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Un tesoro dentro la montagna (o forse dentro di sé?): "Quando raggiungeremo il sole" di Alessandro Q. Ferrari

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Quando raggiungeremo il sole
di Alessandro Q. Ferrari
DeA, 2023

pp. 351 
€ 16,90 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Quando raggiungeremo il sole è un romanzo che si distingue dai precedenti di Ferrari: intanto è un’opera a suo modo corale, in cui si intrecciano le storie e i punti di vista, anche se non direttamente le voci, di più personaggi. Il gruppo dei protagonisti è costituito da quattro studenti delle scuole medie, due ragazzi e due ragazze, tra i dieci e i tredici anni, con esperienze e famiglie diversissime alle spalle, e altrettanto diverse aspirazioni per il futuro. Radi sogna di “crearsi una via d’uscita” (p. 17), di sfuggire ai progetti che il padre ha su di lui, alla carriera di calciatore che già gli viene prospettata e gli calza stretta. Ulisse invece vorrebbe essere già grande e forte come Radi, non essere preso in giro per la propria voce, o per i disegni di anime che con cura riproduce sui pantaloni, ma più di tutte vorrebbe essere accettato da una gilda potente nel mondo vischioso di Strange stars, il videogioco in cui trova rifugio, in cui sente di avere il controllo, e da cui è sempre più risucchiato. Angelica, detta Geli, desirerebbe invece soltanto che i suoi smettessero di litigare e non osa confessare neppure a se stessa ciò che il clima domestico le fa provare. Ha accantonato definitivamente, o almeno così sostiene, i sentimenti che l’anno prima provava per Radi, e si maschera dietro a un linguaggio forbito, gli occhiali grandi e i capelli colorati. La sua amica Basma, a sua volta, vorrebbe essere vista non solo per il velo che da poco ha iniziato a indossare, e ambisce a uno spazio tutto per sé in una casa sovraffollata.
Per questo, quando l’improbabile gruppo entra in possesso di una mappa che dovrebbe condurre a un tesoro nazista perduto, nessuno di loro si oppone con convinzione all’idea di partire dal piccolo borgo di Argias, in Sardegna, per vivere una grande avventura. E poco importa che la mappa sia stata trafugata a una donna pericolosa, la strega del paese, la Maghiàrgia, in grado secondo l’opinione comune di scatenare contro chi l’offende le peggiori maledizioni, di far verificare le peggiori sciagure. Poco importa anche che il treno perduto, nei cui vagoni si celano ricchezze bastanti per realizzare i desideri di un’intera esistenza, si trovi niente meno che in Polonia, sotto i Monti del Gufo. Il sogno presto si fa motore, travolge ogni resistenza interiore e ogni ostacolo esterno.
Per una serie di circostanze, legate non solo alla trama ma anche alla delicatezza con cui Alessandro Q. Ferrari maneggia la materia narrativa, Quando raggiungeremo il sole mi ha ricordato un altro romanzo amatissimo, L’ultima volta che siamo stati bambini di Fabio Bartolomei (ne potete leggere qui). Come in quel caso, anche qui al centro della vicenda è un gruppo di ragazzini apparentemente in fuga, in realtà impegnato in una missione tanto folle quanto giusta, e quindi per loro inevitabile (“Tocca a noi non perdere questa occasione”, p. 59). Anche qui la fiducia nel progetto rende possibile l’impossibile. Anche qui sulle tracce dei piccoli viandanti si mettono delle persone che vogliono loro bene, e sono più di loro consapevoli dei pericoli del grande mondo in cui si sono incautamente lanciati. Per la prima volta, Ferrari lascia ampio spazio anche al mondo adulto, facendoci entrare nelle esistenze dei genitori, mostrandoci il modo in cui la fuga dei figli deflagra nel loro quotidiano, svelandone le fragilità, e i diversi modi di essere padri e madri. Quasi tutti, sembra dirci, fanno del loro meglio, anche se non sempre questo è abbastanza. Tutti, con un’unica eccezione che si svelerà nel corso delle pagine, chiarendo alcuni aspetti della narrazione che potevano inizialmente stupire, sono però spinti da un amore, profondo e irriducibile. Accanto a loro, si muove l’insegnante di lettere dei ragazzi, Nevina Pugno, che mette in gioco tanta parte del suo privato per guidare la spedizione di salvataggio sul continente. Come nel suo recente Ciao maestro, anche qui Ferrari propone una visione luminosa del ruolo dell’insegnante, che è colui che affianca il genitore nel suo ruolo di accudimento e guida del giovane.
Ogni singola studentessa e ogni singolo studente davanti a lei erano una galassia abitata da esseri alieni, tempestata da fenomeni naturali estremi e illuminata da stelle sul punto di diventare supernove. C’era un solo modo per evitare che quelle galassie finissero inghiottite da un buco nero. Mostrare la direzione in cui espandersi. (p. 115)
Ad essere narrato non è dunque un viaggio, bensì due viaggi: da un lato quello forsennato dei ragazzi, che come nelle fiabe della tradizione per poter crescere devono far esperienza dell’oscurità, della paura, dei lupi che si nascondono nell’intrico della foresta o si travestono da vecchine. Per loro, che si muovono nella zona di confine tra l’infanzia e l’adolescenza, che con lo sguardo ancora pulito vogliono cambiare il mondo (“Dove c’è oro a sufficienza per quattro, c’è oro a sufficienza per cinque. Beira userà la sua parte per raddrizzare le cose. Magari comprandosi il villaggio e i campi. Così abolirà la schiavitù”, p. 192-193), trovare il tesoro è importante quanto trovare se stessi. E questo è possibile soltanto nella relazione, nello scambio generativo in cui ciascuno apprende dall’altro qualcosa grazie a cui migliorarsi. Dall’altro lato, in parallelo al primo, c’è il viaggio degli adulti che, inaspettatamente, avranno a loro volta qualcosa da imparare.
A tutti, l’allontanamento da casa rivela il coraggio di affrontare l’ignoto, la cifra di mistero che si annida in ogni percorso di crescita: “non contano solo i genitori. E nemmeno solo gli insegnanti. Forse è ribellandosi che si riesce a capire cosa è giusto e cosa è sbagliato” (p. 279). Serve andare lontano per poter vedere meglio ciò che è più vicino, e questo viene rivelato dalla trama in molti più modi di quanti se ne possano qui svelare. Soprattutto, l’avventura, la corsa verso il sole, mostra che è solo il persistere del sogno, il suo continuo inseguimento, che impedisce di diventare una Maghiàrgia, una figura sterile e vuota, che vive nel rancore e nel rimpianto di ciò che è irrimediabilmente perduto.
 
Carolina Pernigo