Si sa che a luglio dalle nostre parti, quando si installa l’anticiclone delle Azzorre, noi cattolici e mediterranei si rimane dentro una specie di bolla d’alta pressione, un’immensa vescica d’aria calda e ferma che ci isola dalle correnti settentrionali, quelle che trascinano le nuvole veloci sui cieli del Nord, là dove Europa è diversa e verde e morale e piena ancora di cervi e di protestanti, cosparsa di crocifissi cinquecenteschi ulcerati e sofferenti al limite della concezione realistica del dolore, che noi bellamente neghiamo. Così, imprigionati dentro le nostre trappole climatico-culturali, per difenderci dalla cappa di calore non ci resta che esporci alle deboli brezze serali, oppure rinchiuderci in ambienti climatizzati, oppure meglio cercare il mare, andare verso il mare, restare il più possibile nell’acqua e dentro la brezza della riva, in attesa che la bolla di alta pressione scoppi, portandosi via anche l’estate. (p. 9-10)
Filippo sa di Giacomo e Biba, naturalmente, ma non di Enzo. Enzo non sa di Filippo. Giacomo non sa niente di niente, così almeno sembra. È un quadrilatero di tradimenti, di cui solo Biba conosce tutti i vertici. (p. 70)
GEF è composto da tre giovani diversi l’uno dall’altro, ma, come Biba, provengono tutti dal Liceo «Mamiani» di Roma Nord, uno degli istituti più politicizzati della capitale, e hanno continuato a coltivare il loro legame d’amicizia nonostante siano passati dieci anni dal diploma: loro continuano ad essere una sorta di prolungamento nel tempo di quel Liceo, «scuola che costituiva una capsula culturale, di cui la loro classe era una sotto-capsula, dentro la quale si era formata la sotto-sotto-capsula del loro piccolo gruppo, che comprendeva anche Biba» (p. 38) e l’impronta ricevuta è chiaramente manifesta in ogni loro discorso.
Il 20 luglio del 2001 Giacomo, Enzo e Filippo spezzano la monotonia del caldo e vanno a una festa di compleanno organizzata a Lavinio dalla cugina di Giacomo, che si chiama - che casualità! - Lavinia. Biba invece ha lasciato la sua Yaris al fidanzato ed è partita con delle amiche senza dirgli dove andasse. Durante il tragitto che dalla periferia di Roma, questa «immensa frittella edilizia in perenne lievitazione» (p. 36), porta prima ad Anzio, dove i giovani si fermeranno per cenare a base di pesce, poi alla meta della festa, assistiamo al vivace botta e risposta in macchina tra i tre in romanesco verace e così conosceremo meglio i tre ragazzi. Nei loro discorsi affiorano spesso richiami alle confuse notizie di quello che sta accadendo a Genova:
Sentito a Genova che casino? Aggiunge Ci stanno a fà neri, come se lui fosse lì. Giacomo si tiene informato, ma anche lui non sa se è o no un no-global, Enzo direbbe che non lo è, ma dice «ci» per senso di comunanza con quelli che a Genova marciano contro la Zona Rossa. Enzo chiede notizie e la fonte. Giacomo dice di aver sentito al telefono l’amico suo Dario che è lì e che parla di poliziotti scatenati. Dice che li stanno ammazzando e che nessuno alza un dito. (p. 16)
I tre giovani, in particolare Enzo, che della triade è il grafico che lavora quasi 24h su 24h al pc ed è capace di slanci riflessivi e contemplativi quasi quanto quelli di Giacomo, essenzialmente non sono dei convinti no-global, perché, innanzitutto sarebbero andati a manifestare a Genova, anziché bighellonare ad Anzio e poi a Lavinio, inoltre ammettono segretamente che in fondo la globalizzazione ha mostrato di avere molti vantaggi. Enzo è «come molti suoi coetanei degli ultimi Ottanta e dei primi Novanta, un voler sembrare qualcosa di diverso da tutto quello che c’è, mentre è solo dentro la coda ideologica di fine Novecento, che sfuma piano nel Consenso» (p. 20). GEF è in fondo un gruppo di «scapocchioni in cerca di un posto nella vita» (p. 114), bravi ragazzi, alla soglia dei trent’anni, che cercano di farsi strada nel mondo, affascinati dal potere, tenuti tutti e tre in pugno da Biba.
