Max e Flora
di Isaac Bashevis Singer
Adelphi, maggio 2023
Traduzione di Elisabetta Zevi
pp. 226
€ 19,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Siamo all'inizio del Novecento. Max e Flora sono tornati a Varsavia, in via Krochmalna, cuore pulsante del ghetto della città, tra odore di birra, mostarda, bagel e pretzel e i loro vecchi amici Meir Panna Acida, Leah Lingualunga, Itche il Guercio e Srulke il Tonto. Arrivano da Buenos Aires dove hanno aperto una fabbrica di borsette, ottima copertura per un bordello. A Varsavia ci sono tornati per cercare "carne fresca" da portare con sé in Argentina, ragazze «candide come la neve appena caduta. Delle piccole sante», mentendo sul reale mestiere che spetta loro alla fine del viaggio.
Nel primo capitolo di questo inedito definito da molti gangster story, anche se non è ben chiaro se lo scopo dell'autore sia quello di mostrare cosa muove un criminale dal suo interno o di descrivere un uomo sempre insoddisfatto e alla ricerca di risposte, direi anche fallocrate, che casualmente è un criminale, nel secondario intento di «descrivere il mondo ebraico dell’Europa orientale senza idealizzarlo, raccontando la vita negli shtetl e nelle città in tutte le sue sfaccettature», come scrive Elisabetta Zevi nella nota al testo. Nel primo capitolo - dicevo - scopriamo la maggior parte di quanto raccontato brevemente e quindi il principio della narrazione, e conosciamo anche meglio alcuni personaggi, in particolare i protagonisti che danno il titolo al romanzo e il loro rapporto, punto fondamentale per comprendere quanto poi accadrà e vero punto interessante del libro.
Flora aveva lavorato in un atelier e poi era diventata un'attrice. «Se Max non l'avesse allontanata da quel mondo oggi il suo nome, Flora Chalupnick, avrebbe figurato a caratteri cubitali nelle locandine» dice. Perché Max era davvero geloso e lei era costretta a dipendere dagli altri, facendole dei favori che doveva essere ricambiati, perché non sapeva leggere e quindi doveva imparare i ruoli a memoria.
Dopo che si erano incontrati, e tra loro era sbocciato il grande amore, lui aveva dichiarato: «Il passato è passato, ma d'ora in poi per te ci saranno un solo Dio e un solo Max».
Un solo Dio e un solo Max, che non per forza son due cose distinte. Consideriamo la gelosia di un uomo che, di contro, non ha una sola Flora, che minaccia di «tagliare via un pezzo di carne e cospargere la ferita di aceto» se solo lei avesse permesso a qualcuno di avvicinarsi rendono questo rapporto insano, che poco ha di una storia d'amore che non si era mai vista «da che esiste il mondo». Flora, per essere stata salvata da Max quando era sull'orlo di una crisi [di nervi cit.] per essere stata abbandonata da un uomo, vede in Max davvero un salvatore, un Messia, che merita fedeltà fino alla morte. Ci sono delle contraddizioni nelle parole di Flora, indicative di quanto tra loro ci sia qualcosa che non definirei amore, una sorta forse di interdipendenza patologica.
Lui venera la terra su cui cammino, se potesse mi innalzerebbe al settimo cielo e si inchinerebbe a me come davanti a una dea.
Una dea da tenere sempre al guinzaglio, lontana dai teatri e dagli uomini, una donna che non va da nessuna parte senza di lui perché è impossibile darle fiducia. Una venerazione che è tale sono fino a che non ci sono errori. Max, nella descrizione di Flora, appare come un uomo che non ha alcun senso pratico, che ha fatto fortuna solo grazie ai soldi che lei ha rimediato in Argentina e alle sue conoscenze per aver lavorato in atelier. Max che fa le cose per bene solo quando lei gliele spiega. Max che è, in fondo, un debole e incapace. Viene il dubbio, a questo punto, che si tratti di una voce viziata dal "mostrarsi". È proprio lei, in fondo, a parlare dell'importanza di presentarsi bene, a Buenos Aires. Ma non credo che cambi molto in altri paesi e ambienti, per alcune persone e caratteri.
