Il romanzo narra, con un intreccio prezioso e una focalizzazione multipla, la storia di Severino, un uomo anziano che decide di cercare la moglie Anna, scomparsa nel nulla. Anna, nonostante sia ultrasettantenne, ha deciso di cambiare vita, la sua fuga è l'affermazione tardiva della sua personalità, il rigetto di un matrimonio mai voluto forse, al pari della sua maternità. Dopo un anno di attesa, Severino decide di abbandonare Stromboli (e qui l'isola non è approdo, come per Ulisse, ma approdo fallito, nostos non compiuto) per cercare Anna; prende il suo inseparabile Borsalino e compie un viaggio che solo apparentemente è a ritroso. Cercando ciò che la moglie è stata e ciò che lui è stato accanto a lei, Severino scopre anche ciò che poteva essere.
La fuga di Anna di Mattia Corrente Sellerio, 2022 pp. 250 € 16,00 (cartaceo) € 9,99 (ebook) Vedi il libro su Amazon |
Il tema dell'identità e della possibilità sono due temi tipicamente novecenteschi, mi verrebbe da scomodare Pirandello e Musil, giusto per fare tremare le vene e i polsi. Ma questa Anna che fugge è un poco come l'Angelica che fugge nell'Orlando Furioso e che mette in moto un meccanismo narrativo: uno sparigliare la vita definita.
La vita definita dalla pretese sociali, i ruoli, il posto che gli altri vogliono che noi occupiamo nel mondo. L’identità è una forzatura, un marchio che ci segna omologandoci verso un sé che deve contenere dei tratti riconoscibili, controllabili, contenuti in uno schema rassicurante per noi e per gli altri. Anna non può liberarsi dallo schema perciò fugge. La fuga come una ribellione a quel perenne gioco di specchi in cui ci riconosciamo sempre e non ci riconosciamo mai, e che nella vita, pure se riduciamo in pezzi, restano schegge e di nuovo si riflettono innumerevoli versioni di noi. Se non esiste una sola versione di Anna, Anna sperimenta la “follia” di dire basta. Succede a Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila, per esempio, anche attraverso un evento apparentemente insignificante. Moscarda dà il via alla sua deflagrazione identitaria dopo avere scoperto dalla moglie di avere il naso storto, Anna comincia la sua dal giorno in cui suo padre scompare. La scomparsa di Peppe è un difetto esattamente come il naso storto di Moscarda, una stortura che innesca in Anna la consapevolezza di non essere per gli altri quello che lei vorrebbe essere per se stessa.
Un romanzo di “sformazione” forse, visto il viaggio all’indietro di Severino. Non siamo di fronte a un vecchio che scava nel suo passato, ma a un uomo che si ritrova costretto a riscriverlo. La vita di Severino prima della fuga di Anna si rivela una farsa, la sua vera storia è racchiusa dentro una teca e lui può solo guardarla da fuori, non gli è più possibile rompere il vetro e riappropriarsene. La libertà di essere se stesso è andata perduta. Resta solo l’ultimo pezzo corto della vita, uno scampolo di esistenza in cui questo vecchio sornione possa a dire a se stesso: la libertà che posso concedermi è sapere dove non voglio più stare.
Non scomodiamo D’Arrigo, tremano a me vene e polsi altrimenti. La mia terra ha partorito voci come Sciascia, Pirandello, Consolo, giusto per citarne alcuni che sono per me autori canonici. A loro ho chiesto aiuto. C’è un destino comune per chi scrive, e si rivela nella prosa degli altri, una prosa come una profezia universale che gli scrittori si tramandano nel tempo, si parlano tra le parole, per non sentirsi soli nell’interminabile tirocinio che è la scrittura. Ho riletto Il fu Mattia Pascal e ci ho trovato dentro la strada per scrivere il mio romanzo. Nella prosa di Consolo ho riconosciuto la Sicilia metamorfica e versatile che volevo accompagnasse i miei personaggi. Amici di penna, questo sono stati per me. Non mi sono limitato a prendere spunto da loro. Diciamo che ho chiesto dei consigli, delle dritte che con le loro opere sono arrivate.
La struttura di un romanzo è il romanzo. La fuga di Anna è un corpo narrativo tripartito, governato da un montaggio alternato di punti di vista che cuciono e scuciono il tessuto narrativo lasciando varchi che il lettore riempie per allusione. È il frutto di prove, tentativi che l’opera ha rifiutato indirizzandomi verso la struttura migliore. Se scrivi per il bene dell’opera, quella ti direziona. Ogni personaggio pretende la sua voce, ti chiede di scegliere con attenzione: “vuoi davvero che sia io a parlare? Non mi sento a mio agio, potresti provare con un narratore in terza che mi attraversa e mi vede da fuori? Prova, forse mi sento più al sicuro”. Con i personaggi, io ci parlo. E ci litigo anche. Strutturo e poi scopro cosa succede.
La madre di Anna, Serafina, è una madre possessiva e tirannica, che ha scelto la vita che doveva vivere la figlia. Solo nel momento in cui Anna la seppellisce, sembra emettere un respiro identitario. Eppure, anche Anna è stata una madre "diversa", nel senso che non ha seguito i canoni di un amore materno voluto e messo al centro della propria esistenza. Il tuo romanzo è anche un romanzo che riflette sul tema della maternità, che non può esaurire - mi sembra questo uno dei sensi della fuga della protagonista - l'identità femminile.
È un romanzo sul desiderio di non maternità, sul diritto di non volere essere una madre, che non esiste un destino materno ineluttabile. Anna rimane imprigionata nell’imperativo della madre Serafina: “Una donna nasce per diventare moglie di un marito e madre di un figlio”, un comandamento che non è di certo sparito. La questione della sacralizzazione della maternità è ancora aperta. Fin quando la maternità verrà concepita come un ruolo obbligatorio e non come un’esperienza libera, troppe donne somiglieranno ad Anna.
Anna è l’antagonista di mia madre, una donna che quel destino ineluttabile di madre l’ha accettato a testa bassa. Anna l’ho trovata in un vestito da sposa chiuso in una valigia di cartone riposta in cantina. Era di mia madre. Anna era la donna che sarebbe stata mia madre se non avesse introiettato quel retaggio patriarcale che la voleva solo una moglie e una madre. Mia madre l’aveva nascosta. Io l’ho liberata. Severino sono io da vecchio, forse.