Estate
di Alessandro Vanoli
Il Mulino, maggio 2023
pp. 232
€ 18 (cartaceo)
€ 12,37 (ebook)
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Cosa vi viene in mente quando pensate alle stagioni? In questi anni per Il Mulino è uscita una quadrilogia che ha unito alla precisione dei dati una grande piacevolezza: Inverno (2018), Primavera (2020), Autunno (2020), Estate (2023) sono i quattro volumi che, firmati da Alessandro Vanoli, hanno accompagnato noi lettori alla scoperta di curiosità storiche, scientifiche, artistiche, letterarie, naturalistiche e non solo sulle quattro stagioni.
Da poco è arrivato in libreria il quarto e ultimo volume, Estate, che ha confermato il talento dell'autore nel sorprenderci con elementi che attraversano il tempo e le discipline. Se oggigiorno associamo l'estate al tempo delle vacanze, dobbiamo però ricordarci che il turismo estivo è relativamente recente: a lungo questa stagione così calda è stata associata a disagi enormi, dentro e fuori dalle campagne. Non a caso per gli antichi era il mezzogiorno a essere costellato di paure: non era la notte, ma le ore col sole a picco il momento in cui si rivelavano gli dèi e gli spiriti. E ad alimentare ulteriori preoccupazioni ci si sono sempre messi fattori climatici: un eccessivo caldo ha spesso reso fallimentari i raccolti, la siccità è stata causa di invasioni vere e proprie di locuste, un raccolto magro ha provocato l'immediata necessità di importare grano e altri cereali per cercare di fugare la denutrizione e il rischio di malattie infettive,... Insomma, l'estate ha tenuto in scacco gli uomini per migliaia di anni, col suo calore, i suoi insetti, gli eventi climatici anche estremi, con i suoi temporali e le sue guerre. Sì, perché è con la bella stagione che tanti guerrieri e soldati sono andati a misurarsi con i nemici, e non di rado le temperature altissime sono state causa della loro morte.
Quando l'estate ha smesso di farci paura? Quando possiamo dire di averla "addomesticata" con condizionatori, frigoriferi e altri strumenti che hanno limitato i disagi estivi? E, viene da chiedersi, a quali compromessi si è arrivati a tutto ciò?
A queste e a tante altre domande risponde il libro di Alessandro Vanoli, preciso come un saggio ma dalla prosa da romanzo.
Al Salone del Libro di Torino ho incontrato l'autore e ho avuto modo di rivolgergli un po' di domande su questo progetto ambizioso. Ringrazio ancora Alessandro Vanoli per la generosità e la casa editrice per la disponibilità.
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Credits: ©Mastronardi fotografia (Riproduzione autorizzata dalla casa editrice) |
Da cosa è nata l’idea di questo progetto ambizioso? Ho amato alla follia la quadrilogia sulle stagioni, pur trovandola piuttosto impegnativa, perché non è semplice dedicarsi a libri che seguono una stessa impostazione per anni. Specialmente per me, che amo cambiare spesso progetto di scrittura. L’idea è nata anni fa da una riflessione con la mia editor Alessia Graziano, a cui devo tanto: il senso doveva essere quello di unire la ricerca delle nostre radici (e questo è un periodo storico in cui si studiano molto le radici) al rapporto geologico che abbiamo con la natura, con gli astri, con il clima,… Non ero nuovo a questa ricerca delle nostre radici e mi riferisco al libro dedicato al Mediterraneo [n.d.r. si tratta di Quando guidavano le stelle. Viaggio sentimentale nel Mediterraneo, edito dal Mulino nel 2019].
Quando leggiamo uno dei volumi dedicati alle stagioni, siamo subito colpiti dalla piacevolezza con cui si passa da un argomento a un altro. Come si fa un libro del genere, che mantenga leggerezza, pur con dei contenuti complessi?
Bisogna scrivere in maniera divertente, divertendoti tu per primo. Ho cercato di unire il dato alla narrazione. Penso che la narrazione non sia fine a sé stessa, ma che debba aiutare a dare il senso dell’operazione: quando provi a scrivere in maniera più poetica non lo fai per il gusto di raccontare, ma perché evocare ha il potere di far vivere una cosa.
