L'inventario delle nuvole
di Franco Faggiani
Fazi Editore, marzo 2023
pp. 292
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
I romanzi di Franco Faggiani, giornalista che negli ultimi anni, con i suoi romanzi di ambientazione per lo più montana, è riuscito a ritagliarsi un posto di primo piano tra gli scrittori di casa nostra, rassomigliano sempre di più agli acquerelli delle belle copertine che Fazi dona ai suoi libri. Li richiamano per una certa qual delicatezza con cui l'autore milanese dipinge i suoi personaggi e le vicende nelle quali si muovono. Qui in redazione Faggiani ha già trovato le sue estimatrici (vedi le recensioni a La manutenzione dei sensi, a Non esistono posti lontani, a Il guardiano della collina dei ciliegi o a Tutto il cielo che serve). Ed effettivamente ogni romanzo ha saputo toccare corde diverse, raccontando storie di uomini e donne, di relazioni, sfide, sentimenti, solidarietà.
Romanzi dove anche il paesaggio, il territorio che ospita le vicende raccontate sa farsi protagonista grazie allo sguardo attento e compartecipe alla montagna, da sempre seconda casa e seconda vita, anche professionale, dell'autore milanese. Basta seguirlo un po' sui social per carpire qualcosa del suo legame inscindibile con le vette innevate o inondate dal sole.
Da ragazzo mi ero immaginato che le mie valli Dio le avesse fatte con gli avanzi. con quei rimasugli che gli erano rimasti tra le pieghe delle dita e le crepe delle mani nodose dopo aver modellato le imponenti dorsali occidentali, le morbide praterie assediate dai boschi, le grandi pareti rocciose accecate dal sole che precipitano sui pascoli dritte e compatte, senza sbavature, come guance ben rasate. (p. 1)
Come già s'intuisce dall'esordio, in quest'ultimo romanzo, L'inventario delle nuvole, i monti della Val Maira e della Val Varaita non sono spettatori silenti, ma veri e propri attori che, con il loro carico di neve, di nuvole, di boschi, di rocce e di acque interagiscono con i personaggi cambiandone il corso delle storie.
Alla fine di settembre del 1915 il nonno mi aveva portato a fare il bagno in una di queste pozze (quelle formate dal fiume Maira, ndr), come fosse stato un secondo battesimo, o forse solo per ribadire che appartenevamo a quei luoghi, che fiume, corpi umani, sassi lucidi e alberi eravamo un tutt'uno (p. 26)
Bastano poche pagine per essere risucchiati nel piccolo mondo antico raccontato da Faggiani. Siamo nel Piemonte del 1915 e anche se il calendario segna guerra, in Val Maira, dove abita la famiglia Cordero, l'eco che ne arriva è molto lontano. Anzi, un po' come nel testo teatrale brechtiano Madre Coraggio e i suoi figli, la guerra, per i Cordero, commercianti già discretamente benestanti e conosciuti nelle vallate, diventa sinonimo di forniture, di affari e guadagni. L'Esercito ha bisogno di tanto materiale. E se si ha la fortuna di non dover andare al fronte, come capita a Giacomo, figlio unico di madre vedova, si può vedere la guerra come un'opportunità.
Ed è così che la pensa nonno Girolamo, capostipite burbero e severo di questa famiglia che, oltre al nipote, comprende la nuora Lunetta, madre di Giacomo, e l'anziana compagna Desideria. L'unico figlio di Girolamo, il padre di Giacomo, è morto in miniera anni prima. Ma il nonno non ne parla volentieri, anzi non lo nomina nemmeno più.
Ognuno in famiglia ha il proprio compito al quale non è possibile sottrarsi, ognuno deve dare il proprio contributo, «fare le cose come vanno fatte» (p. 182). Dunque, dopo gli studi che Giacomo avrebbe desiderato continuare, il nonno non sente ragioni: Giacomo deve diventare un caviè, un raccoglitore di capelli femminili, i cosiddetti pels, richiestissimi al tempo, soprattutto sul mercato francese, per realizzare le tanto desiderate parrucche. A quel tempo le donne, soprattutto le più bisognose, si lasciavano crescere i capelli e quando i caviè ciclicamente passavano di cascina in cascina, di grangia in grangia, in cambio di poche monete o di qualche pezza di stoffa o di utensili per la casa, li raccoglievano in spesse e morbide trecce che venivano tranciate nettamente dalle forbici ben addestrate del raccoglitore di capelli. Quando non venivano rapate completamente. E con il loro taglio sommario (altro che parrucchieri e couture), le donne non potevano far altro che nascondere lo scempio sotto ampi fazzolettoni in attesa che i capelli tornassero a ricrescere. Il bravo caviè doveva essere convincente, gentile quanto basta ma deciso e pronto a cogliere l'attimo di indecisione per tornare a casa con il suo sacco pieno di trecce. Ed è questo che Giacomo diventerà. Tra le pagine si percepisce tutta la cura dell'autore nel riportare alla luce un antico mestiere che, con i suoi riti, ha segnato un'epoca ormai scomparsa.
Il lettore percorre le montagne insieme al ragazzo, su e giù, lungo sentieri percorribili soltanto a piedi o a cavallo. Su e giù, in lungo e in largo. Fino ad arrivare a Embrun, la cittadina francese da dove i capelli, già puliti, trattati e pettinati uno a uno dalle mani sapienti e pazienti delle donne della valle, venivano portati nelle grandi città per essere venduti ai parrucchieri più alla moda.
Nitida la capacità di Faggiani di tratteggiare i caratteri dei propri personaggi, facendoli affiorare dai dialoghi e dalle relazioni reciproche. Il nonno Girolamo indurito dalla vita, forte, deciso e determinato, rispettato e temuto da tutta la vallata, votato agli affari e al dovere (sarà però il piacere a tradirlo); Lunetta, la madre rassegnata a un ruolo in ombra, alla quale però il destino riserverà una seconda chance, Desideria materna, comprensiva e accogliente, lei che figli non ne ha. E tutte le altre figure di contorno che danno vita alla coralità di un paesaggio e di una storia che diventano comunità.
La storia procede tranquilla, senza grandi colpi di scena, nello stile piano e moderato al quale Faggiani ci ha abituati. Si percepisce l'inevitabilità della ruota della storia, la dignitosa rassegnazione di tante donne e uomini che affrontano la povertà e il gelo degli inverni troppo lunghi e solitari, dando prova di resilienza (parola allora sconosciuta, ma esperienza assai concreta), mentre in questo mondo lontano e appartato riescono a fare capolino anche la follia, la bizzarria e il dolore (in particolare, nella storia delle due donne solitarie, ispide e cispose che avrà una sua epifania finale).
I valori di un tempo, il rispetto per il territorio che è casa, la semplicità delle vite di montagna, spesso accompagnate da tanta miseria, le parole, poche e misurate, dei "montanari" scandiscono le pagine di questo romanzo che confermano Faggiani tra gli scrittori più dotati a far rivivere l'epopea delle terre alte, aspre e ruvide ma dal fascino ineguagliabile.
Sabrina Miglio
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