L’ora dei dannati.
La guerra
di Luca Tarenzi
Giunti, 2022
pp. 379
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Il secondo volume della Trilogia di Luca Tarenzi, La Montagna (di cui parlavamo qui), aveva lasciato molte
questioni in sospeso: Francesca, Virgilio, Manto e Lucano erano riusciti a
completare la loro fuga dall’Inferno, non senza pagare un prezzo molto alto.
Con loro aveva oltrepassato il confine lo Spezzato, alleato improbabile e
pericoloso. Gli altri personaggi, evasi prima di loro, avevano già completato
per vie differenti la loro ascesa al Paradiso Terrestre. Su tutti, incombeva la
presenza di Matelda, guardiana del giardino dalla terrificante bellezza. Al
lettore, invece, era riservata una domanda silenziosa su come e quando i protagonisti avrebbero potuto riunirsi, e
soprattutto se fosse possibile per loro
sovvertire tutte le leggi dell’aldilà e aprirsi una strada verso il terzo
regno ultraterreno.
Il nuovo volume, La guerra, prosegue senza soluzione di continuità le avventure del
precedente. Si tratta, sicuramente, del più
ambizioso e complesso fra i tre episodi, per il numero di personaggi e
linee di trama da gestire e intrecciare con equilibrio, per gli ambienti da
rappresentare, per gli elementi narrativi lasciati in sospeso e a cui trovare
spiegazione. È anche quello che si
distacca maggiormente, e sempre più col procedere delle pagine, dal tracciato
della Divina Commedia per andare
ad attingere a piene mani dal mito e dai testi biblici. Al centro di tutto, il
concetto suggestivo delle stelle ribelli,
imprigionate nel cuore della montagna, in attesa del momento, promesso, del
loro riscatto. Sarà intorno a loro, e a loro mistero, che si articolerà un intreccio tutt’altro che scontato.
I personaggi, già ben delineati, rivelano
ulteriori tratti del proprio carattere, divisi
come si trovano tra gli interessi del gruppo e quelli personali, che
finalmente trovano spazio per riemergere. Fin da subito appare chiaro che loro sono “l’anomalia”, quella che deve
essere fermata, ma in cui si annida anche la possibilità di una compensazione
delle ingiustizie. Contrapposti a loro, ciechi agenti di una volontà superiore,
in cui l’obbedienza si confonde a tratti con la crudeltà, sono i Messaggeri, creature ibride,
immateriali, dalle forme geometriche e cangianti, che assumono sostanza
attingendo dagli elementi ambientali (l’acqua, la luce, la pietra, la nube).
Letali, implacabili, paiono del tutto eterodiretti, obbediscono a una Legge
inflessibile, impietosa. Anche Tarenzi, come già Dante, si trova di fronte alla
difficoltà di descrivere concetti troppo
alti per le parole, e sfrutta paragoni con il già noto, senza riuscire a
stemperare del tutto l’impressione che qualcosa sfugga (e qui, del resto, si
dispiega tutto il suo virtuosismo immaginifico). Di questa limitatezza del
pensiero e del linguaggio sono consapevoli del resto anche i personaggi (“ho capito chi sono i mostri che ti
accompagnano, perché sulla Terra li conoscevamo, anche se li chiamavamo con un
altro nome e ce li figuravamo molto diversi”, p. 95).
È interessante anche la scelta di non
creare una distinzione sostanziale tra le creature celesti e quelle esiliate
che imperversano negli Inferi. La figura dello Spezzato risulta pertanto una
delle più forti e suggestive dell’intera trilogia, il suo il percorso di
redenzione più articolato, profondo. Il fatto che venga chiamato anche la Creatura che non ha nome spinge a
riflettere sul valore di questo nome,
quale parte fondante di un processo di ridefinizione identitaria e quindi
di riscatto.
Il Paradiso terrestre, anfiteatro di tanta
parte dell’azione, è un luogo che cura,
purifica, restituisce le persone a se stesse, per prepararle all’ultima
ascesa. Questo vale per i penitenti che vi arrivano per i canali consueti, ma
anche per i fuggitivi, che si sentono subito più forti, più consapevoli,
riconciliati con la propria carne e la propria mente. In alcuni casi, questo
porta a un recupero dell’integrità
fisica, che si fa riflesso di quella morale, di per sé già acquisita nel
corso dei volumi, o mai del tutto perduta. Al contempo, però, ai viandanti
appare subito chiaro che accontentarsi della
pace ritrovata non possa essere
abbastanza: l’Eden rimane pur sempre una gabbia, pur se dorata. È
importante allora rischiare tutto nella
remota ipotesi di poter guadagnare tutto, come osserva anche Francesca, in
cui alle istanze generali si uniscono quelle del genere, per cui si rivendica
una nuova facoltà di autodeterminazione:
“Combattiamo insieme. Contro chiunque se necessario. Per resistere, sì, per sopravvivere, ma anche per decidere della stessa vita che stiamo difendendo. Perché non ci siano padri o mariti o uomini o mostri scesi dal cielo a dettarci le loro regole. Combattiamo per essere libere, e nient’altro.” (p. 168)
L’ultimo volume della trilogia di Tarenzi si configura quindi come un inno alla libertà e alla scelta, dal
messaggio che arriva forte e chiaro: nessuna
dannazione è eterna, nessun disegno è già scritto in modo indelebile, il
modo stesso in cui alcune forze misteriose paiono agevolare con inaspettati
colpi di fortuna il procedere degli evasi fa pensare che anche ai dannati possa
essere offerta una seconda occasione, purché intensamente voluta. Alla base di
tutto c’è una legge d’amore che guida
l’agire dei singoli, che si concretizza in generosità disposta al sacrificio di sé in nome dell’altro
(specchio di un Altro la cui presenza, tra le pagine, non è mai apertamente
chiamata in causa). Come già nei volumi precedenti, l’individuo trae forza
nella dimensione relazionale, e proprio in questo si annida l’unica possibilità
di vittoria in una guerra a lungo attesa, ma che fin da principio appare impari
e dalle esilissime possibilità di vittoria.
Nella costruzione dell’opera, la lunga fase di preparazione dello scontro
finale conta, ai fini narrativi, tanto quanto lo scontro stesso,
concentrato effettivamente in pochi
capitoli conclusivi. Da questo deriva la crescente tensione che Tarenzi abilmente costruisce e alimenta,
forte della sua esperienza nei giochi di ruolo. Ci sarebbe tanto da dire anche
sul finale, ma qualsiasi anticipazione sarebbe un peccato, questo sì,
imperdonabile per il lettore che abbia accompagnato così a lungo i dannati nel
loro viaggio. È bene dunque fermarsi qui, senza riuscire però a non chiedersi
(senza fare alcuno spoiler) se le avventure di Virgilio e gli altri si possano
dire davvero concluse.
Carolina
Pernigo