo è il suo obiettivo quando arriva al Boulder:
«sistemare questo posto. Cambiarlo» (p.
46).
Giada Marzocchi