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«L'abitudine ad abitare dentro la letteratura»: intervista a Luigi Weber

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Navi nel deserto
di Luigi Weber
Il ramo e la foglia edizioni, gennaio 2023

pp. 376
€19 (cartaceo)

Abbiamo incontrato Luigi Weber, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Bologna e autore di Navi nel deserto, esordio che abbiamo recensito qui. Il libro, che ha avuto una gestazione di quasi trent'anni, sfiora la letteratura di genere, la fantascienza, ma poi se ne discosta: questo grazie alla sua stratificazione di influenze letterarie, ai pastiche linguistici, alle riflessioni sotterranee sugli antri bui dell'animo umano. Chiacchierando con l'autore abbiamo cercato di capire quale sia stato il suo lavoro sulla trama, sui livelli narrativi e sulla lingua di un'opera così complessa, e ci siamo trovati di fronte a una grande consapevolezza letteraria e a un contagioso innamoramento per la scrittura, passione di una vita intera. Ci ha rivelato anche la soluzione a qualche enigma sparso qua e là nel testo, ma questi abbiamo omesso di trascriverli: starà al lettore attento mettersi in gioco.

Il romanzo è al crocevia di vari generi: fantascientifico, post-apocalittico, romanzo d’avventura e se vogliamo anche di formazione. 
Non voleva essere un libro di genere fantascientifico, anche se una parte del mio immaginario si è formata da ragazzo sui libri di fantascienza, da Ballard a Philip Dick. Un editore di genere me l’avrebbe bocciato, alcuni editori mi hanno proposto di tagliare parti del romanzo che sono fondamentali, strutturali, non avrei mai potuto acconsentire. Il romanzo nasce soprattutto dall’intersecarsi di due trame conradiane, Freya e le sette isole e L’inquilino segreto, che ho unito. Ma in Conrad avviene il contrario, tra Freya e l’amato. 

Ma l’intertestualità su Conrad non è palese, più che un occhiolino al lettore attento sembra un omaggio camuffato. 
In molte cose mi sono concentrato sugli spunti delle trame conradiane, ma non mi interessava il citazionismo: volevo vedere come, costrette dentro paletti diversi, queste storie preesistenti dovevano trasformarsi offrendo spunti di riflessione ulteriore. Sono dei materiali da costruzione che ho utilizzato rovesciandoli, riprendendo elementi latenti e così via. Come con la fantascienza, c’è un lavoro di travestimento: la fantascienza è molto visibile, ma non mi interessava così tanto, Conrad invece è poco visibile ma mi serve per raccontare cose che mi stavano a cuore. 

Tra i suoi modelli di riferimento, possiamo forse citare anche due italiani, Michele Mari ed Enzo Sinigaglia, per quanto riguarda il lavoro sulla lingua che a volte sfiora il pastiche. 
C’è una scena in particolare in cui mi sono avvicinato al pastiche, volevo provare a raccontare un sogno in cui c’è qualcosa, non si capisce bene cosa, che ha a che fare con l’erotismo e la violenza. Allo stesso tempo è piena di parole appiccicate, sequenze foniche che si generano, i significanti hanno una loro autonomia. Volevo fosse un sogno enigmatico come tutti, ma fosse anche evocativo, più che narrativo: volevo dare l'idea della natura da un lato metamorfica, dall'altra condensata, anche le parole tendono a scindersi e fondersi per generarne altre: insomma volevo che avesse una sua vischiosità. E poi è collocato in posizione perfida: alla luce del contesto in cui è collocato, questo sogno pieno di sadismo serve a dare l'idea che il personaggio che sogna, da buon borghese, in realtà sia stato mosso dall'incontro con i pirati, si concede nell'inconscio di essere pirata a sua volta.

Infatti nel libro c’è tanta aberrazione, violenze, soprusi perpetuati da gerarchie di potere che sembrano sopravvivere anche all’apocalisse che ha sommerso di sabbia il mondo. 
Esatto, una sorta di patina perbenista della società viene tolta e rimangono realtà più oscure operanti. Tant’è che l’anima più nera del romanzo è il vescovo, più che il capo pirata. In ogni caso non volevo fare un ragionamento legato all’attualità, quando ho cominciato a scrivere il libro le polemiche sui malcomportamenti del clero erano ancora lontane, in ogni caso  quel che mi interessava di più era un ragionamento sul potere e sul fatto che chi lo detiene tende ad abusarne. 

E di fronte agli orrori perpetrati dell’umanità la letteratura si deve limitare a denunciare, o deve mostrare la via per uscirne più illuminati? 
Di orrori, erotismi e ideologie la letteratura è piena, ma deve saperli raccontare in modo non gratuito, puramente manifesto. Se una questione è abbastanza forte da turbare, ma abbastanza oscura da richiederti un pensiero in merito, può essere giustificata. Sono due elementi da tenere insieme. Se offro subito una soluzione alla più scioccante e provocatoria delle mie scritture, l’ho già esaurita, ma se suscito una riflessione non sto solo vendendo un’emozione. 

Essere critico e professore universitario prima che scrittore, e quindi conoscere a fondo la letteratura e i suoi strumenti, l’ha facilitata nella scrittura? 
Scrivo da quando ho potuto tenere una penna in mano, nella mia infanzia e adolescenza ho scritto tantissimo, poi mi sono fermato quando ho cominciato a fare studi più consapevoli: mi sono dedicato a ciò che amo di più, leggere e insegnare gli altri, i grandi, ma nel frattempo in modo sotterraneo la scrittura continuava. È ovvio che la lettura, le tecniche e i modelli sono cresciuti con me, ne ho fatto tesoro e li ho inseriti nel romanzo, ma è una dialettica complessa. Non aiuta in assoluto perché uno scrittore molto consapevole tecnicamente non è detto che scriva un’ottima opera, può essere al massimo un virtuoso. Io nel mio caso specifico avevo la passione per il raccontare storie e l’abitudine ad abitare dentro la letteratura: si sono mescolate la passione per raccontare storie e la consapevolezza della loro grammatica. Come per i musicisti, la tecnica serve a dare forma all’ispirazione, è importantissima per poter dire qualcosa di sé. Sono due dimensioni che a livelli diversi coabitano sempre. 

Qual è stato il personaggio più difficile da scrivere? 
Il personaggio che era più difficile ma che mi ha sorpreso di più è Freya, che ha preso vita da sé. Nella mia idea della storia era un personaggio egocentrico e manipolatore, poi però arriva a rovesciare il tavolo argomentando molto bene la sua rabbia. Arriva a maturare una serie di contraddizioni sull’uomo che aspetta, lo ridimensiona. Ho trovato una vitalità dentro questo personaggio che non mi aspettavo.

Introduzione e intervista a cura di Michela La Grotteria
Foto fornita dall'autore
Ringraziamo l'autore e la casa editrice per la generosità e la disponibilità