L’emarginazione, la miseria e il disagio in “Giorno di vacanza” di Inès Cagnati



Giorno di vacanza
di Inès Cagnati
Adelphi, 2023

Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala

pp. 151
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

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Penso a me e mi dico che nessuno mi vuole, nemmeno io. Allora provo compassione per me perché nessuno mi vuole, nemmeno io. (p. 99)

In Francia, Galla percorre trentacinque chilometri in sella alla sua bicicletta per tornare a casa, dopo due settimane passate al liceo; una casa che è insieme dimora e prigione, affetto e odio e nella quale vive, o meglio sopravvive, la sua numerosa famiglia (padre, madre e le quattro sorelle). Galla è una bambina inquieta che vorrebbe accontentare i genitori, soprattutto la madre, ma che, per un motivo o un altro, non riesce mai ad allinearsi con il pensiero della famiglia; una famiglia che vive in un «paese di paludi, piovischio e foschia» (p. 12), dove la terra è dura quanto la mentalità del padre ( «[…] come farmi picchiare al posto della mamma quando lei fa qualche sciocchezza […]», p. 43) e dove la vita è tutt’altro semplice, tanto che un raccolto abbondante sembra quasi un miracolo. Galla riesce in qualche modo ad allontanarsi, vincendo una borsa di studio che le permette di continuare a studiare. Sembrerebbe una fortuna, se non fosse per la madre e per le compagne di scuola: la prima vive l’allontanamento della figlia come se fosse un tradimento, piangendo e disperandosi tanto da far sentire colpevole la ragazza. Le seconde non si peritano di far notare la scarsa disponibilità della famiglia di Galla, prendendola in giro per i suoi abiti usurati e umili. Galla fatica a trovare il suo posto anche a scuola e, come se fosse tirata da due luoghi impenetrabili emotivamente, rimbalza da uno verso l’altro, senza mai trovare un barlume di pace.

Al liceo mi sono accorta che si può capire facilmente, dalla faccia, se una ragazza è ricca o povera. Non hanno lo stesso aspetto né lo stesso portamento. (p. 63)

I luoghi assumono un’importanza vitale per la quattordicenne che da una parte ne è attratta e dall’altra non riesce (o non vuole?) entrare e farvi realmente parte. La casa e la scuola diventano quindi due mondi inaccessibili, ai quali alla fine anche lei rinuncia, non scrollandosi mai quel senso di disagio profondo che sembra essersi attaccato come il fango delle sue paludi. Il viaggio da casa a scuola, e viceversa, diventa il racconto della sua solitudine, placata soltanto dalla sua amata bicicletta; un mezzo malconcio e rugginoso ma che per Galla diventa il suo lasciapassare per la libertà e forse anche verso qualche forma di serenità. Con la sua bicicletta, infatti, può andare ovunque e, soprattutto, provare a lasciarsi indietro tutto il disagio che vive ogni giorno.

La mia bicicletta, che è il bene più prezioso che avrò mai, è anche la cosa più strana che si sia vista in questa regione. Non so che origine abbia. (p. 14)

La solitudine di Galla è tangibile perché, nella sua vita, ci sono ben poche consolazioni e, queste, quando ci sono, arrivano dalla natura o dal mondo animale, come dalla sua amata cagnolina Daisy (l’unica buona madre della storia), che le fa compagnia quando il padre la lascia fuori da casa e lei è costretta a dormire nel granaio. O ancora, la pace che le dà la campagna quando deve badare alle mucche durante il pascolo.

Giorno di vacanza è un libro che non lascia scampo al lettore, che è catapultato nella vita di Galla e, sebbene il sentimento di claustrofobia sia sempre molto forte, non si riesce a staccarsi da quelle pagine così dense e intense. Inès Cagnati, come in Génie la matta (recensito qui), torna ad affrontare il tema della maternità; qui però, la madre di Galla è asfissiante ed egoista nei confronti della figlia, che lascia andare ma che poi vorrebbe avere di nuovo con sé, sacrificando la sua istruzione. È una madre inappropriata e inadeguata che porta la figlia ad avvertire un costante senso di colpa, tanto da costringere Galla a tornare ogni due settimane.

Galla! Mi avrebbe stretta forte forte tra le braccia, mi avrebbe supplicata di non lasciarla mai più. Mai più, Galla. Mai più.
Ogni volta è così. Sempre così. Ogni volta. Vorrei non arrivare mai. (p. 23)

In un connubio di anaffettività familiare, povertà ed emarginazione, l’autrice racconta una storia che, ancora una volta, lascia il segno. È un racconto sulle assenze familiari e sulle esistenze ai margini che non trovano riscatto perché, al di fuori della bicicletta, Galla non ha i mezzi per andare oltre e voltare pagina, sprofondando sempre più nella sua stessa infelicità, rimarcata anche dallo stile asciutto dell’autrice che evidenzia, a volte anche in maniera ossessiva, il suo “impantanamento emotivo” .

Giada Marzocchi