Il filo che tutto connette: "Segnali di fuoco" di Dani Shapiro

 


Segnali di fuoco
di Dani Shapiro
Neri Pozza, 2023

Traduzione di Gaja Cenciarelli

pp. 268 
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

 
Basta una notte come un’altra, piena di sogni e di stelle, perché il singolo elemento incongruo, l’imprevedibile, l’errore che deriva da scelte affrettate e superficiali, cambi per sempre il corso dell’esistenza della famiglia Wilf. Uno schianto in automobile contro la grande quercia, quella di cui nel tempo si dimenticherà la storia e che verrà chiamata “l’albero magico” per l’alone di mistero ed energia che la circonda; uno schianto in automobile e la vita di una ragazzina, Misty Zimmerman, viene stroncata, distrutte – ciascuna a suo modo – quelle degli altri personaggi coinvolti: il timido, goffo Theo, che era al volante senza patente; la sorella Sarah, che aveva bevuto e gli aveva chiesto di guidare; il loro padre Ben, medico, responsabile di una mossa avventata per proteggere i figli; infine la madre, Mimi, che ha costretto tutti al segreto.
Non bisogna scorrere molte pagine per apprezzare la grande sensibilità e la capacità analitica di Dani Shapiro, grazie alla quale in ogni capitolo riesce a creare intorno a suoi personaggi un intero universo. Nei dettagli del loro agire o pensare, disseminati accuratamente nella narrazione, tramite descrizioni spesso indirette emergono tratti caratteriali, storie del passato, fatti di vita, sentimenti inespressi. Nonostante i continui salti temporali (la narrazione si muove su diversi piani tra loro interconnessi: il 1985, la notte di Capodanno del 2000, il 2010, il 2014 e il 2020), l’autrice riesce a non disorientare mai il suo lettore, che ha sempre chiaro in quale punto della vicenda si trovi e quale sia la corretta sequenza degli eventi.
Il filo (si scoprirà presto quanto la scelta di quest’espressione non sia casuale) che connette, almeno all’inizio del volume, i diversi momenti e scorci temporali, anche molto lontani tra loro, è costituito da splendide scene notturne. Le stelle si fanno punto di riferimento, guide, garanti di stabilità nel fluire inesorabile del tempo, come ricorda anche il titolo: 
Le stelle, anziché apparire distanti e implacabili, sembravano segnali di fuoco nel buio, misteriose compagne di viaggio che illuminavano la strada; centomila milioni di presenze luminose, che li osservavano da altri mondi. Guardaci. Siamo qui. Siamo sempre state qui. Saremo sempre qui. (p. 155-156)
Sono le stelle le testimoni silenziose del crescere e disperdersi dei Wilf, delle loro esistenze dalle apparenze perfette dietro cui si nascondono baratri di oscurità.
È solo lei, Sarah Wilf, a mancare. Lei è qui, certo. Ma in qualche parte fondamentale di lei non è del tutto presente. […] Si cala nella parte, lo sa. È sempre calata nella parte. […] Tutto quadra – la laurea all’università giusta, la sfilza di lavori uno più eccezionale dell’altro. Nessuno capirebbe che è, da sempre, a pochi passi dall’abisso. (p. 98-99)
Le stelle, però, sono anche tutto ciò che conta per un ragazzino sensibile e troppo intelligente, Waldo Shenkman, figlio dei vicini di casa dei Wilf, la cui sorte è inestricabilmente legata a quella di Ben. Incapace di comunicare realmente con gli altri, spesso inascoltato da un padre che lo vorrebbe diverso, Waldo trova conforto in una app in grado di tracciare e riconoscere le costellazioni, e un confidente nell’anziano medico, che riesce a comunicare con lui meglio di quanto abbia mai fatto con il suo Theo. Al centro dell’intreccio, vero e proprio coprotagonista, è il concetto del tempo, che appare qui reversibile e permeabile, come dimostra il personaggio di Mimi che, da anziana in preda all’Alzheimer, lo attraversa in tutte le direzioni, scivolando sempre di più verso un passato in cui crede sempre più spesso di essere immersa.
