L'aroma inconfondibile del tè
di Maria Elisabetta Giudici
Morellini editore, marzo 2023
pp. 278
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
A me ne sono toccati tre, di talenti: quello del canto e di una memoria grande come il ventre di una nave piena zeppa di casse da riempire con gli episodi della mia esistenza o con quelli che invento. Qualcuno, chissà quando, deve avermi suggerito che, se mi serve qualcosa da quel grande emporio di ricordi e fatico a trovarlo per il gran disordine o perché non c'è, devo dormire. Solo in quel modo i contorni della realtà si dissolvono e lasciano il posto a fantasie che estraggo con cautela, per non accecarle con la forte luce della coscienza. La mia terza capacità è quella di saper trovare l'acqua, ovunque essa sia, e la cosa mi diverte molto e mi inorgoglisce. Mi bastano un bastoncino e un po' di concentrazione. (pp. 24-25)
Charlotte Walker ha parecchio con cui riempire la narrazione della sua vita. Abbandonata sulla spiaggia ancora in fasce dalla madre, viene cresciuta da una coppia di Polignano e il padre adottivo, un marinaio, le trasmette la fascinazione per il mare. Ciarli – così viene chiamata dagli amici – ha anche un altro motivo per prendere il largo: ritrovare la madre biologica e capire cosa l'ha spinta ad abbandonarla. Sono i primi anni dell'Ottocento, pieni di fermenti Risorgimentali e di intrighi internazionali. Ciarli è giovane, bella, coraggiosa e brava nelle lingue: sarà una spia perfetta per il governo inglese. Sempre guidata dal desiderio di sapere di più sulle proprie origini, la giovane si troverà nell'esotica e pericolosa Costantinopoli, inseguita da un agente segreto al soldo dei francesi e alla ricerca dei documenti di una delle più grandi opere mai realizzate dall'ingegno umano: il canale di Suez.
Qualsiasi cosa Brennan intendesse con "servire l'Inghilterra", la risposta era sì. L'idea di trovare mia madre mi avrebbe indotto ad accogliere qualunque proposta. (p. 130)
Il viaggio di ricerca e di formazione della protagonista del romanzo L'aroma inconfondibile del tè di Maria Elisabetta Giudici prende avvio da una delle motivazioni più impellenti e radicate nell'animo umano: scoprire da dove si viene per sapere dove si andrà. Il desiderio di Ciarli di sapere di più della madre che l'ha lasciata con solo un biglietto e una perla nera che come segno di riconoscimento. Ha cercato, forte dei racconti e della sua memoria in grado di riempire i vuoti, di ricostruire la storia, ma solo Delicata Lo Russo può darle la risposta definitiva sul suo abbandono. Parte, è vero, da una necessità basilare, ma il viaggio di Ciarli è una rivendicazione di libertà: non solo libertà sul fare le stesse cose che fanno gli uomini, ma anche libertà nel negare ciò che ci si aspetterebbe dal genere femminile, almeno nell'ottica ottocentesca.
«E che può fare una donna su una nave? Voi siete delicate, avete bisogno di lavarvi tutti i giorni, non siete forti come noi. È un lavoro duro, quello del mare. Non è roba per chi è fatto per stare in casa a occuparsi di mariti e figli.»«Sappi che ci sono state donne che hanno navigato per tutti i mari. Donne comandanti di flotte militari, donne corsare che combattevano meglio di qualunque altro uomo.» (pp. 102-103)
Con l'espediente, un po' abusato, del travestimento da uomo, Ciarli si imbarca per raggiungere l'Africa, nasconde la sua identità, sopravvive alla cattura dei corsari e aiuta nella ricerca dell'acqua nel deserto. Sfruttando le sue doti femminili si cala alla perfezione nel ruolo di spia, quasi a precorrere Mata Hari, e la sua esistenza oscilla nel cercare di ricoprire ruoli maschili e femminili, sempre in bilico tra il ricordare chi è e qual è il suo scopo e il lasciarsi sopraffare dall'identità di Florence de Sauvigny, l'alter ego da spia che hanno creato per lei. Si sorprende Ciarli di questa sua abilità e propensione a vivere nella menzogna e solo il ritrovamento della madre, se mai avverrà, potrà farle capire chi è veramente.
Rimasi chiusa nell'interrato di quell'edificio per un anno a imparare come mentire, intrigare, ingarbugliare, circuire, sedurre, tradire. E, se necessario, uccidere. Poi imparai gli odori, gli aromi dei liquori, il sapore dei cibi e il galateo. Mi insegnarono a rilassare il viso, che si trasformò in un'innocente maschera di porcellana, e a controllare il dolore, a convincere una serratura a cedermi i suoi segreti, a truccarmi, a vestirmi e a trasformarmi in altro. Ne uscii una spia a tutti gli effetti. (pp. 132-133)
Questa doppia natura si riscontra anche negli altri personaggi femminili che, nel bene e nel male, sfidano le convenzioni che le vorrebbero solo madri e compagne.
Ottocentesco nell'ambientazione e ottocentesco anche negli espedienti narrativi e nel registro di scrittura. L'oggetto di riconoscimento tra madre e figlia, la perla nera, e il travestimento da uomo riportano ai grandi romanzi d'avventura. La narrazione in prima persona perde a volte il focus, intervallata da altre voci e da ricordi che Ciarli riempie in virtù della sua prodigiosa memoria per le cose vere e inventate; forse, sarebbe stato più efficace e più in linea un narratore onnisciente per restare nel clima dell'Ottocento. I dialoghi mantengono un registro altissimo perdendo quindi in verosimiglianza, ma rientrano nell'illusione di trovarsi di fronte a una narrazione classica.
Con un ritmo che accelera soprattutto nella seconda parte, L'aroma inconfondibile del tè è un romanzo di avventura, ricerca e formazione che riporta chi legge al fascino ottocentesco e regala un'aura di mistero ai grandi eventi storici che si svolgono sotto gli occhi della coraggiosa Ciarli.
Giulia Pretta
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