La cecità di fronte al proprio privilegio: "Paradisi perduti" di Emanuele Zeffiro

paradisi perduti emanuele zeffiro

Paradisi perduti
di Emanuele Zeffiro
Las Vegas, maggio 2023

pp. 183
€ 15,00 (cartaceo)

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«Ma io a volte mi sento inadeguato» aveva farfugliato lui, rendendosi conto che stava, di nuovo, restituendole solo una pallida fotografia della realtà.
Avrebbe voluto dirle che in quella relazione gli sembrava di camminare in un campo minato: lasciava trapelare ben poco di sé, nel timore di irritarla con una delle sue frasi fuori luogo. (p. 12)
Davide ha una laurea in Fisica, un lavoro conquistato senza troppo desiderio né fatica in un ente pubblico, una certa tranquillità economica e sociale. Nulla di tutto questo gli sembra degno di nota o riesce a riempirgli il cuore. Incapace di una relazione serena e funzionale con le altre persone, decide di partire per mete lontane ed esotiche nella speranza di fare chiarezza dentro se stesso. Emerge un’infanzia repressa da un’educazione religiosa restrittiva, un padre che, per quanto sembrasse meraviglioso, nascondeva una profonda vena di rabbia e una verità che pare inappellabile: Davide ha paura delle donne; le ama e le teme, e ogni suo rapporto, sin dalla giovinezza, non ha fatto che confermare questo profondo disagio. 
Gli sembrava di aver sbagliato tutto. Il suo horreur du domicile l'aveva reso esule per propria scelta: aveva lasciato, seppur temporaneamente, lavoro, Paese e affetti – come un'anima in pena, avrebbe detto sua made. Come il figliol prodigo, avrebbe detto suo padre. (p. 78)
Paradisi perduti, romanzo di esordio di Emanuele Zeffiro, porta sulle pagine un personaggio che incarna il senso di smarrimento della generazione X e Millennial. Davide aborre ogni tipo di quelli che un tempo erano considerati traguardi. Il lavoro nel pubblico a tempo indeterminato, che genera nei familiari e negli amici valanghe di complimenti, lo annoia e gli dà la sensazione di morire dentro; le relazioni a lungo termine limitano la sua libertà: lo conosciamo, nelle prime pagine del romanzo, intento a lasciare Manuela senza un reale motivo apparente; il matrimonio di suo fratello e la paternità degli amici lo mettono a disagio. Davide è un’anima alla deriva e l’unico rimedio che riesce a trovare per evadere da una vita dai binari già stabiliti è quello di partire per il Costa Rica, prima, e per l’Argentina e l’India, poi, come un novello Chatwin. Viaggerà per queste mete lontane intrecciando relazioni che lo confonderanno, vivrà avventure, e compirà azioni criminali nel suo viaggio di formazione, ma nulla di tutto questo riuscirà a dare tranquillità o scopo al suo animo. Il motivo di questa mancata comprensione si può ricostruire come gli anelli di una catena: Davide è un personaggio maschio, bianco, etero, economicamente tranquillo che non è in grado di riconoscere né tanto meno riflettere sulla sua condizione privilegiata. Davide non è in grado di fare questo ragionamento perché, a livello personale, è un adolescente che non si è mai mosso dai vagheggianti e confusi desideri di quell’età e non è ancora in grado di distinguere cosa sia giusto e sbagliato. 
Tu dividi le donne in due categorie: sante, finché ci stanno solo con te; zoccole, quando vivono liberamente la loro sessualità. (p. 91)
Tutto il romanzo è scandito non tanto dai viaggi che, visto appunto il privilegio di cui Davide è inconsapevole, non sono occasione di riflessione sul mondo, ma dalle relazioni con le varie donne che incontra sul suo cammino. C’è Manuela, la compagna che lui lascia all’improvviso e per la quale prova gelosia nel momento in cui si mette con un altro, come se qualcuno gli avesse portato via il giocattolo da lui gettato; c’è Alice, la cugina, per la quale prova un’attrazione sessuale sin dall’infanzia; Matilda, cugina alla lontana con cui avrà l’avventura di una notte; Lily, la disinibita ragazza taiwanese fidanzata e per la quale lui prova un’attrazione che non sarà a lungo controllabile. Tutte queste donne paiono incarnare le fantasie di un adolescente che non riesce a pensare alle conseguenze – il pruriginoso desiderio di incesto, pratiche sessuali da filmetti porno, petting spinto – e vengono descritte mettendo insieme una serie di luoghi comuni. Alice che sente l’orologio biologico ticchettare quando vede un bambino; la moglie di Alessandro che non capisce le battute; le colleghe che non ci stanno che vengono definite “profumiere”. Davide, e gli uomini intorno a lui, restituiscono in questo modo il mondo femminile e le donne parlano e ragionano in modo da avvalorare questa visione: Alice è inorridita quando scopre che le coinquiline di Davide non sono ordinate; l’amica di Lily ammette che lei è sempre molto provocante e non capisce che effetto può fare agli uomini che, come Davide dimostra, non hanno nessun controllo sulle loro pulsioni. Perché il viaggio di formazione di Davide passerà per il punto più basso e oscuro: lo stupro.

