di Victoria MacKenzie
Il Saggiatore, aprile 2023
Traduzione di Viola Di Grado
pp. 170€ 17 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
[…] L’anima deve adempiere a due doveri. Uno è la meraviglia reverenziale. L’altro è l’umile sopportazione, traendo sempre piacere a Dio. (p. 121)
Nell’agiografia
classica e medievale, non mancano certo figure femminili che hanno donato la
loro intera esistenza alla preghiera e alla contemplazione della parola divina;
se ci soffermiamo, però, a riflettere sulle loro vite, noteremo di sicuro che l’aspetto
umano, quello concreto e tangibile, molte volte o manca o è solo accennato. E, sebbene sia insito in questo genere letterario rafforzare i fatti divini e dare
meno spazio a quelli umani, non possiamo dimenticare che Santi e
Sante erano uomini e donne che furono, in modo o nell’altro, protagonisti del
loro tempo. In Abbi pietà del mio piccolo
dolore, Victoria MacKenzie dà spazio a entrambe le sfere, raccontandoci la
vita di Margery Kempe e Julian di Norwich, che sacrificarono loro
stesse per vivere il proprio credo.
Entrambe
vissero in Inghilterra: Margery era una donna sposata con un marito misogino e
madre di quattordici figli. Julian, invece, ebbe la fortuna di non subire la
stessa violenza, ma non per questo la sua esistenza fu meno problematica: dopo
aver perso il padre e molti dei suoi fratelli, durante una epidemia di peste,
riuscì a sposarsi con l’uomo di cui era innamorata. Il matrimonio non durò
comunque molto, perché una nuova pestilenza le portò via il marito e la figlia
appena nata. E qui s’intravede la prima molla che le fa avvicinare alla
religione: il dolore. Entrambe cercarono nella religione un motivo della loro
sofferenza, tentando così di superarlo e andare avanti. L’avvicinamento però
sarà la svolta: da quel momento nessuna delle due riuscì a tornare alla vita di
prima. Esiste quindi “un prima e dopo conversione” nelle storie di Margery e Julian
che le condusse sulla via del monachesimo e del profetismo. Sì, perché entrambe
iniziarono ad avere visioni divine, ma Julian, dopo una febbre che la portò
quasi via, le nascose e non le raccontò mai per tutta la vita, quasi
vergognandosi.
Non parlai a nessuno delle mie visioni. Volevo del tempo per pensarci, ma sapevo anche non sarebbero state accolte favorevolmente. Il mio prete, padre Walter, aveva spesso parlato dei pericoli dell’eresia. Diceva che coloro le cui credenze si discostavano dagli insegnamenti della santa Chiesa sarebbero incorsi nella dannazione. La parola eresia pesava nel mio cuore. (p. 23)
Margery,
al contrario, raccontò pubblicamente le sue visioni. Il diverso atteggiamento
denota una natura caratteriale opposta: Julian, educata a essere timida e
riservata com’era uso all’epoca, conosceva benissimo la legge che non permetteva
alle donne di predicare in pubblico; Margery, invece, troverà nelle prediche
pubbliche quella libertà che aveva agognato fino a quel momento e continuò
anche quando gli abitanti di King’s Lynn si rivoltarono, tanto da
espellerla per sempre. Nonostante fosse la stessa passione religiosa a muovere le due donne, questo sentimento fu vissuto in modo diverso; dopo l’espulsione, infatti, Margery iniziò un
pellegrinaggio che la condusse a trovare una donna reclusa in cella da molti
anni: Julian. La donna di Norwich, infatti, dopo la morte della madre, si raccolse
in preghiera in una piccola stanza, attigua a un convento («Muri di pietra.
Muri di pietra. Muri di pietra. Muri di pietra. Muri di pietra», p. 83). L’incontro
tra le due è il punto focale del volume; raccontato in prima persona da
entrambe, è, prima che un confronto religioso, un incontro tra due donne che
hanno cercato, per tutta la vita, la loro ragione d’essere.
Dunque, Abbi pietà del mio
piccolo dolore è
il racconto di due donne che - in
un’Inghilterra che si faceva scudo dietro la religione per confermarsi oppressiva nei confronti del genere femminile, relegato ai ruoli di madre e moglie - lottarono per esprimere i loro pensieri.
Ecco perché Julian e Margery possono essere considerate ribelli; entrambe
rischiarono la loro stessa vita (le donne che predicavano erano considerate
eretiche e per questo arse vive) pur di non rinnegare la loro natura e il loro
essere:
Se vieni accusato di eresia ti sottopongono a un interrogatorio e se le tue risposte non vengono apprezzate ti bruciano vivo. (p. 27)
Victoria
MacKenzie, oltrepassando i confini classici della biografia religiosa e basandosi sulle parole e gli scritti delle due protagoniste, offre due storie femminili, prima che religiose, donandoci
così anche una visione più completa del contesto culturale e storico
dell’Inghilterra quattrocentesca.
Giada Marzocchi
Social Network