Cosa vorresti sentirti dire dai lettori di questa quadrilogia?
La speranza è che quando i libri e io tramite loro stiamo sul comodino delle persone, non rompiamo loro troppo le scatole. Che i lettori abbiano scelto i miei libri dopo una giornata pesante mi fa sentire molto grato. E spero che vadano a letto felici dopo aver letto qualche pagina che li ha divertiti. Uno, alla fine di Estate o di Primavera, può dire: “ho anche imparato”, ma, se non si è divertito, non mi sento pienamente soddisfatto.
Avevi in mente un lettore ideale a cui consigliare la quadrilogia?
No. È vero che nei volumi ci sono dentro talmente tanta letteratura, fonti antiche, storia che è difficile approcciare un libro così per persone completamente digiune di lettura. Però non lo escludo, perché ogni contenuto è stato spiegato, per mettere tutti nella condizione di comprendere. Forse l’unica cosa davvero fondamentale per leggere quest’opera è avere un po’ di curiosità e l’abitudine di chiedersi “che cos’è?”.
Qual è stata la sfida principale durante la stesura delle quattro stagioni?
Trovare il ritmo. Il testo deve procedere come se fosse musica; è difficile da spiegare, ma è così: se non trovi il ritmo, il libro non funziona. Non solo ci voleva un certo ritmo per questo o quel paragrafo; ogni libro doveva averne uno suo, che fosse riconoscibile. Spero che lo si percepisca! È stato più facile trovare il ritmo con le stagioni definite, l’estate e l’inverno.
Come hai lavorato alla ricerca e all’assemblaggio delle diverse parti?
Più facevo libri e più accumulavo materiale utile anche per altre stagioni. Partiamo dal presupposto che, da storico, normalmente ragiono cadenzando gli eventi dal passato al presente, e quindi porto con me quest’abitudine all’ordine cronologico. Poi mi chiedo: cosa vorrei leggere sull’autunno? Cosa sull’estate? E stilo delle liste. Ad esempio, con Primavera mi è venuta la tentazione di parlare di fiori e dunque ho fatto ricerca per inserire curiosità e storie relative ai fiori al termine dei diversi capitoli. Con Estate è stato inevitabile scrivere degli insetti, e quindi ecco la breve storia della zanzara o quella sulle lucciole. Deciso questo, procedo poi per associazioni: posso sempre attaccarmi ai miti, che hanno un rapporto diretto con i cicli agrari, per cui poi ragiono in termini più materiali su cosa significhi nelle varie epoche dissodare la terra, seminare,… E poi mi chiedo chi ha poetato su questo, chi ha fatto rappresentazioni artistiche e via dicendo, costruendo una serie di collegamenti di questo tipo, che fluiscano da un ambito del sapere all’altro.
In questi libri si percepisce bene che, con il tempo che passa, avvengono cambiamenti…
Fondamentale è stato tenere a mente sempre che, siccome è una storia, e dunque non è biologia, non è geologia, ma riguarda gli uomini, non c’è prodotto umano che non cambi nel tempo. Dunque, inevitabilmente quando pensi a questo devi chiederti: come è cambiato l’inverno? Quando hanno introdotto le prime forme di riscaldamento nelle case? E che impatto ha avuto questo? Come è cambiata l’estate? Quando hanno messo l’aria condizionata? O quando abbiamo iniziato a pensare all’estate come tempo per le vacanze?
In questi libri si percepisce bene infatti il tempo che passa.
Qual è il tuo parere sulla tendenza di tanti saggi e manuali ad attualizzare?
Sono convinto che nella divulgazione e a scuola la tendenza ad attualizzare risponda alla convinzione che ci siano contenuti troppo difficili da digerire; in quest’ottica troviamo una rincorsa a rendere le cose semplici (e fin qui, tutto bene); per imperizia, spesso viene semplice attualizzarle. Può funzionare, ad esempio nel mondo televisivo con altri strumenti, ma sul piano didattico o letterario è pericolosissimo. E molto svilente: non siamo davvero più in grado di digerire la complessità?! Forse c’è solo da fare un po’ più di lavoro (non di fatica), muovendoci dentro un mondo leggermente più articolato rispetto a quello che gestiamo nel quotidiano. Ma è nel rispetto di chi ci legge, ad esempio degli studenti, che occorre provare a rendere la complessità di nuovo un valore.