Si arriva a questo momento dopo un graduale crescendo di episodi che suggeriscono la latente violenza di Davide – uno su tutti la soddisfazione di aver preso a calci una compagna di kick boxing nonostante l’istruttore avesse espressamente detto di fare solo il movimento di prova – e si percepisce l’arrivo del momento di sfogo come la valvola di sfiato di una pentola a pressione. Un passaggio narrativo di questa portata può essere gestito in vari modi. Può essere raccontato dal punto di vista dello stupratore in modo che il lettore capisca cosa l’ha spinto e qual è il filtro applicato per riuscire a gestire un atto simile. Può essere un momento di riflessione, non necessariamente catartico. Può essere visto tramite gli occhi dei personaggi di contorno. Il gesto di Davide non ha nulla di tutto questo: viene, anzi, giustificato da chi gli sta intorno, il gesto viene sminuito e la vittima colpevolizzata perché si era lasciata andare a comportamenti ambigui come il petting e girare nuda davanti al protagonista, come se il concetto di consenso non fosse noto al protagonista. Il romanzo è ambientato nel 2010 e, a parte qualche imprecisione come il riferimento alla pratica del ghosting che non era così conosciuta all’epoca, il racconto di un atto grave come la violenza sessuale sembra rientrare nella visione del mondo e dei ruoli di genere dell’epoca. Viene giustificato e Davide non ricava nulla da questa esperienza tanto che si lascia andare anche a un infelice rape joke nei confronti del personale sanitario dell’ospedale dove lo stanno curando. 
«Su, un po’ di forza» la esortava il dottor De Rosa. «Devi aggredirle, le arterie, come gli uomini.»
«Come le donne» scherzò Davide, tentando di sdrammatizzare una situazione che lo atterriva. (p. 164)
Viene definito “idiota” da un suo caro amico, con un eufemismo non in scala con la gravità dell’azione, e che lo rincuora dicendo che tutti gli esseri umani sbagliano, pensa di meritare il perdono e quando la vittima tarda a concederglielo si butta nello sport per cercare di impegnare anima e corpo. C’è delitto senza castigo, azione senza conseguenza tanto che l’espediente narrativo, che dovrebbe rappresentare il punto più basso del suo percorso, non ha una reale funzione: non fa crescere il personaggio e persino i personaggi femminili che ne vengono a conoscenza lo trattano con sconvolgente bonarietà. Davide ottiene una ricompensa per il suo comportamento, ma non in virtù di un percorso di maturazione: la ottiene perché il suo comportamento viene normalizzato.

Viene da ampliare la riflessione sull’argomento: il romanzo è del 2023 e, anche con l’ambientazione nel 2010, ripropone modelli di comportamento e di pensiero che andrebbero eradicati dal sentire comune e che, purtroppo, perdurano. Sorge una domanda: è davvero necessaria una narrativa di questo tipo? Servono ancora storie che non indagano e percepiscono il privilegio, normalizzano una violenza verbale e fisica e vedono il mondo con l’occhio occidentale privilegiato? La narrativa dialoga con la società, si nutre e la nutre: in questo momento ci servono storie che avallano atteggiamenti che, con così tanta fatica, stiamo cercando di sconfiggere? Non si tratta di un invito alla censura sulla finzione narrativa, ma di una riflessione sul ruolo, anche sociale, che la letteratura ha o che dovrebbe avere. Forse, storie di personaggi che hanno sempre fatto parte della classe dominante – almeno negli ultimi due millenni – e che vengono giustificati per atteggiamenti violenti nei confronti del resto del mondo sono, per il momento, storie di cui non abbiamo bisogno.


Giulia Pretta