Ucraina senza ebrei
Dov’è il popolo ebraico? Chi la farà, la domanda funesta, al Caino del ventesimo secolo? Dove sono gli ebrei che vivevano in Ucraina? Dove sono le centinaia di migliaia di vecchie e bambini, dov’è il milione di ebrei che tre anni fa viveva e lavorava su questa terra in pace e in armonia con gli ucraini? Hanno ucciso un popolo, lo hanno calpestato. (p.20)
Questi sono gli interrogativi pieni di rabbia e di dolore che assillano martellanti in più parti le pagine del reportage che Grossman scrisse nel 1943, dopo la liberazione dall’esercito tedesco da parte delle truppe dell’Armata rossa in seguito alla battaglia di Stalingrado. Questi interrogativi urlano nel libro e risuonano nell’eco dei silenzi tra le parole dello scritto, in origine destinato al periodico «Krasnaja zvezda», ossia «Stella rossa», unico canale di informazione del Ministero della difesa sovietico. L’autore, ebreo russo nato in Ucraina, a Berdičev, è parte di quel popolo sul quale si è scatenata la follia nazifascista e conosce in prima persona cosa vuol dire essere ebreo in quella terra: gli ebrei, prima dell’Olocausto, erano il cuore pulsante del Paese, ben accolti e integrati quasi come se fossero cittadini a pieno titolo. In quei villaggi si erano creati legami fraterni tra gli ebrei, stanziati stabilmente lì da tempo immemore, e le comunità del posto: l’assenza di quegli ebrei, di alcuni dei quali conosciuti personalmente da Grossman, è di un silenzio surreale, incredulo.
All’ingresso dei soldati sovietici, la terra ucraina si presenta distrutta e senza vita, sporca del sale delle lacrime e del sangue degli innocenti sacrificati in nome di una lucida, bestiale e fredda furia antisemita. Con la sua scrittura asciutta e lucida che mira all’essenziale senza risuonanti fronzoli retorici, l’autore, al silenzio delle campagne deserte dell’Ucraina, risponde ricordando non i nomi degli ebrei uccisi - sarebbe impossibile, sostiene - ma i loro diversi contributi alla crescita culturale e all’economia dell’Europa, dal ciabattino allo scienziato, dagli anziani ai neonati ancora attaccati al seno materno.
Li hanno uccisi tutti, centinaia di migliaia, milioni di ebrei ucraini. Non è come morire in guerra, arma in pugno, dopo avere lasciato casa, famiglia, campi, canzoni. Libri, tradizioni, racconti. Qui hanno ucciso un popolo, hanno ucciso le case, le famiglie, i libri e una fede; […]. Hanno ucciso la morale di un popolo, i suoi usi quotidiani, le barzellette tramandate dai vecchi ai figli, hanno ucciso i ricordi, le canzoni tristi, la poesia di una vita allegra e amara insieme, hanno devastato case, famiglie, cimiteri; è la morte di un popolo che per secoli è vissuto fianco a fianco col popolo ucraino, che sulla sua stessa terra ha sgobbato, ha peccato e ha fatto cose buone, e che su quella stessa terra è poi morto. (p.17)
Dichiarando guerra agli ebrei, il fascismo ha potuto dichiararla al marxismo e al nuovo ordine sociale russo, ma anche alla plutocrazia di Inghilterra, America e Francia. (p. 38)
Grossman in queste pagine indaga con estrema lucidità le motivazioni che hanno spinto la Germania a scatenare la sua furia omicida contro gli ebrei e le ritrova, non solo nell’ egoismo tipico dell’ideologia nazista, che ha trovato più comodo affidarsi a pregiudizi secolari, ma anche nel desiderio di rivalsa in seguito alla sconfitta del primo conflitto mondiale. Questo desiderio reazionario ha travolto completamente secoli di scienza, di arte, di letteratura, annullando la civiltà tedesca insieme a quella di tante altre nazioni. I capi nazisti e fascisti sono definiti uomini privi di scrupoli che col loro carisma hanno saputo incanalare il malcontento e le frustrazioni del popolo verso un altro senza patria fissa. Tuttavia, spiega Grossman, con grande acume e conoscenza del cuore umano « l’antisemitismo ideologico è un fenomeno che nasce dal bisogno fisiologico di spiegare i mali del mondo e delle persone guardando uno specchio anziché sé stessi» (p. 51). Gli ebrei sanno adattarsi a tutti i cambiamenti sociali, in virtù della loro tragica storia, ma anche del loro carattere e da secoli sono sempre stati il capro espiatorio delle calamità naturali e delle colpe e degli errori di altri popoli.
Ma il nazismo di cosa accusa gli ebrei? Di decine di peccati mortali. La cosa più paradossale e sorprendente, però, è che descrivendo i tratti peculiari degli ebrei, affibbiando loro un razzismo fanatico, la brama di potere sul mondo, quella di ridurre in schiavitù l’umanità intera, di sconfiggerla e dominarla a propria discrezione, il nazionalsocialismo ripete fatalmente quanto di lui avevano detto gli antisemiti di ogni epoca: descrivendo il popolo ebraico, i nazisti descrivono sé stessi, affibbiano agli ebrei i propri tratti, i propri vizi e le intenzioni criminali che loro stessi covano in seno. (p. 57)
Marianna Inserra
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