Abbiamo bisogno di metabolizzare l’imponente innovazione tecnologica. Dallo smartphone a Chat GPT, il godibilissimo saggio di Massimiano Bucchi per Il Mulino



Confidenze digitali. Vizi e virtù dell’innovazione tecnologica
di Massimiano Bucchi
Il Mulino, giugno 2023

pp. 176
€ 16,00 (cartaceo)
€ 11,43 (eBook)

Il nostro sguardo sulla tecnologia è spesso miope, anzi strabico. Si focalizza solo sulla novità tecnologica e dimentica l’altra metà della questione: gli esseri umani e il loro modo di utilizzare la tecnologia. (p. 57)

La tecnologia ci ha indubbiamente cambiato la vita e ha portato con sé una serie di innegabili conquiste e di vantaggi nella vita quotidiana, tuttavia è necessario da parte nostra acquisire consapevolezza su quelli che sono i reali pericoli che essa già presenta o che potrebbe in futuro presentare. Massimiano Bucchi, professore di Scienza, Tecnologia e Società all’Università di Trento, in questo saggio adatto a tutti, soprattutto ai giovani, ci mostra le principali innovazioni con il loro impatto sulla nostra mente e sulla nostra società

È un libro snello e agevolissimo, che tocca però tantissimi argomenti inerenti alle nuove tecnologie, alla comunicazione e alle abitudini che hanno generato: le nuove piattaforme per l’ascolto di musica, podcast o libri, il boom dei monopattini, la pulsantizzazione delle emozioni, acquisti e pagamenti online, l’utilizzo di Google e delle macchine elettriche, la narcisizzazione sui social, la nuova realtà dell’intelligenza artificiale

Il libro è diviso in quattro parti, i capitoletti sono brevi, scritti in un linguaggio accessibile e alla fine della trattazione vi è una ricca e stimolante bibliografia che vi farà desiderare di comprare e leggere tutti i libri citati dal professore per approfondire un argomento di scottante attualità.

Immagine tratta dal libro
Partendo da realtà concrete e abitudini ormai diffuse, anche se molto spesso inconsapevoli, Bucchi ci aiuta a cogliere degli aspetti che caratterizzano il nostro rapporto con l’innovazione tecnologica, facendoci notare che alcune risposte alle innovazioni hanno rispondenza nel passato e spesso risalgono addirittura a molti secoli addietro.

Come promette il titolo, il professore tratta non solo di quelli che possiamo considerare a buon diritto dei vizi, delle abitudini poco sane derivanti dall’uso/abuso della tecnologia, ma enumera anche quelle che lui definisce virtù (riallacciandosi al significato etimologico del termine) e lo fa, come ogni bravo divulgatore, accompagnandosi al potere delle immagini. Nel libro, infatti, vi è un delizioso inserto con dipinti di artisti moderni famosi (Luca Giordano, Giambattista Tiepolo, Giovanni Bellini,...) che rappresentano nei loro dipinti le varie virtù personificate da giovani donne e i vizi, come l’accidia o l’invidia, rappresentati invece da personaggi vecchi e poco gradevoli alla vista.

Il titolo del saggio è quello del primo capitolo, in cui Bucchi spiega il perché del tono confidenziale, dell’utilizzo del «tu», della valanga di emoji e faccine che mandano baci e abbracci anche a dei perfetti sconosciuti. 

Naturalmente non c’è, nella maggioranza dei casi, alcun intento né sentimento affettivo: è solo un modo ormai diffuso per chiudere una conversazione scritta. In passato, nessuno si sarebbe sognato di apporre «baci» e «abbracci» in calce ad una lettera, un fax o una mail a meno che non si conoscesse bene il ricevente; con la diffusione dei cellulari e poi degli smartphone è diventato estremamente comune. (p. 13)
Gli assistenti virtuali sono stati i primi a utilizzare toni amichevoli e confidenziali; chi è nato negli anni Ottanta e Novanta ricorderà sicuramente Clippy, la graffetta parlante di Microsoft, che, a quanto pare, non fu particolarmente amata dagli utenti che si ritrovavano un «Ciao! Come posso aiutarti?» appena provavano a digitare una parola nella stesura di una mail o di un documento. In effetti, questi toni confidenziali, sostiene Bucchi, derivano non solo dal tentativo di rendere più amichevole e familiare il rapporto con gli strumenti tecnologici, ma anche e soprattutto dallo «stile marcatamente informale caratteristico della cultura organizzativa americana e in particolare delle aziende della Silicon Valley» (p. 15). Questo concetto della familiarità con la tecnologia va a braccetto con la percezione di avere tutto “a portata di mano”, anzi “a portata di click”: i tutorial che insegnano a preparare ricette e a costruire da sé qualsiasi cosa,

L’estrema rapidità e la facilità (almeno apparente) nel reperire istruzioni e risposte a qualunque domanda e a qualunque ora rafforza la sensazione che ogni attività o obiettivo, per quanto complessi, sian a portata di mano, anzi di dita, di chiunque, a prescindere dire dalle competenze e dalle capacità personali. (p. 27)

Immagine tratta dal libro
Si tratta di abitudini che derivano dalla «cultura del consumo degli ultimi due secoli» (p.28), ma che affondano le radici ancora più in là, nel bisogno dell’essere umano di sentirsi parte di una società e delle sue tendenze, da qui l’assuefarsi all’imitazione che inconsapevolmente ed acriticamente ci spinge a fare quello che fanno gli altri, a visitare i posti meravigliosi che hanno visto gli altri e condiviso sui loro canali social, a sentire il bisogno di beni superflui che non avremmo mai desiderato per noi, ma che il vicino o l’amico sfoggia con orgoglio. 

Ogni innovazione tecnologica, per essere veramente tale e non velata regressione, ha bisogno di essere supportata, prima che da una “rivoluzione mentale”, da infrastrutture quali le decisioni politiche, le norme precise che disciplinano usi e comportamenti. Solo così potremo cogliere in sicurezza e consapevolezza le virtù del progresso tecnologico. L’esempio del monopattino, in Italia diffusosi durante la pandemia, è emblematico: l’agevolissimo servizio del noleggio per abbonamento, gli indiscutibili vantaggi per chi si sposta in città sono stati assolutamente appetibili per giovani e meno giovani, ma gli incidenti sono stati altrettanto numerosi.

In accordo con quanto sostenuto dal sociologo americano William Ogburn (1922),

ogni innovazione non ha bisogno solo di una tecnologia che funzioni, ma anche di un contesto in grado di metabolizzare l’innovazione per permettere di raccoglierne i benefici […], limitando gli impatti negativi […]. Si tende infatti a focalizzarci sulla tecnologia in quanto tale, riponendovi aspettative quasi taumaturgiche, incentivandone l’uso individuale e la diffusione nella modalità a noleggio. Senza riflettere sul fatto che l’impatto di una tecnologia si dispiega sempre nel suo uso concordato e in un contesto d’uso specifico. (p. 49) 

Marianna Inserra