La tormentata relazione tra Italia fascista e Russia comunista. Una ricerca eccezionale su una parte della storia recente ancora poco conosciuta a cura di Maria Teresa Giusti





Le relazioni pericolose. Italia fascista e Russia comunista
di Maria Teresa Giusti
Il Mulino, 31 marzo 2023

pp. 360
€ 32,00 (cartaceo)
€ 19,02 (eBook)


Un saggio-ricerca interessante, ben documentato, scritto con un linguaggio accessibile su una parte della storia recente non ancora ben esplorata: i rapporti tra il nostro bel Paese e l’Unione sovietica durante il ventennio fascista. 
Una relazione altalenante tra crisi diplomatiche e riavvicinamenti, tra incoerenze ideologiche e scambi di favore; Maria Teresa Giusti affronta in questo lavoro un’incredibile mole di documenti, rapporti, stralci di giornali, archivi dell’Aeronautica, l’archivio Fiumano del Vittoriale degli Italiani e gli archivi russi a Mosca (tra Garf, Archivio Statale della Federazione Russa e Rgae, Archivio Statale russo di Economia).

Il libro è diviso in sette capitoli e la trattazione parte dalle prime relazioni tra l’Italia e la Russia prima di Mussolini fino alla rottura definitiva tra i due Paesi, sancita da una data capitale, il 22 giugno 1941, quando con l’operazione “Barbarossa”, l’Italia seguì la Germania e dichiarò guerra all’URSS.
Storia di una relazione ondivaga, sempre sul fil di lama, con una Russia che, in cambio del riconoscimento della sua nuova forma di governo, l’URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ha corteggiato a lungo l’Italia, che a sua volta è sempre stata tormentata da un famelico bisogno di materie prime a prezzi convenienti
Alla base dell’atteggiamento del regime fascista verso il bolscevismo vi era quindi un forte pragmatismo politico, condiviso con Mussolini da altri esponenti del regime […] che sostenevano una distinzione fra ciò che era lo stato sovietico e ciò che rappresentava l’ideologia comunista, una distinzione speculare a quella tra lo stato italiano e i suoi interessi, da una parte, e l’ideologia fascista dall’altra. (p.11)
È proprio il caso di ricorrere al detto machiavellico secondo cui «il fine giustifica i mezzi» per comprendere il comportamento dell’Italia, sia liberale prima che fascista poi, nei confronti della Russia: le ragioni economiche erano più forti di quelle politiche e, fin dove possibile, lo stato italiano ha cercato di trarre vantaggio dagli scambi commerciali con la Russia, evitando di esporsi in prima persona, ma lo ha fatto tramite delle aziende private, in modo da tenere ben separate ragioni ideologiche (il comunismo era un nemico inaccettabile) e ragioni economiche (il bisogno di materie prime era pressante). In questo acrobatico gioco di equilibrismo, l’Italia doveva anche fare attenzione a non irritare la Francia e l’Inghilterra per non scompaginare le alleanze. La Russia, a sua volta, non stimava i politici italiani, neppure i socialisti che non erano stati in grado, secondo loro, di fare “la rivoluzione”, tantomeno i fascisti, ma aveva bisogno dell’Italia per uscire dall’isolazionismo commerciale e per importare tecnologia e manufatti.

È curioso notare che «sarà proprio l’Inghilterra, patria del liberalismo, a riconoscere, prima al mondo, il governo dei soviet battendo di pochi giorni l’Italia di Mussolini» (p. 15): la tattica del «sacro egoismo» non è stata solo italiana, evidentemente. 

Nel primo capitolo, Giusti traccia l’inizio dei rapporti tra Italia e Russia a partire dall’impresa di Fiume, l’atto eroico del poeta Gabriele D’Annunzio in risposta alla «vittoria mutilata» dopo il Patto di Londra. Durante la Reggenza del Carnaro, un’esperienza durata sedici mesi, il poeta-vate, ponendosi in concorrenza con le istituzioni liberali di Nitti e di Giolitti, aveva tentato di stabilire un rapporto privilegiato con la Russia rivoluzionaria fondato sulla condivisione di idee libertarie. L’esperienza di Fiume è stata un interessante esperimento politico, ma la composizione irredentista del gruppo al comando era troppo variegata per durare a lungo e soprattutto per conquistarsi la fiducia della Russia bolscevica: vi erano idee politiche confuse ed irrazionali e lo stesso Comandante, D’Annunzio, non convinceva i Russi, perché troppo legato alla plasticità e all’esteriorità più che alle azioni reali e alla dottrina politica.
Nel caleidoscopico caravanserraglio fiumano convivevano vari elementi: dall’idea utopistica di una rivoluzione che, partita dalla città «favilla» o «città olocausta» - come sarebbe stata in seguito immaginosamente definita - , avrebbe dovuto «fiumanizzare» il resto d’Italia, instaurando un nuovo ordine sociale, all’inadeguatezza nel definire la questione dei confini orientali e nel gestire la pletora dei nazionalismi nati dalla fine rovinosa dell’impero asburgico; quindi la difficoltà di conciliare il patriottismo con il rispetto delle altre nazionalità […]. (p. 24)
Il Comandante era diviso tra anti-imperialismo filobolscevico della Lega di Fiume e le posizioni nazionaliste del suo collaboratore, Giovanni Battista Giuriati, un atteggiamento troppo ambivalente che gli costò la rottura con Mosca. Le pagine dedicate a questa parte della ricostruzione storica sono assolutamente intriganti pur essendo rigorosamente documentate e dovrebbero far parte delle lezioni di storia nelle aule scolastiche per far toccare con mano agli studenti i delicati equilibri di certe relazioni diplomatiche tra paesi di opposta ideologia, l’imprevedibilità di certi eventi, il peso della stampa e della propaganda politica, supportando le lezioni con i testi forniti dalla ricca bibliografia che costella le pagine del libro nelle note a piè pagina.