E se ciò che è stato rischia di diventare prigione per chi non può o non vuole confrontarvisi, l’infinita serie di possibilità che si annidano in ogni attimo può essere anche foriera di forza, di speranza, prova di una vita che sussiste al di là di tutto, di ogni difficoltà o montagna invalicabile. Il primo a comprenderlo pienamente è proprio il piccolo Waldo, in uno dei momenti fondamentali per lo svolgimento della narrazione: 
[La morte] non fa paura. Non fa proprio niente. Forse ciascuno di noi ha un cuore indistruttibile cento miliardi di volte più forte dell’acciaio. Lui osserva la danza della luce e delle ombre sulle pareti. Un giorno, tutto questo gli sarà utile. (p. 189).
È proprio lui, amante del cielo, a intuire il nesso tra tutte le cose, che è anche criterio strutturale adottato da Dani Shapiro per la costruzione del romanzo: «È tutto collegato. Tutto. La signora. Il dottore. Io. Voi. È come se fossimo parte di un superammasso di galassie» (p. 203).
In ogni scelta compiuta da ciascuno dei personaggi è inscritto l’insieme delle conseguenze future, e la summa delle cause che li hanno lì condotti. Allo stesso modo, nonostante il passare del tempo, e il saltare della narrazione che ne intercetta di volta in volta diversi segmenti, l’incidente del 1985 è sempre presente in ciascuno dei personaggi che vi sono stati coinvolti: l’evento unico, segnatempo, che ha cambiato la direttrice di ciascuna vita, che ne ha plasmato la curva, continua a essere polo attrattivo di una forza centripeta, buco nero che tutto vorrebbe risucchiare.
Un incidente è una miccia invisibile che, sua volta, ne innesca un’altra e un’altra ancora. Il tempo collassa. Non esiste una linea retta. I ricordi, la storia – le cose successe quindici anni fa, o cinquanta – sono vive in questo momento come se fossero appena accadute, o stessero per accadere. (p. 123-124)
Nelle parabole esistenziali dei Wilf attraverso gli anni, emerge dalle pagine che non è tanto l’errore, di per sé grave, quanto la scelta del silenzio che li condanna tutti, in modi diversi. Il silenzio rappresenta una crepa sottile che poi si allarga all’interno della famiglia, impedisce ai singoli di assumersi la propria responsabilità e quindi di trovare un’occasione di espiazione, ma anche di condividerne il peso, di scoprire nell’altro il proprio stesso dolore, il proprio stesso senso di colpa, destinandoli a una prigionia solitaria. Ciascuno cerca la propria via per sopravvivere: Sarah prima in un lavoro di successo, un marito devoto, due splendide bambine, e poi in una sequela di comportamenti autodistruttivi; Theo fuggendo in un altro Stato («il rimorso e il silenzio si sono induriti nel corso degli anni fino a diventare qualcosa di ingestibile. Andarsene era stato il suo unico tentativo di salvarsi», p. 144), Ben e Mimi comportandosi come se nulla fosse successo, senza cogliere il pericolo che si annida in questa decisione.
Le parole che potrebbero essere dette saranno invece ingoiate. Inespresse, troveranno il modo per serpeggiare fuori, si attorciglieranno attorno a ciascuno di loro come rampicanti che soffocano un filare di alberi incolti. (p. 212)
Ci vorrà molto tempo e un gran lavoro di ciascuno su se stesso per comprendere che spezzare il silenzio, dire la propria colpa, mostrare la verità di sé sono gli unici modi per ricominciare, riappropriarsi del proprio spazio e del proprio tempo.
Destinatario di molti giusti riconoscimenti da parte della critica, Segnali di fuoco si presenta come un dramma famigliare in cui, più che gli eventi, pesano i sentimenti e le dinamiche interiori dei singoli personaggi, nonché le relazioni che li uniscono. Alla base di tutto l’idea, quasi bergsoniana, che in ogni attimo siano compresenti tutto il passato e tutto il futuro. È la capacità di restituire a livello narrativo tale idea che fa grande la prosa di Shapiro e permette di appassionarsi alle vicende dei Wilf e degli Shenkman sentendoli anime affini, percependo fin da subito quel legame cosmico, universale, che la scrittrice prova a descrivere.
 
 
Carolina Pernigo