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La fine di un matrimonio e della vita in una cornice surreale: "Divorzi" di Susan Taubes per Fazi Editore

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Divorzi
di Susan Taubes
Fazi Editore, marzo 2023

pp. 321
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)


Partenza, morte, infedeltà in una cornice surreale: la protagonista di Divorzi, Sophie Blind, è stata modellata sulla stessa autrice, come anche suo marito, Ezra, sul marito dell'autrice. Un racconto dunque fortemente autobiografico (Susan Taubes era ungherese e nella terza parte di questo romanzo fa un salto indietro nel tempo per raccontarci la sua Budapest), ma che abbandona la pura cronaca per preferire uno stile frammentato e incostante.

Una piccola introduzione prima di entrare nel vivo della recensione: Susan Taubes muore suicida nel 1969 avendo scritto solamente questo romanzo, il quale non ricevette delle recensioni granché incoraggianti. Le si rimproverava di aver creato un minestrone di concetti che facevano l'occhiolino un po' al femminismo, un po' alla nostalgia della sua madre patria. A voler essere precisi, le recensioni furono davvero pessime, e qualcuno vide un legame tra le critiche e il suo suicidio. Che l'abbia fatto solo per questo pare improbabile, il suo matrimonio disastroso e infelice potrebbe essere un motivo più valido.

Dunque, Sophie Blind ci parla da morta: racconta di essere stata investita da un taxi e ci descrive le sensazioni immediatamente post mortem. Da qui parte con una specie di narrazione a cavallo tra il ricordo e il sogno, tant'è che risulta difficile separare ciò che è davvero successo da ciò che non lo è. Sophie ci dipinge il suo matrimonio come un disastro, un rapporto estremamente tossico, nonostante abbia una certa "libertà" nel tradire suo marito (e lui lo sa). Insiste continuamente nel chiedere il divorzio a Ezra che, in un modo o nell'altro, se la cava sempre senza firmare. 
A lui piaceva che si vestisse sempre di nero. Di nero era vestita quando le aveva chiesto la mano, e le stava benissimo, e stava benissimo con i gioielli che le comprava. Ezra era sempre pronto a comprarle un bell'abito nero. Un bell'abito nero dura tutta la vita. Sophie, quello che sognava sempre di avere era una camicia da notte bianca, lunga e soffice, del miglior cotone o della migliore flanella. Ma Ezra non capiva perché lei la volesse. Stava meglio nuda. A volte le chiedeva di venire a letto con la pelliccia. La camicia da notte? Un lusso. (p. 20)
Di divorzi nel testo ce ne sono tanti: le zie di Sophie lasciano gli zii, la madre lascia il padre di Sophie per un uomo molto più giovane, gli ebrei lasciano la loro patria, Sophie lascia la vita. Il divorzio è ovunque e assume molte forme, divorzio non come atto amministrativo o giudiziario, ma come taglio, separazione dolorosa.
Sostanzialmente Sophie è una donna brillante affetta da una grave depressione, proprio come l'autrice: il matrimonio e il divorzio, pur essendo temi portanti, sono solo una scusa per cercare di rappresentare la donna in termini universali, come essere (anche) fragile, in bilico tra due mondi, quello dell'Europa dell'infanzia e dell'adolescenza che non le ha dato ciò che le serviva (forse in termini d'affetto e di emancipazione) e quello delle promesse degli Stati Uniti che, tutto sommato, la accettano, ma solo se tace sul suo passato. E dunque Sophie non riesce a integrarsi, ad avanzare, tanto che torna indietro andando a vivere a Parigi. 

Se dovessi definirlo, direi che è un romanzo sperimentale (per l'epoca): le linee temporali si confondono, le voci narranti cambiano persona, i luoghi s'intrecciano, così come i rapporti personali. Non è facile stargli dietro, lo dico sinceramente: ho fatto fatica a seguire il pensiero di Sophie, e di Susan, c'è tanta carne al fuoco, disposta in modo quasi casuale, disorientante. Per lo stesso motivo non è una lettura veloce: ogni capitolo richiede tantissimo tempo e riflessione, salvo la terza parte del libro che ritorna a Budapest, parte che descrive la sua vita in una famiglia ebraica in modo abbastanza lineare e piacevole. 
Il problema è arrivarci, a quella terza parte. Forse è uno di quei libri che devono trovare il momento giusto per essere letti, che bisogna lasciar decantare un po' prima di immergervisi. 

Lo consiglio a chi ha già letto testi più o meno sullo stesso tenore, "Notti insonni" di Elizabeth Hardwick, edito da Blackie Edizioni (è un po' più semplice da seguire) oppure qualcosa di Susan Sontag, grande amica dell'autrice.

Deborah D'Addetta