L'invincibile estate di Liliana
di Cristina Rivera Garza
Edizioni SUR, 2023
Traduzione di Giulia Zavagna
pp. 315
€ 19,00 (cartaceo)
€9,99 (ebook)
Vedi il libro su Amazon
Il medico forense stabilì le 5 del mattino del 16 luglio del 1990 come l'ora ufficiale della sua morte. I miei genitori in quel momento stavano sorvolando il Mare del Nord. C'era tempesta. (p. 248)
Scrivere la recensione di un libro che parla di femminicidio in un periodo in cui dappertutto si parla di questo tema ha creato in me una strana risonanza interiore. Dettagli e sviluppi di alcuni recenti casi di cronaca affollano da settimane pagine dei giornali e social media mentre vengono condivise sequenze interminabili di elementi morbosi. Storie dolorosissime vengono fatte a brandelli per prenderne ognuno un pezzetto. Verrebbe da chiedersi: per farci poi cosa.
Come collettività abbiamo una responsabilità enorme nel raccontare il femminicidio: si deve educare lo sguardo a una visione prospettica delle relazioni, vanno scelte le parole corrette (solo nominando le cose si può sperare di creare cultura), va usato un certo rispetto nel raccontare, perché la narrazione porti consapevolezza e giustizia, non semplice e malsano voyeurismo.
Quando ho deciso di leggere L'invincibile estate di Liliana ho sperato fortemente che questo libro potesse allontanarmi dalla maniacale ossessione per le vite fatte a pezzi e restituirmi qualcosa di molto profondo, nascosto allo sguardo di tutti gli altri.
Come collettività abbiamo una responsabilità enorme nel raccontare il femminicidio: si deve educare lo sguardo a una visione prospettica delle relazioni, vanno scelte le parole corrette (solo nominando le cose si può sperare di creare cultura), va usato un certo rispetto nel raccontare, perché la narrazione porti consapevolezza e giustizia, non semplice e malsano voyeurismo.
Quando ho deciso di leggere L'invincibile estate di Liliana ho sperato fortemente che questo libro potesse allontanarmi dalla maniacale ossessione per le vite fatte a pezzi e restituirmi qualcosa di molto profondo, nascosto allo sguardo di tutti gli altri.
Cristina Rivera Garza, una delle autrici messicane contemporanee più apprezzate e unica a essersi aggiudicata due volte il Premio Sor Juana Inés de la Cruz, racconta la storia della sorella Liliana, uccisa nel luglio del 1990 a Città del Messico - Calle Mimosas 258, da un ragazzo che da tempo non le dava pace. Aveva solo vent'anni e in quel momento era in atto in lei una trasformazione interiore decisiva. Tre decenni dopo la scrittrice ricompone attorno alla storia di Liliana un racconto che è fatto di molte parti che si intrecciano: le carte di Liliana (pagine di diario, lettere, cassette e bigliettini), le testimonianze di familiari e amici, le indagini e gli articoli di giornale e, naturalmente, il suo stesso ricordo della sorella:
Sono pezzi di un rompicapo molto complesso che non riuscirò mai a ricostruire del tutto. Una sopra l'altra, queste scritture sono livelli di esperienza che si sono sedimentati nel tempo. Il mio compito, ora, è de-sedimentarli. Con la cura dell'archeologo che tocca senza danneggiare, che spolvera senza rompere, la mia intenzione è aprire e al tempo stesso preservare questa scrittura: de- e ri-contestualizzarla in una lettura che parte dal presente. (p. 204)Il senso dell'operazione letteraria di Rivera Garza è perfettamente spiegato da lei stessa in pagine metaletterarie come questa che mettono il lettore al corrente di tutto un lavoro di recupero e riscrittura che somiglia nella sostanza all'attraversamento fisico e all'elaborazione di un lutto.
In un'alternanza concitata di voci e mezzi narrativi si compone il racconto-patchwork di una vita che stava vivendo la propria invincibile estate proprio prima di spegnersi.
Il volume presenta un crescendo interessante che non scivola mai nel morboso. Da subito sappiamo che Liliana è morta per mano di un uomo, ma il vero climax non è sapere come ciò è accaduto, quanto più assistere alla crescita di una giovane donna piena di forza vitale, "tremendamente fedele a se stessa". Una vitalità perfettamente restituita da un racconto corale percorso dallo spirito di sorellanza come condizione estesa e, nonostante tutto, vittoriosa: non si parla solo di due sorelle, ma di amiche, di donne incrociate per strada, di quelle morte ammazzate e poi ritrovate.
Come accade nei libri che entrano a fondo nell'esperienza della morte, ci troviamo di fronte a stati d'animo e a ricordi strazianti e contraddittori. Da un lato il lutto è quella cosa che separa, dall'altro è la condizione che genera un non sentirsi mai soli: "Invisibile ma evidente in molti modi, la presenza dei morti ci accompagna nei minuscoli interstizi dei giorni" (p. 120). A questo si intreccia il tormentoso senso di colpa di chi sente che non è riuscito a proteggere qualcuno di amato, nell'incapacità di scorgere il pericolo e di agire per prevenirlo.
Nella scrittura di una sorella vive incastonata la scrittura dell'altra, tanto che alla fine quasi non si possa dire chi delle due abbia scritto questo libro: se Cristina oggi, o se Liliana ieri costruendo un archivio di se stessa. Di sicuro l'effetto è quello di avvicinarci alla vittima imparando a conoscerne l'animo senza alcuna maniacalità: sappiamo come rideva, che occhiali indossava, che musica ascoltava, cosa amava fare e cosa vedevano di scintillante gli altri in lei. Eppure mai abbiamo l'impressione di fare a pezzetti Liliana come accade oggi alle donne di cui si scrive sui giornali.
Le domande che ruotano attorno all'atto del femminicidio rimangono tante: perché si continua a tornare dentro relazioni che creano instabilità e dolore? Si è incapace di vederlo o lo si vede così chiaramente da nasconderlo? Una risposta, comunque, emerge forte e chiara, e vale a Città del Messico come dappertutto nel mondo: come società abbiamo il dovere di tutelare con ogni mezzo le donne da atti come questo che Rivera Garza chiama di "terrorismo intimo":
Angel esercitò una violenza letale e raccapricciante sul corpo di mia sorella, guidato, come giustamente segnalò Rojas, dall'odio. L'odio di genere. L'odio nei confronti dell'indipendenza e della libertà delle donne. L'odio nei confronti di Liliana, la studentessa universitaria che si schierò sempre dalla parte dell'amore. (p. 285)
Siamo chiamati a guardare con estremo rispetto dentro l'invincibile estate di una ragazza che dopo anni di lotta, resistenza e negoziazione stava finalmente uscendo libera nel mondo, "voleva ogni cosa e amava ogni cosa".
Rivendicare per sé questa libertà di volere è l'imperativo di ogni donna, perché "solo nella libertà possiamo conoscere di che pasta siamo fatti".
Claudia Consoli