Qui su Critica Letteraria abbiamo parlato molte volte di mare, sia quando abbiamo recensito libri ambientati in questo luogo, oppure quando abbiamo raccolto consigli a tema marittimo. Lo scorso anno abbiamo pubblicato anche un #PercorsiCritici dedicato al mare. Tuttavia, oggi, spinti dall'ultima uscita di Fabio Genovesi, Oro puro (Mondadori, 2023), abbiamo pensato di declinare questo tema in un'accezione un po' diversa, intendendolo non solo come un'occasione di vacanza o di relax ma proprio come "pontos", cioè - per i Greci - quella infinita distesa d'acqua che separa le terre emerse, il mare da attraversare, su cui gli uomini di tutto il mondo e di tutte le epoche hanno compiuto viaggi dettati ogni volta da motivazioni differenti, siano esse di lavoro, di scoperta di sé o di necessità. A prescindere dalle circostanze, resta il fatto che, in tutti questi casi, la conseguenza insita di questo spostamento è una crescita personale, uno sviluppo di nuove consapevolezze di sé, in un itinerario che è più interiore che altro e una volta giunti a destinazione, qualcosa dentro di sé è cambiato.
Così è per Nuno, protagonista di Oro puro, di Fabio Genovesi: rimasto orfano di madre, disorientato e ormai solo, decide, quasi per caso, di imbarcarsi su una caravella in partenza dal porto di Palos. Non sa che quella nave sta per compiere una delle più grandi imprese del suo secolo e di quelli degli anni a venire, ovvero la scoperta dell'America. Su quella caravella, Nuno solcherà mari mai immaginati e si troverà in una nuova terra, sconosciuta, su cui farà nuove esperienze che lo cambieranno e segneranno la sua formazione.
Il mare, quindi, come luogo di crescita e formazione ma anche occasione di sfida con sé stessi. Se ci concentriamo su quest'ultima accezione, è impossibile non pensare ad alcuni dei libri più famosi della storia della letteratura mondiale, ovvero Il vecchio e il mare, di Ernest Hemingway - in cui Santiago, questo il nome del protagonista, si ritrova a cacciare un enorme pesce spada nel mar dei Caraibi, in una lotta, quasi a mani nude, che sancisce il proprio attaccamento verso quello che ancora rappresenta per lui la pesca - oppure Moby Dick, di Herman Melville. In quest'ultimo libro, celeberrimo e sempre vivo (tanto che in tempi recenti, nel 2015, la casa editrice Kleiner Flug ha realizzato una graphic novel) il capitano intraprende una caccia spietata e determinata, cercando forse più se stesso che non l'ormai celeberrima e imprendibile balena bianca.
Sulla stessa scia (o forse per meglio dire, onda) si inserisce Il libro del mare, di Morten Andrea Stroksnes (Iperborea, 2017), in cui due uomini si mettono in testa di catturare lo squalo della Groenlandia, animale ancestrale e leggendario che si muove nelle gelide acque del nord.
Di altro avviso, invece, Bolivar, protagonista di Oltremare, di Paul Lynch (66thand2nd, 2022): pescatore di lungo corso, un giorno decide di mettersi in mare per raccogliere un bottino sufficiente a saldare un debito contratto con una persona poco raccomandabile, ignorando la seria allerta meteo e l'imminente tempesta, convinto di aver abbastanza esperienza per affrontare le avversità. Con lui Hector, giovane mozzo chiamato a sostituire il suo assistente originario, che si troverà in una disavventura poco piacevole. Infatti, la lezione di vita che il mare impartirà a Bolivar e a Hector farà capire a entrambi - a caro prezzo - che la forza dirompente della natura purtroppo non ammette di essere ignorata.
Anche in casa nostra sono state scritte storie che raccontano casi simili: Alessandro Baricco, in Oceano mare (BUR, 1993), racconta la storia di alcuni personaggi che si trovano costretti a sopravvivere al naufragio di una nave della marina francese. Su una zattera di fortuna essi intrecciano le loro storie, alla ricerca di una salvezza e forse anche di se stessi, mentre il mare intorno a loro diventa metafora esistenziale.
Vediamo così, come, pur cambiando le latitudini, l'indagine dell'uomo resta sempre la stessa, perché quel che è certo è che la forsennata ricerca di una preda è in realtà una disperata ricerca di sé, in una sorta di autodeterminazione del proprio essere.
C'è chi, però, nella storia della letteratura, ha scelto di definire la propria identità solo in relazione alla vita su una barca. Se siete appassionati di libri sul tema, non potete non aver capito immediatamente di quale libro io stia parlando: Novecento, di Alessandro Baricco. Siamo nel 1994, quando quest'opera vede la luce, e pochi anni dopo, nel 1998, Giuseppe Tornatore, ne trarrà un pellicola, La leggenda del pianista sull'oceano, ormai entrata negli annali della cinematografia. C'è una scena, in quel film, che rappresenta bene questo concetto dell'identità del protagonista, in cui Tim Roth, l'attore chiamato a interpretare questo difficile ruolo, si trova sulla scaletta che porta sulla terraferma: il cappotto ben messo, una valigetta con pochi effetti personali in mano, il passo sicuro. Tutto sembra deciso, i saluti finali e i sorrisi scandiscono il congedo, quando, improvvisamente, egli si ferma su uno degli scalini, a metà del percorso. In un momento che sembra interminabile, il pianista si gira e ritorna a bordo: non può scendere, lui è un pianista che suona su una nave da crociera e non ha altra identità se non quella di navigante perenne, su un mare che l'ha visto nascere e crescere.
Al protagonista di Novecento, quindi, forse non sarebbero spiaciute le particolari regole vigenti sulla Tituba, la nave da crociera su cui è ambientato Senza amare andare sul mare (Frassinelli, 2017), di Christian Pastore. Durante la navigazione, infatti, non sono previsti scali, e l'imbarcazione procede senza che i passeggeri, quaranta persone che non sanno né da quando né perché si trovano lì, sappiano dove stanno andando. Ed è per questo, quindi, che in una sorta di autoaffermazione esistenziale, forse operata per non impazzire o per svegliarsi da quello che pare un incubo, i naviganti iniziano a scrivere un diario di bordo, nel quale, però, in assenza di fatti notevoli, ognuno comincia a raccogliere la propria storia. Come finirà?
Tuttavia, se parliamo di mare in senso metaforico, come luogo di crescita e formazione, nonché di cambiamento, non si può non far riferimento alla poesia, capace di scendere nell'interiorità e rappresentare tramite argute associazioni e profonde metafore, tutta la potenza della parola. Erri De Luca, in Solo andata (Feltrinelli, 2014), raccoglie una serie liriche ispirate alla forza del mare e alle immense difficoltà di chi lo vive come itinerario necessario per ricercare di un futuro migliore. Una poesia talvolta dura, sicuramente scabra ed essenziale, capace di farsi testimonianza.