Nei capitoli successivi vengono analizzati i rapporti tra il nostro Paese e la Russia durante il ventennio fascista: Mussolini aveva tutto l’interesse a riprendere le relazioni con l’URSS, tanto da riconoscerla de jure nel gennaio del 1924, non prima di aver dovuto affrontare un serie di incidenti diplomatici come l’irruzione di sei fascisti imolesi nella sede della missione commerciale russa nel 1922 armati di bombe, rivoltelle e bastoni che ferirono alcuni impiegati e non senza aver prima convinto la Russia a interrompere la propaganda bolscevica in Italia che veniva gestita non tanto segretamente dal Komintern con la connivenza dei partiti della sinistra italiana. L’omicidio del segretario del Partito socialista unitario Giacomo Matteotti, venne seguito con sospetto dalla stampa sovietica, ma non venne condannato. In seguito al riconoscimento dell’URSS da parte dell’Italia, un’azione che è maturata con una lunghissima gestazione, partiranno dei trattati molto vantaggiosi per il nostro Paese soprattutto nell’ambito del commercio marittimo. Protagonista dei rapporti commerciali italo-russi è la Cice, la Compagnia Italiana per il Commercio Estero, nata dall’iniziativa dell’imprenditore Franco Marinotti, figlio di un proprietario di una distilleria di alcolici. L’imprenditore aveva lavorato a Mosca come direttore di una sede dell’azienda milanese Filatura cascami di seta e poi aveva deciso di aprire una società di import-export italo-russa. La Cice rappresentava oltre cento imprese italiane, appartenenti a diversi settori e vantava tra i suoi soci i leader dei più grandi nomi delle industria italiana, Fiat, Pirelli, Marelli, tutti attirati dal sogno di piazzarsi sul mercato russo. Agli inizi degli anni Trenta, all’apice della collaborazione italo-sovietica, viene creata infatti, grazie all’apporto dei tecnici della Fiat, la più grande fabbrica di cuscinetti a sfera, la «Kaganovič».

Illuminanti le pagine in cui la studiosa delinea le peculiarità della crescita economica sovietica e il primo piano quinquennale, innestatosi comunque anche sulla collaborazione con l’Italia che garantiva il know how tecnologico, forniture militari, soprattutto per la Marina:
Uno dei settori dell’industria italiana che continuò a esportare in grandi quantità verso l’URSS fino al 1941 fu quello militare: gli ordini sovietici per armamenti ed equipaggiamenti erano rispettati con diligenza e procedevano senza ritardi. Nei primi anni Trenta l’industria sovietica non era in grado di soddisfare le richieste della Marina, per questo motivo comperò in Italia buona parte dei velivoli. Su espressa richiesta di Litvinov proseguirono gli acquisti dei Siai e degli Isotta Fraschini - avviati già nel 1928 - corredati da motore Asso 750 e collaudati da tecnici sovietici inviati in missioni speciali in Italia. Arrivarono anche ordini per gli idrovolanti «S62», per i quali venne acquistata la licenza di produzione, e fu concessa l’autorizzazione ai piloti sovietici di addestrarsi in Italia. (p. 262)

Ciliegina sulla torta, i capitoli dedicati a Italo Balbo, Umberto Nobile e Felice Trojani che hanno dato un contributo decisivo al volo in areo e in dirigibile: sono stati recentemente desecretati i documenti russi dell’Agp RF, Archivio della politica estera della Federazione Russa - per la prima volta studiate da un ricercatore occidentale - imprescindibili per vedere da vicino i rapporti tra i governi dell’Italia liberale e la Russia di Lenin e i controversi rapporti tra l’ingegnere Trojani e il generale Nobile. Su questa rigorosa documentazione si basa la meravigliosa ricerca di Giusti: i diari di bordo, le memorie dei tecnici e degli ingegneri che lavorarono e vissero nell’URSS  contribuendo allo sviluppo dell’industria sovietica. In una storia di rapporti controversi, ora idilliaci ora in forte contrasto, finalmente rivelati in un saggio d’eccezione.

Marianna Inserra