Quando si sfogliano vecchi libri, capita spesso, almeno a me, di trovarci nascosti dentro dei foglietti; ma è molto raro che si tratti di cose interessanti. Eppure a volte succede, e non bisognerebbe mai buttarli senza aver dato almeno un’occhiata. (p. 107)
Nella bandella di sinistra di Monito ai
curiosi, la raccolta «storie di fantasmi» di Montague Rhodes James portata
in Italia da Racconti, leggiamo: «Si racconta che la vigilia di Natale, al
King’s College di Cambridge, in diversi, fra studenti e professori, si
radunassero attorno a un fuoco vivace per ascoltare delle storie di fantasmi.
Era diventata quasi una tradizione. Dentro la saletta, invece, la piccola
cerchia era tutta raccolta attorno a questa voce che descriveva canoniche
deserte e saloni ingombri di cianfrusaglie, e che si faceva più profonda quando
in un manoscritto ritrovato si rintracciava quello che, a tutti gli effetti,
sembrava proprio un presagio sinistro. La voce nella penombra era quella di
M.R. James».
L’immagine è altamente evocativa e non
solo è un’ottima scelta di marketing inserirla nella bandella, alla portata di chiunque entri in libreria incuriosito dalla copertina, ma è anche adatta a rappresentare l’opera che stiamo leggendo. È
infatti la narrazione ad alta voce a caratterizzare le short
stories di James: i suoi narratori sono uomini che sentono il
bisogno di raccontare qualcosa che non è accaduto a loro, e a volte neanche a dei
loro conoscenti, bensì gli è stato narrato, o magari lo hanno letto
su una lettera o su un vecchio manoscritto trovato in un’ala nascosta di qualche
magione disabitata. La “narrazione di narrazione”, come potremmo chiamarla, ha
l’effetto al contempo da un lato di allontanare gli eventi, relegandoli allo stato di
diceria – come quelle storie di paese che vengono raccontate dagli anziani,
spesso inverosimili perché a forza di ritirarle fuori sono diventate altro –, e dall'altro di rafforzare la narrazione stessa perché ciò che viene raccontato, in quanto
accaduto a qualcun altro, ha la potenza evocativa della veridicità di chi riporta
un fatto: «Le lettere che vi mostrerò mi sono state inviate di recente da una
persona che sa quanto sia appassionato di storie di fantasmi» leggiamo a p. 87,
nell’intro di Storia di una scomparsa e di una ricomparsa. Poi l’autore
aggiunge, in maniera geniale: «Non ci sono dubbi sulla loro autenticità».
C’è un altro elemento che caratterizza le
narrazioni di James, ed è la reticenza a rivelare un segreto. Il meccanismo è sì quello di raccontare
voci di terze parti, storie rinvenute nei manoscritti eccetera, tuttavia sia il
narratore (colui che in primo luogo riporta l’evento vissuto) sia il narratore
del narratore (colui che racconta a noi lettori) si mostrano spesso intimiditi dalla storia, quasi che ciò stanno
raccontando sia qualcosa che debba rimanere nascosto nell’ombra, così come
nascosti nell’ombra sono quasi sempre i pericoli del mondo di James. Questa reticenza
si manifesta attraverso allusioni a qualcosa che è avvenuto ma che non viene riportato
o addirittura tramite il troncamento di una storia prima che qualcosa avvenga
veramente. La minaccia è quasi sempre non compiuta, il pericolo è reale ma non
possiamo conoscere il suo vero volto. Non è, per fare un esempio fra
tutti, come il pericolo di Lovecraft, che invece ha connotati assurdi e oltremondani
ma sempre ben definiti. È appunto una voce nell’ombra, un volto mostruoso ma
appena accennato, qualcosa che non si può descrivere e quindi non lo si
descrive. Sta lì, acquattato: esiste e basta.
Tornando quindi a quella frase rinvenibile nella bandella di sinistra: a distanza di cento anni circa dalla morte di James noi, come gli studenti e i professori del King’s College, ci raduniamo attorno a quella voce profonda e cadenzata che racconta storie di fantasmi, creando atmosfere da incubo. Monito ai curiosi è una raccolta da leggere di notte, sorseggiando una tisana, mentre fuori piove.
David Valentini
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