«Perché finiamo sempre in posti dalla storia antica, noi due?». [...] «Perché sono le pagine di un libro aperto, quello dell'umanità, e noi vogliamo imparare» (p. 54)
Ogni commissario o investigatore intraprende una lotta contro il tempo, ma Teresa Battaglia ha una sfida persa in partenza: fare i conti con il progredire dell'Alzheimer. La commissaria di Ilaria Tuti, che ha scoperto di avere la malattia fin dal primo romanzo, non ha per questo smesso di indagare, nei suoi momenti di lucidità, e continua a rivelarsi fondamentale per la risoluzione di casi a dir poco intricati. Purtroppo i momenti in cui Teresa è pienamente in sé si stanno riducendo e, dunque, in Madre d'ossa troviamo la commissaria nelle primissime pagine abbracciata al cadavere di un ragazzo, quasi volesse proteggerlo dai rapaci che volano sopra il suo corpo. Non sa come sia arrivata lì, ora che non guida più, né ha idea di chi sia la vittima. Ecco perché quando la trova, l'ispettore Massimo Marini capisce immediatamente di dover proteggere la sua ex-superiore. Costi quel che costi.
Intanto, le indagini partono e Teresa partecipa ufficiosamente, cosa che potrebbe causare un bel richiamo alla sua squadra, ma né Marini né Parisi pensano di lasciare in panchina Teresa, solo perché è stata sospesa dal servizio. Certo, lei prova più volte a defilarsi, ma capisce che non può ritirarsi all'improvviso («Gli stava dicendo addio, un passo alla volta», p. 58). D'altra parte, il richiamo delle indagini è sempre fortissimo, malgrado tutto:
«Teresa ormai si sentiva estranea al mondo dell'investigazione, una usurpatrice di territori altrui. Tuttavia, quando Massimo Marini la chiamò, pensò che in fondo non avrebbe mai mollato». (p. 240)
E allora parte l'indagine, che si rivela ben più stratificata e complessa del suicidio con cui viene bollata facilmente la morte del giovane Ratchis. Nome strano, certo, ma nome che racconta tanto della sua famiglia, che si considera discendente diretta di quei Longobardi che nel 568 hanno conquistato Cividale. Ecco perché il ragazzo, dopo essersi congedato dal mondo con un video su TikTok, si è reciso le vene dei polsi con uno scramasax, il pugnale intarsiato che ogni membro della famiglia riceve alla nascita.
Storia antica, penserete. Bene, in realtà preparatevi, perché dettagli sul luogo del delitto e altre circostanze in apparenza inspiegabili porteranno la squadra a esaminare tessere di un passato ancor più lontano, con l'aiuto di Elena, l'archeologa compagna di Massimo, e di altre figure che abbiamo già incontrato nei romanzi precedenti e di altre ancora che impareremo a conoscere.
Al piano della narrazione principale, si alternano rari intermezzi in corsivo in cui ci viene presentato il punto di vista della Madre d'ossa, di cui si mettono in evidenza la gravidanza a uno stadio avanzato e i pensieri ben poco "umani", simili a quelli di una figura ancestrale, fuori dal tempo e dallo spazio. Chi è? E cosa c'entra con Rachis e le indagini?
In un crescendo di scoperte che, come in una spirale, vorticano attorno ai protagonisti e minaccia di travolgerli, Ilaria Tuti prepara una storia angosciante, che mette a nudo la fragilità umana (fisica e psicologica). Ci racconta come il bisogno di trovare risposte a domande ataviche sia comune, e le arti manipolatorie di alcuni possano fornire spiegazioni apparentemente facili, rassicuranti per menti che hanno bisogno di trovare una guida. E cammineremo così insieme ai protagonisti per musei archeologici, pozzi antichi, boschi, case, castelli isolati, ma soprattutto percorreremo le vie più impervie della mente, alla ricerca di una verità arcana.
GMGhioni