Vorrei che ci soffermassimo sulla natura, un macro-tema che attraversa tutta la quadrilogia. A volte l’uomo imita la natura, altrove la maltratta o ne prende le distanze. Dentro ai tuoi libri possiamo trovare la volontà di confrontarsi con i cambiamenti climatici e con i drammi ambientali che stanno avvenendo? Certamente. L’ultimo capitolo è proprio sull’ultima estate della Terra e sapevo che la quadrilogia si sarebbe conclusa così fin dall’inizio della stesura di Inverno. Ci sono osservazioni climatiche che sono arrivate quasi da sole, e sono molto militanti, o almeno spero che lo siano! Così è stato anche il libro sul Mediterraneo. Questa quadrilogia deve essere una riflessione sul nostro posto nella natura. Normalmente uno storico si occupa di altro, si concentra sull’uomo nel tempo, e quindi i problemi geologici un po’ lo sorpassano, ma l’antropizzazione è ciò su cui ci siamo giocati la cultura e la civiltà. E quindi, di fatto, incidiamo moltissimo sulla natura, nel bene e nel male; e nel nostro rapporto con la natura si è misurato tanto della nostra traiettoria culturale (non la chiamerò mai evoluzione, perché non sono convinto che la si possa definire tale)…
Ragionare sulle stagioni nel tempo è un ottimo modo per lanciare un messaggio che sia anche politico, ecologista…
In effetti, le stagioni sono perfette per far questo: incardinano il soggetto, quindi sei obbligato a pensare l’uomo collegato ai cicli naturali. Le stagioni sono sempre cambiate nel corso della storia. Purtroppo questo viene a volte travisato, come ho scoperto nelle presentazioni dei libri: chi non crede troppo nel cambiamento climatico, spesso crede che i miei libri supportino l’idea di un cambiamento costante, a prescindere dall’impatto umano. Invece non è così: il dato antropico è innegabile oggi. Basti notare che l’impennarsi della presenza del carbonio nell’atmosfera coincide in modo millimetrico con l’incremento dell’industrializzazione. In seconda battuta questo rapporto con la natura ha molto a che vedere con la nostra trasformazione in animali tecnologici e scientifici. Poco alla volta ci siamo distaccati dalla natura; si potrebbe raccontare la storia delle stagioni proprio seguendo questo progressivo distacco, che si verifica in modo massiccio tra Cinquecento e Seicento, quando si comincia a colpi di scienza e di nuovo metodo a staccare l’oggetto dall’analisi, contrapponendo soggetto e oggetto… Lo si vede anche con Linneo, col bisogno di dare un nome alle cose e, quindi, di mantenere una distanza critica dall’oggetto che andiamo a descrivere, definire,…
E adesso a che punto siamo arrivati?
Adesso secondo me tra l’uomo e la natura c’è una distanza incolmabile. Eppure siamo ancora profondamente influenzati dalla natura e dalle stagioni, anche se fingiamo di essere avulsi da tutto ciò: basta pensare a quanto le temperature estreme ci condizionino per ricordarci che siamo fatti di natura anche noi…
Conclusa questa quadrilogia, ci sono già nuovi progetti in corso?
Oltre a un manuale scolastico per le scuole medie, sto scrivendo un libro per Treccani che apparterrà a una nuova collana curata da Paolo di Paolo, che ragiona su cosa ci è rimasto dei nostri saperi scolastici; in particolare, lavoro sulla linea del tempo, in modo molto giocoso. Invece per Giunti uscirà un libro per ragazzi dedicato ai pirati, che mi sta divertendo molto. E sto iniziando a gettare le basi per un nuovo libro per Laterza, sull’invenzione dell’Occidente.
Intervista a cura di GMGhioni