"Un chilo alla volta" di Irene Vella: la rinascita dopo la malattia dell'obesità

 


Un chilo alla volta
di Irene Vella
Feltrinelli (Collana Urrà), 2023

pp. 220
€ 17 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Sapete qual è la verità? Che l'assioma "obeso uguale pigro", mancante di forza di volontà, è arduo se non quasi impossibile da sradicare. Se a dubitare di te sono anche le persone che ti vivono accanto, come puoi convincere il resto del mondo che ci sono cose, situazioni e momenti della vita in cui non basta volere fortemente un cambiamento perché questo si avveri? (p. 16)

Fino a poco tempo fa per me Irene Vella era soltanto l'autrice della bella poesia La primavera non lo sapeva, uno straordinario inno alla speranza ed alla vita pubblicato sul suo blog nel corso del lockdown del 2020 e divenuta immediatamente virale in tutto il mondo.

Però negli ultimi mesi sono venuta a conoscenza della pubblicazione di un suo libro autobiografico, Un chilo alla volta (Feltrinelli, 2023), e mi sono sentita inspiegabilmente attratta da questo titolo, così non ho potuto fare a meno di leggerlo.

La storia della giornalista toscana Irene Vella è intrecciata a doppio nodo col problema col quale ha combattuto per oltre vent'anni, ovvero l'obesità, e con l'operazione chirurgica che le ha consentito di risalire lentamente ma inarrestabilmente la china. Ma procediamo con ordine.

Irene Vella racconta con una scrittura semplice ma incisiva la sua infanzia, l'affetto dei genitori e dei nonni, gli studi, le amicizie, fino all'incontro con l'amatissimo marito e fino alla scoperta della malattia di quest'ultimo, un'insufficienza renale cronica, affrontata con coraggio dalla giornalista, sino alla scelta di donargli un rene nel 2003 per salvarlo. Ed è proprio nella malattia del marito (che dopo quasi vent'anni ha dovuto subire un nuovo trapianto di rene) che Irene trova la causa anche della sua di malattia, un'obesità che la spinge a cercare il cibo come fosse un'àncora di salvezza, come se attraverso il cibo lei potesse cibarsi anche del male e del dolore dell'uomo che ama, in una spirale autodistruttiva che mina anche la sua salute.

Se solo avessi capito la differenza tra "il remare contro" e "il remare verso", forse non sarei caduta così tante volte. Ma, alla fine, siamo la somma dei nostri sbagli, perché sono anche quelli che ci aiutano a crescere. (p. 37)

Per fortuna Irene riesce a prendere consapevolezza della propria malattia (perché di questo si tratta, anche se il più delle volte la nostra società fatica a percepire che l'obesità è una malattia al pari delle altre, e non un "difetto" dato dalla pigrizia o dalla mancanza di forza di volontà) e a trovare la forza per chiedere un aiuto medico. In poco tempo si mette in contatto con un bravissimo chirurgo bariatrico che finalmente si accorge del suo problema e trova una soluzione: la sleeve gastrectomy, ossia la riduzione di gran parte dello stomaco, così da raggiungere la sazietà con l'assunzione di pochissimo cibo.

Dal momento dell'operazione Irene si sente diversa e, con la perdita di svariati chilogrammi, si riappropria del suo corpo e della sua vita, ritornando a riconoscere sé stessa e risalendo dal baratro dell'obesità.

Tutti abbiamo diritto alla nostra fetta di infelicità. Non è perché gli altri c vedono forti, che dobbiamo esserlo sempre. La debolezza non è un sentimento di cui vergognarsi, ci vuole coraggio per essere deboli, il coraggio di mettersi a nudo. (p. 60)

C'è stato un passaggio di questo libro che mi ha colpita, che mi ha scossa nel profondo: quello nel quale Irene descrive il suo rapporto con gli specchi.

Da piccola amavo gli specchi, avevo un senso di adorazione per quelle lastre di vetro che riproducevano immagini. Non ho mai pensato che rubassero l'anima, anzi, sono sempre stata convinta del contrario cioè che riuscissero mostrare la versione migliore di sé stessi. Ero sicura che fossero in grado si catturare quello che, da soli, gli occhi, non erano capaci di scorgere, come una GoPro ante litteram (...) Forse ho imparato così ad amarmi, perché quello che vedevo mi piaceva. E sapete quando l'ho capito? Quando la storia d'amore tra me e lo specchio ha iniziato a incrinarsi; quando ho smesso di sentire il calore di quell'abbraccio, ma ho iniziato a percepire il dolore di un'immagine un cui non mi riconoscevo. (pp. 29-32)

In queste poche righe io mi sono rivista, ho riconosciuto il dolore di Irene perché ho rivisto il mio: quando si è obesi lo specchio diventa il tuo nemico peggiore, quando si è grassi ci si trova nella situazione per certi aspetti pirandelliana di non riconoscersi nella propria immagine riflessa, ma di doverci comunque fare i conti.

Quando ho letto questo brano ho finalmente capito perché questa storia mi avesse "chiamata", perché avevo sentito che Irene stava parlando con me: perché anche io per tanto tempo ho avuto terrore di rivedermi in uno specchio, finché non sono riuscita a far pace prima con me stessa, e poi con il mio aspetto esteriore.

La storia di Irene Vella è un inno alla vita e all'amore, l'amore e l'affetto dei suoi cari (primo tra tutti il marito) e verso sé stessa, che le hanno consentito di fare il primo passo verso la risoluzione di qualsiasi problema: prenderne atto e cercare aiuto.

In un periodo nel quale si fanno tanti proclami su body positivity e accettazione della diversità, una storia come quella raccontata da Irene Vella può diventare un inno all'inclusione, alla comprensione ed all'empatia molto più dei numerosi slogan vuoti e pieni di ipocrisia.

Un chilo alla volta è un libro che si legge velocemente, ma che lascia una traccia indelebile in tutti coloro che sono in grado di ascoltare le richieste d'aiuto provenienti dalle persone che stanno al nostro fianco e che soffrono ogni giorno.

È difficile scrivere queste cose, perché confessare di essere stata una stupida superficiale per una buona parte della mia esistenza non è certamente semplice, ma raccontarle mi fa capire come spesso siano le circostanze o gli ambienti dove cresci a forgiare le tue idee e le tue convinzioni, e non viceversa, almeno fino a quando non raggiungi la maturità o la lucidità per poterle maneggiare con cura e, finalmente, sradicare dai meandri del tuo cervello. Forse quella maturità non l'ho acquisita nemmeno adesso, forse quella che ho raggiunto è solo una fora di consapevolezza e di sicurezza che però mi ha permesso di chiamare le cose con il loro nome e di vedere la bellezza per ciò che realmente è. A prescindere dal peso (p. 27).

Ilaria Pocaforza