Sciocca dimenticanza non tenere in considerazione che parliamo di un passato in cui le suffragette erano "una nuova moda" di quei tempi? Le donne «sono state create per servire gli uomini, di giorno e di notte» dirà Max al suo amico Meir. I pantaloni non faranno di loro uomini. È indubbio quindi che non debba sembrare così anacronistico leggere di come la donna sia ritenuta merce di scambio, un soprammobile da mostrare, qualcuno che sostiene e asseconda l'uomo (non servirà, in questa occasione, scrivere di come ancora oggi le cose non siano del tutto cambiate). Di certo però aiuta a sottolineare quando le parole di Flora siano lontane dalla realtà.
Andando avanti nella narrazione,
molto lineare, Meir fa conoscere a Max Rashka.
Rashka aprì la porta e Max capì all’istante che di quella ragazza si sarebbe innamorato, che lei lo avrebbe amato a sua volta e avrebbe avuto un ruolo importante nella sua vita. Era proprio come Meir l’aveva descritta: snella, la carnagione chiara, i capelli biondi raccolti in una treccia e gli occhi di un azzurro che non aveva mai visto. Nel suo sguardo c’era qualcosa di nobile e allo stesso tempo di infantile, quell’aria aristocratica che hanno le contesse e le baronesse che si incontrano a cavallo o in carrozza in viale Ujazdowski, e questo anche se non era molto alta e indossava un abito logoro e un paio di vecchie ciabatte. Max notò subito che aveva piedi piccoli e ben fatti, mani sottili e dita lunghe, vita stretta e seni piccoli. Il collo era lungo e bianco. Quella vista gli tolse quasi il respiro e a mezza voce mormorò: «Meir, Dio ti benedica».
Tiene all'oscuro Flora, che viene a saperlo presto da altre fonti, ma soprattutto scopre che Rashka non è destinata al bordello, Max la vuole per sé. Ed è qui che Max cerca di convincere Flora ad avere un altro uomo perché gli anni per divertirsi sono agli sgoccioli, per mettere un po' di pepe nella loro storia. La spinge così verso Feivele, l'uomo che l'aveva abbandonata anni prima e che ha rincontrato proprio a Varsavia. L'incontro con Ida, una anarchica che gli provoca eccitazione e disgusto, mette le carte in tavola. Si definisce un folle, ma dà l'idea di avere problemi di autostima. Ha il terrore di essere impotente, come dice lui stesso, pur non avendo difficoltà a stare con donne che non lo attraggono. Ha paura di non essere in grado di far nulla da solo, tanto da alterare pensieri di morte (la sua o quella di Flora) a colpevolizzarsi per aver allontanato Flora da sé buttandola tra le braccia dell'altro. Vuole scappare con Rashka, per motivi politici e non, ma il richiamo di Flora è troppo potente. Scopre poi un particolare sulla vita della moglie che nessuno conosceva tranne lui, o forse lo aveva messo in una parte della mente così oscura da dimenticarsene. E così sente di aver perso tutto, di essere vicino alla vecchiaia, di poter finire in galera e i pensieri si fanno sempre più angosciati e confusi fino all'epilogo.
Qualche appunto sull'epilogo di questo romanzo che all'inizio promette bene ma che poi prosciuga la forza del rapporto tra i due e della confusione di lui, narrando avvenimenti di poco interesse. Il finale si può ricollegare al genere della gangster story ma sembra arrivare con una velocità che dà l'impressione di essere stato anticipato perché la storia doveva finire. È da tenere in considerazione che era stato pubblicato a puntate sul «Forverts» nel 1972, quindi probabilmente risente di questa fruizione e dei tempi dettati dalla pubblicazione del giornale, quindi di sicuro tutto quello che è successo prima perde quasi di senso e il politico prende il sopravvento quando nel testo aveva in realtà un ruolo marginale.
Viviana Calabria
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