La nuova frontiera, Febbraio 2023
pp. 144
€ 16,90 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Dola de Jong aveva pubblicato
un libro prima di L'albero e la vite,
molto apprezzato perché "pacato e ponderato", come scrive il New York
Times. Riprendo questo giudizio per applicarlo anche al secondo libro, quello
oggetto della recensione. L'autrice riesce a trattare il tema controverso
dell'amore tra donne senza mettere
l'accento sui particolari, colpa probabilmente anche del tempo visto che in
quegli anni era considerato una malattia, di alcun tipo, prediligendo l'interiorità dei personaggi, la loro
storia e il rapporto complesso tra le due protagoniste. Questa assenza di
particolari mi risulta però fredda, lontana: da una parte potrebbe esser dovuto
al fatto che gli eventi sono distanti dal tempo della narrazione, e dal punto
di vista unilaterale di Bea, una donna misurata, razionale, tranquilla,
dall'aspetto un po' scialbo, che vuole elaborare finalmente quello che è stato
il suo rapporto con Erica, una persona sempre in movimento, capace di sparire
per giorni, volubile e insicura. Dall'altra non sono riuscita a immergermi
nella storia, nei personaggi, non ho ritrovato nella narrazione e nella scelta
di alcune immagini significative un testo così diverso da altri. Fatico a
inserire questo libro nel suo tempo, se non nella parte unica della relazione
tra donne, che pure in realtà mi sembra quasi sullo sfondo, molto più della
guerra.
Andiamo però al testo. Erica e Bea si conoscono a una festa di una amica comune e dopo poco decidono di prendere in affitto una casa insieme.
Ciascuna di noi avrebbe fatto la propria vita. Era una condizione che ci eravamo poste, dettata dal desiderio infantile di conservare una parvenza di libertà che in realtà naturalmente non esigevamo l'una dall'altra. […] Ci attenevamo a quella condizione in un modo che ora mi sembra spasmodico, e di fatto mi impediva di concedere e accettare un'amicizia più profonda.
Una porta tra le loro stanze, sempre chiusa, permetteva di non immischiarsi nella vita dell'altra con la possibilità, però, di essere sempre raggiungibili nel momento del bisogno. Si fatica a capire che tra loro c'è attrazione, è un qualcosa di latente, strizza l'occhio ma senza essere mai messo nero su bianco. Danno l'idea di due amiche che, come i due poli opposti, non riescono a star l'una senza l'altra. Bea in qualche modo fa da madre a Erica, prendendo il posto della vera madre con la quale ha un pessimo rapporto ma da cui non riesce comunque ad allontanarsi. Sono l'albero e la vite: l'albero, Bea, copre la vite e le dà la possibilità di crescere, mentre Erica è la vite che si aggroviglia sull'albero soffocandolo.
Ci sono altri personaggi, soprattutto donne, che girano intorno a Erica e sono loro a far capire quali siano le sue preferenze sessuali. Ma neanche questo permette di soffermarsi sul tema, forse naturale o forse in secondo piano rispetto al fulcro di tutto, la psicologia delle due protagoniste. Conosciamo quindi la sofferenza di Erica per relazioni insoddisfacenti, dolorose, e quelle di Bea con degli uomini che ben presto finiscono senza lasciare strascichi, eppure ancora sembra che tra loro due ci sia un attaccamento inspiegabilmente morboso e che nulla ha a che vedere con l'attrazione.
Arriverà il momento della
verità per entrambe, della presa di consapevolezza di quello che provano l'una
per l'altra, della loro vera natura, delle difficoltà a vivere pienamente.
«Io sono fatta così!» mi strillò in faccia allora. «Sono fatta così!» Il suo viso bagnato di lacrime e contratto in una smorfia di dolore e trionfo al tempo stesso, era rivolto verso di me. «E anche tu sei così. Anche tu, Bea. Ammettilo, dai! Ammettilo!»
Erica parlerà per la prima volta di anormalità, di essere sbagliata ma riuscirà anche ad accettarsi e a godersi la vita, con una nuova leggerezza. Ma Bea no: darà un senso a tutte le donne passate, alle sue avventura ma non accetterà di aver ceduto per una sola notte.
Ciò che mi ha colpito del testo
è l'assoluta abnegazione di Bea nei
confronti di Erica. Sopportare ogni silenzio, ogni sbaglio, ogni cattiveria,
esserci per aiutarla a risalire dal fondo, trasferirsi lontana dalla città per
lei e rimanere sola per le continue sparizioni di Erica, godere i pochi momenti
di complicità e la sua storia del momento anche in viaggio, lontane da casa,
come un terzo elemento di disturbo. E non basta l'attrazione, l'amore, qui
siamo in un luogo sconosciuto dell'anima e della mente umana, credo che ci sia anche
una parte egoistica in Bea che rimane attaccata a Erica per un bisogno di
condivisione, anche intermittente, che non può esserci se non con lei. Un
bisogno anche di aiutare qualcuno, sentirsi indispensabile, la persona da cui
tornare sempre in un modo o nell'altro. E
sicuramente c'è in Erica un senso di maternità
che ritrova in Bea. Erica è giovane, confusa, alla costante ricerca di
qualcosa, insoddisfatta ma soprattutto ribelle in risposta a una madre
anaffettiva e giudicante e un padre assente, ed ebreo. Perché esplicitarlo?
Perché in Olanda, durante la narrazione dei fatti, i nazisti invadono il paese.
Erica, mezza ebrea, deciderà di non scappare per combattere contro l'invasore
ma soprattutto contro la madre, strenue difensore della pulizia etnica che non
ci penserà due volte a fare arrestare sua figlia. Sarà Bea a tentare in ogni
modo di salvare Erica.
Viviana Calabria