Torna in libreria Matteo Bussola e pochi giorni dopo l'uscita di Un buon posto in cui fermarsi siamo già a una prima ristampa. Insomma, ogni suo nuovo libro è una festa per noi lettori, perché siamo in tanti ad ammirare il talento di Bussola nel portarci nelle vite degli altri, con empatia e sensibilità: poche righe e ci troviamo immediatamente immersi in un racconto. Il problema, semmai, è uscirne emotivamente indenni, ma poi arriva un'altra storia, con un suo microcosmo, e via così fino all'ultimo racconto, che ci lascia sempre un po' orfani, in attesa del prossimo libro.
Se ne Il tempo di tornare a casa le storie ruotavano attorno a una comune ambientazione (la stazione o il treno) e ne Il rosmarino non capisce l'inverno era l'universo femminile in tutta la sua complessità a unire le storie, con Un buon posto in cui fermarsi l'autore decide di raccontare la fragilità maschile, fisica e/o psicologica. Al centro troviamo protagonisti di età, provenienza, idee, aspirazioni e vissuti profondamente diversi, per cui guardiamo in un vasto caleidoscopio di esistenze. Quindici, se consideriamo il numero dei protagonisti; molte di più, se includiamo anche i personaggi secondari, che, in ogni caso, tanto secondari non sono. Basti pensare, ad esempio, alle donne che costellano l'opera come madri, amiche, mogli, compagne, amanti,...
La maggior parte dei racconti si concentra su un momento epifanico: una presa di coscienza improvvisa, una decisione a cui si è finalmente arrivati, un barlume di speranza, una svolta che si preannuncia, l'accettazione sofferta di qualcosa o qualcuno,...
C'è chi aspira a un cambiamento che, per quanto irrazionale, può portare per la prima volta a una piena realizzazione di sé; c'è chi, paludato nella quotidianità, osserva il suo matrimonio e la mancanza di comunicazione e pensa di provare a dare una svolta. Se qualcuno si interroga sulla propria sessualità, più o meno soddisfacente e realizzata, un altro racconta appieno il calvario di una vita in un corpo "sbagliato". La paternità torna in più sfaccettature, mostrando quanto rappresenti un passaggio delicatissimo nella vita di un uomo, che prosegue anche quando i figli sono ormai grandi.
Anche i giovani e giovanissimi hanno un ruolo importante nelle storie e Bussola dà loro spazio di esprimere il proprio disagio nel presente post-pandemico: che ci si chiuda nella propria stanza senza più riuscire a uscire per strada o ci si procurino tagli, la richiesta di aiuto è continuamente soffocata. Ed è difficile, quasi impossibile, che gli altri in famiglia capiscano cosa si sta attraversando.
Reclusione, prigionia sono temi che tornano anche legandosi alla giustizia, perché c'è chi deve lasciare tutto per andare in carcere o chi deve invece misurarsi con un ordine restrittivo che fa ben fatica ad accettare.
A volte i racconti sono dominati dal tema della sorte: trovarsi al posto giusto al momento giusto. Come spiegare altrimenti la svolta dolce-amara che permette a un ragazzo immigrato di far valere finalmente la propria laurea in ingegneria e di trovarsi una casa e un lavoro? O a un tassista che di solito non fa mai la tratta per l'aeroporto di soccorrere lungo la strada una partoriente? Queste sono solo due delle storie in cui il ruolo della fortuna si rivela fondamentale, ma ne potremmo citare altri.
Piccola curiosità? In copertina vediamo un ragazzo sdraiato su un prato; bene, la natura è in effetti un tema che apre e chiude l'opera e si affaccia anche in storie intermedie. Il giardinaggio, la coltivazione non sono che una scuola importante per prendersi cura della terra, degli altri e, tutto sommato, anche di sé.
Lieve nella forma ma incisivo nei dialoghi e nella narrazione dosatissima (ricordiamo che Bussola viene dal mondo del fumetto), Un buon posto in cui fermarsi è un omaggio a quegli uomini che si mettono in gioco e che si misurano con quel patriarcato a cui (fortunatamente) non sentono più di appartenere. I loro valori, le loro paure, le fragilità e i punti di forza non sono maschili; sono, semplicemente, umani.
GMGhioni