Filippo è l’unico dei quattro protagonisti che sembra non avere grosse aspirazioni: ripara biciclette e sostiene che non gli manchi nulla per sentirsi felice. Rispetto a Enzo e a Giacomo è destinato a fare strage di cuori per la sua bellezza e la sua umiltà. Pecoraro, a cui ho avuto modo di porre qualche domanda sui personaggi durante un incontro online organizzato dalla casa editrice, ha affermato che Filippo è l’unico «personaggio puro» della storia e che c’era bisogno di un personaggio così nell’economia del romanzo che facesse da contraltare ai due compagni, che sembrano tormentati dalle preoccupazioni del contingente e del futuro, riflettono sulle questioni politiche e sociali, mentre lui
non aderisce a nulla, ma è un caso rarissimo di sinistra naturale, cresciuta spontaneamente ma inesprimibile in termini politici, perché esiste solo nel suo fare, nel suo agire, nel dare e nel ricevere. Per questo due stronzi come Enzo e Giacomo, che invece quotidianamente lottano contro il fascismo naturale che è in loro, lo amano. Vedono in lui qualcosa di speciale che non si trova tanto facilmente. In sintesi Filippo è buono, dunque non ha bisogno di essere di sinistra, ha pensato una volta Giacomo […]. (p.51)
Tra i protagonisti, il personaggio certamente più affascinante del romanzo è Biba, la femme fatale, irresistibile, infatti lo stesso scrittore ha confessato di essere «innamorato di lei» e di essersene affezionato: per lui, uomo, creare un personaggio femminile credibile e autentico è stata l’impresa più difficile nella stesura del romanzo. Biba, a differenza dei suoi amici-amanti che sono rimasti a Roma, è andata a Genova con un pullman organizzato dai Cobas insegnanti ed ha assistito ad attimi di puro terrore, rischiando di perdere la vita. Nella seconda parte del romanzo, infatti, Pecoraro, con vivacità descrittiva ci porta nelle strade della Genova del G8 e ci pone dinanzi uno scenario di violenza gratuita e inaudita, che è uno dei temi dell’opera e che purtroppo è passato alla storia recente più cupa e triste:
Intanto il corteo sembra spezzarsi, i manifestanti arretrano, molti si ritirano, altri fuggono risalendo il percorso di andata, qualcuno sanguina dalla testa, l’asfalto si cosparge di sangue denso, chiazze viscide su cui la gomma delle suole non fa presa e per un attimo il piede scivola indietro. Biba arretra con gli altri davanti alla nube di gas lacrimogeno: le bruciano gli occhi e la gola, sente le gambe molli e il fiato corto, cortissimo, non riesce a parlare e quasi a respirare, ma riesce lo stesso a urlare assieme agli altri, Assassini, assassini, fascisti assassini, bastardi figli di puttana, servi. (p. 151)
È il torbido e terribile regno del caos e del sadico potere della violenza assimilata a una forza perversa e libidinosa: gli agenti delle forze dell’ordine da un lato sembrano incarnare dei geni del male, irrazionali nella loro furia legittimata dal potere dello Stato, sono «gli addetti all’uso della forza e della violenza», dall’altra si riconosce che ci sono carabinieri, giovanissimi, poco più che ventenni, che si sono fatti prendere dal panico di fronte agli scatenati Black block. In più parti del libro, però, la condanna dell’uso della violenza è ferma: il G8 a Genova, dove perse la vita il giovane Carlo Giuliani, non è stato purtroppo l’unico evento dove lo Stato ha represso nel sangue dei manifestanti, perché le recenti impiccagioni in pubblica piazza in Iran, come ha ricordato Pecoraro nell’incontro, testimoniano il perpetrarsi di una strage legalizzata anche nel nostro presente. C’è da aggiungere però che in uno Stato che si ritiene democratico ciò che è successo durante le manifestazioni del G8 lascia ancora più perplessi.
Solo vera è l’estate - titolo ispirato a un verso di Vittorio Sereni, come lo stesso scrittore ha tenuto a ricordare - non è un romanzo sul G8 di Genova del 2001: una lettura che si limitasse solo a questo evento sarebbe assolutamente superficiale. Il nuovo libro di Pecoraro invita non solo a riflettere sull’evento, a non dimenticarlo, ma soprattutto tocca molte altre tematiche, come il disorientamento dei giovani di fronte al politico «pot-pourri, una mescolanza di movimenti, di sigle, gente diversa e strana» (p. 16), alle prospettive future del loro lavoro, ormai diventato anch’esso “liquido”; è un romanzo sulla noia, malattia dell’uomo moderno, sul desiderio:
quindi il desiderio sessuale---che nel presente si applica e converge su Biba e solo su di lei---pre-esisteva, è una cosa selvaggia---preistorica e priva di senso---che ha viaggiato nel tempo di specie in specie---viene da quando eravamo pesci e da prima ancora---tipo da quando nuotavamo nelle acque basse dei mari del Cambriano---il sesso si serve di me, il sesso non sono io e lui non è me---per questo è così bello, così assurdo lercio bestiale---per i filosofi è come se non esistesse---metti, il sesso in Kant: dove lo trovi? Non c’è---eppure è il motore principale delle nostre azioni e reazioni---amo Biba? la risposta è: Sì-Amo-Biba---amo tutto di lei (p. 181)
Marianna Inserra