Fuga a Est
di Maylis de Kerangal
Feltrinelli, marzo 2023
Traduzione di Maria Baiocchi
pp. 95
€ 12,00 (cartaceo)
€ 12,99 (e-book)
Un libro che farà la felicità di coloro che amano le storie brevi, intense e concluse. Che hanno il dono di condensare, in poche pagine, in frammenti di infinito e lembi di assoluto, i tratti dell'esistenza umana.
Tutto questo è il racconto lungo, o romanzo breve, Fuga a Est di Maylis de Kerangal, tra le scrittrici francesi contemporanee più amate.
Feltrinelli propone questo testo, uscito in Francia anni fa (meritò il premio Landernau nel 2012) e ancora non conosciuto in Italia, che prende l'abbrivio da un radiodramma, intitolato Linee di fuga, andato in onda nel 2010. E del tempo agile di un testo raccontato ad alta voce e interpretato in modo attoriale ha tutto il ritmo.
L'ambientazione ha già, in sé, gli ingredienti per colpire e affascinare il lettore con immediatezza. Siamo a bordo della famosa Transiberiana, il treno che, attraverso tutta la Russia, porta alle steppe lontane e gelide della Siberia, un treno mitico agli occhi occidentali con il suo carico di promesse di avventura e di ignoto. Sarà proprio l'incontro tra un uomo e una donna, evidentemente ordito dal fato, sulle carrozze del treno che viaggiano spedite verso Est, a intessere la trama del racconto. No, non è una storia d'amore, è molto di più: è desiderio di fuga, solidarietà, comprensione, umanità.
Il racconto parte mentre il treno, primo protagonista di queste pagine, sta già correndo verso la sua lontanissima meta, Vladivostok, all'Estremo Oriente dell'immensa Russia, quasi al confine con Cina e Corea del Nord. Ci metterà giorni quel treno ad arrivarci, facendo sfilare, dai finestrini appannati, chilometri e chilometri di campi, foreste, steppe, piccoli paesi quasi inesistenti, città nate ai bordi della ferrovia, una "terra che corre a sessanta chilometri all'ora" (p. 11).
A bordo del treno, a Mosca, salgono i coscritti, un esercito di giovani reclute, spavalde e spaventate al tempo stesso, ai comandi di un intollerabile sergente Letchov, "il culo di piombo, subdolo, minaccioso" (p. 20). Soldati "pallidi, smunti e rapati" che "non sanno dove vanno" (p. 9). E il pensiero corre alle immagini che la tv trasmette ogni giorno da più di un anno, soldati russi e ucraini, che lasciano le proprie case e le proprie famiglie per essere trasportati al fronte, ragazzi come i nostri... spavaldi e spaventati.
I giovani militari sono seduti, in piedi, affacciati ai finestrini, stravaccati, coricati in tutti gli spazi del treno, appiccicati gli uni agli altri, ormai da più di 40 ore. Ignari del proprio destino, hanno salutato le madri e vanno, corrono verso Est, probabilmente, questo ormai l'hanno capito, verso la Siberia, luogo di terrore atavico, che sa di freddo, rigore, punizione e gulag. "Perimetro proibito, zona senza parola e senza volto. Un buco nero" (p. 13). Tutto questo l'ha già capito anche Alësa (da leggersi Alioscia), che fino all'ultimo aveva creduto di non partire, aveva cercato disperatamente un appiglio, un modo, un espediente, ma che alla fine si era trovato intruppato a salire su quel treno. Carico di angoscia e di panico. Con il naso schiacciato contro il finestrino Alësa guarda passare tutto il suo Paese, prefigurandosi un futuro di paura e vessazione, che si concretizza di lì a poco con i due commilitoni che iniziano a tormentarlo. Finché, all'uscita da un tunnel, la decisione che esplode in testa con la violenza di una bomba: la fuga.
La stessa decisione che ha spinto Hélène, una giovane donna francese, a lasciare il suo amante russo, responsabile della diga di Divnogorsk. Quant'era diverso l'orizzonte in Francia, quando l'aveva conosciuto... finché una notte, con la sua borsa da viaggio e il suo passo da straniera, sale sul treno della Transiberiana, a Krasnojarsk. Direzione Vladisvostok, ma quel che sarà allora per lei è ancora ignoto.
Alësa ed Hélène si incontrano sul treno, lui sta scappando, cerca un nascondiglio e lo trova nello scompartimento di lei, in prima classe, non un posto da reclute. Lei lo accoglie, senza una parola. Da lì in avanti per il resto del viaggio il loro sarà un dialogo di sguardi, di gesti. Non parlano la stessa lingua, non conoscono nemmeno l'inglese, rimane solo il linguaggio degli occhi e delle mani. Ma si capiscono. Ad aiutare, inspiegabilmente e silenziosamente, questo ragazzone in fuga ci saranno altre due donne, le provodnitse, le assistenti che lavorano sul treno, donne che attraversano ogni giorno l'intera Russia, donne che con
i loro occhi hanno visto gli iris selvatici e le città proibite, quelle sotto nuvole di carbone i cui nomi non compaiono neppure sulle carte geografiche, conoscono la taiga scura e dorata come un sottobosco infinito, conoscono la steppa, conoscono i grandi fiumi, il Volga, lo Enisej e l'Amur (...), donne il cui corpo pieno racchiude il paese tutto intero (p. 23)
Donne leggendarie, quasi mitologiche, donne di cui fidarsi poco, donne che trafficano, che scambiano merci, che passano da una terra all'altra, che hanno il privilegio di veder scorrere sotto i propri occhi tutta la grande madre Russia.
Fuggire sì, scappare, disertare... ma non è semplice. Il sergente Letchov, culo di piombo, alla fermata del treno destinata ai coscritti, ci metterà poco a scoprire che uno zaino da recluta è abbandonato e scatenerà la caccia all'infame disertore, bloccando il treno.
Al ritmo sincopato del treno, tutum-tutum-tutum-tutum, che continua la sua corsa, incurante dei drammi, delle emozioni e dei pensieri che riempiono le sue carrozze, il lettore si lascia trasportare dall'incanto di questo viaggio. E dal dipanarsi dei sentimenti di umanità e disumanità che si accendono al divampare dei gesti e degli sguardi dei viaggiatori. Coloro che si ritrovano a condividere per giorni uno spazio tanto piccolo, ma che attraversa un territorio tanto grande. Tutti a spalancare gli occhi, ammutoliti, di fronte al miracolo dell'apparizione del Bajkal, il grande lago russo. Famiglie, uomini d'affari, stranieri, uomini, donne e bambini, ognuno con la propria coscienza e i propri ideali. Che non sempre coincidono con quelli di un quasi militare in fuga.
Ce la farà Alësa a sfuggire al suo destino di recluta? Ce la farà Hélène a ritrovare se stessa? Questo al treno della Transiberiana non interessa. Lui sa solo che deve arrivare fin lassù, dove lo aspettano "una confusione di colline asfaltate, di torri abitative sovietiche che si sporgono sull'oceano, palazzi antichi, più rari, e poi la stazione" (p. 95).
E finalmente il treno si ferma, arresta la sua corsa che sembra infinita. Pronto a riprenderla, a ritroso, con un nuovo carico di uomini, di donne... di storie.
Sabrina Miglio
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