Mai rinnegare le proprie origini o il passato: "Il ladro di quaderni", un nuovo romanzo di formazione per Gianni Solla



Il ladro di quaderni
di Gianni Solla
Einaudi, 30 maggio 2023

pp. 256
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Vedi il libro su Amazon

Ho imparato a scrivere per mano degli ebrei, a leggere dai fascisti, e a conoscere il dolore da Teresa. Ho anche imparato che senza il dolore le parole non hanno senso. Da quel momento tutto quello che imparo vale doppio. (p. 114)

Una famiglia con equilibri tutti suoi, un giovane protagonista che cresce davanti ai nostri occhi: Gianni Solla torna al romanzo di formazione dopo Tempesta madre, e lo fa portandoci dentro il porcile, l'unico luogo dove il piccolo Davide Buonasorte si sente libero. Il padre Fortunà, infatti, gli ha fatto capire che ognuno deve dare una mano come può, anche perché sua sorella è di salute cagionevole e sarà lei a studiare. Anche se lui zoppica dalla nascita, gli tocca imparare un mestiere, e non c'è tempo da perdere, perché gli anni Quaranta che ci racconta Gianni Solla sono quelli in cui tutto è razionato e la miseria è la più grande sciagura che possa abbattersi su una famiglia contadina. Al massimo a Davide è concesso di sognare Teresa, la figlia del proprietario della corderia Glicine, ed è lei a insegnargli qualche lettera, ma suo padre non fa che ricordare a Davide il loro divario sociale («Dovevo tenere a mente che ero lì solo grazie alla carità di sua figlia: mi tollerava in casa loro perché ero uno storpio», pp. 17-18).

Teresa, che viaggia e torna ogni anno dalla casa delle vacanze ad Amalfi con addosso i segni del sole e una precoce voglia di andarsene e cambiare vita, è ben diversa dal suo amico, ancorato al loro paesino nel casertano, Tora e Piccilli, e incapace di guardare altrove. O di pensarsi diverso dall'essere un guardiano di maiali. In fondo, a parte Teresa è emarginato da tutti e deriso, ora per la sua zoppia ora per l'odore che ha addosso. Davide è rassegnato a essere ormai etichettato così e non crede di poter cambiare. Questo finché nel loro paese arrivano trentasei ebrei, che sono stati mandati lì da Napoli per volontà delle autorità fasciste. Dovrebbero dare una mano nei campi, ma è difficile per molti di loro, perché non hanno esperienza e anche questo diventa un motivo in più per essere denigrati da tanti, in paese.

Se Davide prova curiosità verso quel ragazzo più grande di lui, Nicolas, e verso suo padre, Gioacchino, d'altra parte Fortunà, da fascista ligio al volere di Mussolini, sa che gli ebrei non vanno affatto avvicinati. Come può mai prendere, allora, il fatto che suo figlio frequenti la casa di quel Gioacchino e di Nicolas e che loro diventino i suoi "maestri" in una sorta di scuola clandestina? Nessuno, infatti, ha mai prestato attenzione all'interesse di Davide per la scrittura e la lettura, né i suoi si sono accorti del suo vizio di sottrarre un quaderno ogni tanto al mercante del paese. Al contrario, Gioacchino da subito incoraggia l'interesse del ragazzino, che mostra una sua filosofia, molto pratica, legata alla vita agreste e all'osservazione del mondo. E qui Gianni Solla regala belle pagine su quanto la scrittura e la lettura possano essere davvero strumenti di libertà e premesse fondamentali per coltivare il proprio spirito critico. 

A osteggiare semmai i rapporti tra Nicolas e il protagonista arriva Teresa: chi le interessa davvero? Il guardiano dei porci, che conosce da una vita e che ha imparato ad apprezzare, o quel ragazzo cittadino, ben istruito, dalla bellezza senza pari? In attesa di trovare una risposta, i tre esplorano i boschi nei dintorni, quelli che intimoriscono molti ma che per Davide e Teresa sono un libro aperto; anzi, sono un vero e proprio rifugio. 

Se può sembrarvi che stia gettando già troppi elementi della trama, sappiate che questa non è che la prima parte del libro, perché Gianni Solla segue i suoi personaggi attraverso il tempo, lasciandoci immaginare la storia che verrà, senza mai parlarci apertamente di Shoah. Ne apprendiamo però gli effetti. 

C'è invece un salto narrativo importante, che corrisponde a un cambio di scenario improvviso: Davide fugge nella grande città di Napoli. Dopo un evento che non avrebbe senso anticipare, il protagonista si trova a dare una svolta improvvisa alla sua vita, e quello che lo aspetta non è certo un percorso facile, ma lui scoprirà che tutto serve, persino la sua infanzia in mezzo ai maiali, la sporcizia sotto le sue unghie, il lavoro duro e dormire alla bell'e meglio. Quella capacità di adattarsi è un ricordo che aiuterà Davide anche nella sua giovinezza e poi nella vita adulta. 

Ma che posto hanno i ricordi, Tora e Piccilli, Teresa, Nicolas, Gioacchino, suo padre e la sua famiglia? Ci sorprenderà forse la tendenza del protagonista a lasciarsi pezzi di vita indietro, ma basta pazientare per scoprire che il passato rientra da una porta secondaria, ovvero nei suoi racconti, in monologhi per il teatro che offriranno a Davide un'opportunità. La più grande, la più pericolosa, la più autentica. Anche a Napoli, anche nella sua nuova vita, i personaggi sono però destinati a tornare e a farsi risentire... Niente, in realtà, è sfuggito dalla memoria e dai sentimenti. Ne scriverà lui stesso: 

Avrei dovuto raccontare della distanza che si era creata tra quello che ero e quello che ero diventato, e di me che continuavo a separarmi da tutte le cose. (p. 172) 

E dunque seguiamo l'io-narrante nei suoi percorsi della memoria e nelle sue svolte improvvise, faticando un po' all'inizio ad ambientarci a Napoli, dopo la prima parte nel paesino, ma in fondo questa è stata proprio la difficoltà incontrata dal protagonista stesso. Non ci vuole molto perché sia proprio Davide, con le sue ambizioni difficili da accettare per via delle sue origini umili, a cercare un riscatto sociale. Che può venire dalla cultura, certo, ma anche dall'esperienza e da quell'infanzia che non avrebbe alcun senso ripudiare. Semmai, dentro le pieghe della memoria, ci sono un senso di colpa e alcuni dubbi che aspettano di essere sciolti. 

GMGhioni