Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler
di Manja Präkels
Voland, 2023
Traduzione di Silvia Morante e Stephanie Kunzemann
pp. 248
€ 18,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
La sera del 3 ottobre (del 1990, giorno della riunificazione tra Germania Est e Germania Ovest, ndr) la gente ballava davanti alle birrerie. La Germania sembrava il nome di qualcosa che ci eravamo lasciati alle spalle. La Germania aveva perso la guerra. Adesso era lì che dovevamo cercare il nostro futuro. Davanti a tutti i locali i botti illuminavano il cielo (p. 112)
9 novembre 1989. Qual è l'immagine che abbiamo negli occhi se pensiamo ai tedeschi della Germania Est la sera della caduta del Muro di Berlino? Visi sorridenti alla guida di antiquate Trabant, pettinature un po' fuori moda, abiti di taglio datato, ma negli occhi la speranza della novità, la felicità della libertà. Un fiume di persone che si affacciavano entusiaste e titubanti sul magico mondo dell'Ovest, accolte dagli applausi di chi viveva al di qua del Muro. Che stava lì dal 1961... i più giovani non avevano mai visto nulla di diverso.
Ma probabilmente pochi di coloro che in quella giornata di impazzimento e felicità attraversavano brecce e confini riaperti immaginavano quello che di lì a poco li avrebbe aspettati.
Gli anni 90 nei territori della ex DDR non furono semplici. E forse noi non ne percepimmo a pieno il disagio, convinti che il solo "riaprire le porte" potesse essere un atto foriero di benessere. Fu così solo in parte. Il bel romanzo di Manja Präkels, Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler, ci racconta, con una prosa potente ed evocativa, l'atmosfera di quegli anni, la perdita improvvisa di tutto il mondo conosciuto, la difficoltà dell'essere proiettati in una società nella quale per molto tempo gli "Ossis" si sarebbero sentiti tedeschi di serie B, trascinati a stento dalla locomotiva madre. E in questo grumo di tensione le forme del disagio si polarizzarono ben presto negli estremi, con la nascita e la diffusione dei movimenti neonazisti.
Il romanzo della Präkels, tanto più lucido e incisivo perché in parte autobiografico, dipinge l'esatto momento in cui tutto cambia.
I primi capitoli si aprono su un mondo ancora chiuso, la DDR, in una cittadina sul fiume Havel, non lontana da Berlino. Nonostante il grigiore delle palazzine di stile sovietico, Mimi, la protagonista del romanzo, trasmette al lettore l'immagine di un mondo povero, ma solidale, semplice, ma sereno. Almeno ai suoi occhi di bimba, figlia di un'insegnante che credeva negli ideali del comunismo ed era stata nominata Capo Pioniere. Un mondo nel quale i valori sociali e civili si estrinsecano nella solidarietà collettiva.
Mimi vive con la madre, il padre, mezzo malato e spesso ubriaco, il fratellino Adolar e l'amata nonna Frieda, confidente e amica. Tra i compagni di giochi preferiti da Mimi c'è Oliver, il figlio dei vicini, con il quale va a pescare nei pomeriggi estivi e, durante le tavolate degli adulti che hanno sempre qualcosa da festeggiare, si apparta per mangiare di nascosto le ciliegie sotto spirito. Sono gli anni della scuola, dei campi estivi in Russia o in Polonia, il periodo delle regole che governano la collettività, lo sport, la disciplina. Sono gli anni in cui la pattinatrice Katarina Witt fa battere i cuori dei tedeschi dell'Est, portando la DDR sul podio più alto alle Olimpiadi di Sarajevo. Certo, i segni del disagio si fanno sentire, quelle cittadine grigie e anonime, soffocate dall'aria carbonifera delle industrie, sono posti dove si può morire di alcol da un giorno all'altro. Dove gli unici luoghi di aggregazione sono le birrerie, "luoghi tristi dove i sogni vengono lasciati all'entrata, come ombrelli appesi all'attaccapanni accanto alla porta e spesso dimenticati" (p. 85). Da questi paesi grigi e tristi ogni tanto qualcuno sparisce, "scappati dall'altra parte" (p. 61), "è andato dall'altra parte" (p. 63), si sussurra.
