«Si attacca ai suoi alunni più del dovuto, non so come dire. In maniera morbosa. Cioè, sono tutto quello che ha. Ed è una bella cosa eh, una maestra del genere. Lo sappiamo tutti. Ma poi succede una disgrazia e vai fuori di testa. Mia suocera che la conosce bene dice che anche da ragazzina non era proprio in quadro». (p. 72)
Potremmo prendere questa citazione a sintesi del romanzo di Maddalena Vaglio Tanet, Tornare dal bosco: in un paese in provincia di Biella, infatti, una maestra è scomparsa dopo il suicidio della sua allieva di quinta elementare. Eppure c'è molto altro nella porzione di testo citata: le maldicenze, che si insinuano in osservazioni di finto buonismo. Il paese intero resta attonito davanti alla scelta della giovanissima Giovanna di gettarsi dalla finestra, finendo rovinosamente nel fiume; sul davanzale della finestra, le sue ciabatte, simbolo di ciò che resta dopo una decisione così irrimediabile. La borsa con i libri e le verifiche è invece ciò che resta della maestra Silvia, lei che, alla notizia della morte di Giovanna, si è inoltrata nel bosco, in una sorta di stato di trance: il bosco le è amico, lei lo conosce bene, ma lo attraversa più a tentoni che deliberatamente.
In paese tutti cercano «una donna ferita, incosciente, muta. Vittima di amnesia o resa demente dal dolore» (p. 63), pur temendo che lei stessa abbia cercato la morte, ma chi è esattamente Silvia? A spiegarcelo ci sono dei flashback, mai troppo lunghi; e poi le parole dei parenti e dei compaesani, che cercano di rendere razionale ciò che razionale non è, proprio come con la morte di Giovanna. Anche Silvia, in effetti, non fa che pensare ai momenti trascorsi con Giovanna, ai tanti aiuti che le ha fornito, ma anche alle numerose ramanzine che le ha indirizzato per spronarla a non essere nuovamente bocciata. I sensi di colpa sono forti, e l'equilibrio mentale di Silvia rischia di restarvi impigliato.
Intanto, Anselmo, il cugino di Silvia, si mette a capo delle ricerche e non si dà pace: immagina continuamente di trovare il cadavere della maestra da qualche parte. Le indagini sono tutte accompagnate da parole, ricordi, ipotesi nutrite di nulla, di sentito dire, di pregiudizi su una donna come Silvia, che vive da sola, si dedica totalmente alla scuola, trascurando la pulizia della casa e la cucina.
Diverso è l'atteggiamento di Martino, un nuovo bambino asmatico che frequenta anche lui la classe quinta, ma in un'altra sezione rispetto a Giovanna. Lui è arrivato lì con sua madre Lea per respirare l'aria buona, allontanandosi così da Torino; il padre abita ancora là e raggiunge moglie e figlio nel weekend. Per Martino non è affatto facile ambientarsi e farsi accettare dai compagni di classe; solo il bosco gli dà qualche soddisfazione, nonostante siano ancora tante le paure legate agli animali che lo abitano. È proprio a Martino, un ragazzino colpito a sua volta dai pregiudizi, che il destino fa incontrare la maestra, chiusasi in un capanno abbandonato.
Fin dal principio Martino capisce che c'è qualcosa non va in quella donna poco curata, che non sembra neanche tanto in sé e che non ha niente da mangiare. Lei, però, gli fa promettere di non rivelare a nessuno dove si trovi e Martino, suo malgrado, con qualche perplessità accetta. A patto, sia chiaro, che lui possa raggiungerla per portarle viveri, acqua, coperte e qualcos'altro. Siamo dunque davanti all'ennesimo ribaltamento dei ruoli: la maestra, di per sé figura accudente e accogliente, viene accudita e accolta da un ragazzino. Per quanto, però, si può proseguire così?
Tutto attorno, intanto, la vita prosegue, e Maddalena Vaglio Tanet fa una scelta che non ho compreso né apprezzato, ovvero quella di spostare fortemente il focus su altri personaggi, infrangendo, a mio parere, la forza emotiva della storia principale e rendendo zoppa, a tratti, la struttura. Specialmente nella seconda parte del romanzo, Silvia è quasi un accidente, mentre ci si sofferma di più, ad esempio, sulla storia della madre di Martino, Lea: a che scopo? Francamente me lo sto ancora chiedendo. E questo è solo uno degli esempi che hanno destato forti perplessità in me.
Ho trovato efficaci, invece, i passi che si nutrono di parole per riempire inquietudini e silenzi, rivelando così i retroscena più perturbanti dell'animo umano di compaesani "per bene". Si aggiunga inoltre che questa storia tanto singolare è ispirata a una vicenda vera, che ha coinvolto la cugina del nonno di Maddalena Vaglio Tanet: insomma, si tratta di una di quelle vicende orecchiate in famiglia, in cui però i vuoti sono più delle rivelazioni. E in quei vuoti si può infilare l'elemento finzionale dell'autrice.
Ammetto che, a libro concluso, sono andata a leggere con curiosità le ragioni con cui questo romanzo è stato presentato allo Strega (e oggi è candidato) da Lia Levi; ancora, le perplessità non si sono sciolte.
GMGhioni