Avrei capito solo anni dopo che facevamo tutti parte di un mondo che stava morendo" (p. 74)
E questo mondo muore una sera di novembre del 1989. Da qui in poi il libro prende un'accelerazione inaspettata, sottolineata anche dalla scrittura, che evolve con la crescita della protagonista: mentre la prima parte si avvale di una struttura paratattica, breve e sincopata, a imitare il resoconto di ricordi infantili, il resto del romanzo si dispiega in una scrittura sempre più ricca ed evocativa, legata ai dialoghi, alle memorie e ai vissuti. Che si fanno sempre più intensi. Senza mai perdere quella vena di ironia e disincanto che sta alla base del racconto.
Il 1990 certifica la riunificazione delle due Germanie.
Nostra madre, dal canto suo, di fronte a un volgare commesso con una catenina d'oro, si stava rendendo conto che la forza bruta del capitale finanziario aveva trionfato sui suoi nobili ideali (p. 87)
Il capitalismo avanza come un treno in corsa, travolge le famiglie che scoprono di avere nuovi bisogni, i poveri vengono spinti al margine delle società, tanti perdono il lavoro. Non esiste più lo Stato "madre" a supplire alle difficoltà, ognuno deve cavarsela da sé. Aumentano le difficoltà, i morti di alcol, i suicidi. Ci sono stati 28 anni di Storia a dividere i tedeschi, la DDR è una nazione disorientata che ha perso la propria bussola. E ora?
Mentre tutto va in pezzi, c'è chi guarda al passato per riconoscersi in un nuovo ideale. Nascono i gruppi neonazi, le teste rasate, i "gorilla". E il capo del gruppo più facinoroso di queste squadracce è proprio Oliver, l'amico d'infanzia di Mimi. Nome di battaglia, Hitler. Ecco spiegato il titolo del romanzo (uguale anche nell'edizione tedesca) che però, a mio parere, rimandando a un altro periodo della storia tedesca, risulta fuorviante. Ma evidentemente risponde a precise scelte editoriali o dell'autrice stessa.
Mimi e Oliver/Hitler ora sono nemici, fanno parte di bande contrapposte. Insieme a Mimi ci sono Michael, i fratelli Zottel e Krischi, Mäckie il musicista, Timo. Gira droga, tanta droga, a tratti sembra un po' di tornare alle atmosfere di Christiane F., noi i ragazzi dello zoo di Berlino. Con meno tragedia e con una certa leggerezza diversa, non è più il tempo dell'eroina devastatrice degli anni 70.
I neri però fanno paura, a colpi di anfibi rinforzati d'acciaio spaccano crani, costole, spezzano gambe e braccia. Lo sconforto economico e il disagio sociale si vestono di giubbotti mimetici e si armano di spranghe. Mimi e i suoi compagni vengono presi di mira, come "zecche comuniste" e il romanzo si carica di tensione. Non tutti saranno così fortunati da vedere gli anni Duemila.
Ho letto diversi saggi sulla riunificazione delle due Germanie, sui momenti pre e post Muro, sui problemi che tale salto storico si è portato con sé, ma la potenza di un romanzo rende il tutto più coinvolgente.
Manja Präkels riesce a restituirci il quadro vivo e palpitante di un momento storico che forse non abbiamo compreso nel suo profondo. Una lettura che colpisce e aiuta a dare un volto a quei territori e a quelle persone che da un giorno all'altro videro cadere tutti i propri ideali e di punto in bianco dovettero credere nell'esatto contrario di ciò per cui avevano fino ad allora vissuto.
Sabrina Miglio