Ai tempi dei Romani era normale parlare di morte: lo si faceva a tavola, addirittura col sorriso sulle labbra; le epigrafi erano spesso giocose, talvolta ammonitorie; e si decideva senza alcuna remora i dettagli delle proprie esequie prima di morire. Se adesso qualcuno a tavola fa un vago cenno al proprio testamento, ecco che perlopiù cala il silenzio o si cerca di cambiare discorso. Non so dire se la morte faccia più paura di una volta; di sicuro si cerca di nominarla di meno, di distrarsi il più possibile e di zittire chi invece vuole parlarne. Di conseguenza, oggigiorno è difficile trovare un romanzo che senza orpelli né pretese filosofiche o tabù metta al centro la morte. E che lo faccia con una scrittura lieve, a tratti ironica ma mai irriverente, è pressoché un caso unico. Ecco perché Qualcosa resta, il romanzo che segna il ritorno di Alessandro Mari dopo sei anni da Cronaca di lei, è insolito nel panorama editoriale contemporaneo e occupa un posto tutto suo.
Nelle prime pagine del romanzo, scopriamo innanzitutto l'ambientazione: siamo ad Aridosa, un paesino che è rinato davanti alla visionarietà della "professora", personaggio con un che di mitologico, che ha deciso di ritirarsi lì insieme ad altre venti persone, perlopiù pensionate, e di creare una nuova idea di comunità. Qualche esempio? Indire una festa apposita per omaggiare Pietro Turati o Anna Kuliscioff, immaginare una scuola dove imparare lingue diverse da quelle mainstream, creare una comunità cosmopolita,... E soprattutto lì la Professora si è trasferita per morire come voleva lei. Ecco forse perché lì la morte non è un tabù e se ne può parlare tranquillamente («Venuta per farsi incontro alla morte alle sue condizioni, però, ha riacceso la vita», p. 34). Nel corso degli anni, Aridosa si è allargato fino a ospitare milleventidue anime, accompagnate da un numero incredibile di animali: cinquecento circa. A favorire l'uso di avere accanto a sé un animale domestico ci si è messa la clinica veterinaria fondata da Ida, protagonista silenziosa del romanzo. All'inizio scopriamo attraverso le parole di Adelio, fratello di Ida e io narrante della storia, che sua sorella è appena morta. Ida ha fatto tanto bene per gli abitanti di Aridosa, salvando i loro animali quando possibile, o accompagnando i padroni alla decisione più sofferta in altri casi.
Se lei ha sempre avuto dimestichezza con la morte, considerata parte integrante della vita e tappa naturale, anche il suo compagno, Pedro, fa altrettanto: lavora infatti nel crematorio di Aridosa, senza mai lamentarsi del proprio compito. Anzi, a un certo punto della sua vita si è messo in testa che il suo cane, Lobo, ha un potere fondamentale: fiuta la morte in arrivo, e dunque, in qualche modo, può prevenirla. Ed è grazie al cane che Pedro conosce Ida alla clinica veterinaria e tra i due nasce una relazione.
Non servono molte pagine perché si comprenda il senso di colpa feroce che avvince Pedro: pochi giorni prima dell'infarto di Ida, lui l'ha lasciata, perché la loro relazione si era trasformata in un rapporto fraterno. E così è convinto di essere stato lui a "romperle il cuore". Se dunque è difficile tanto per lui quanto per Adelio accettare la morte della donna, sebbene per ragioni differenti, il passaggio dall'accettazione all'elaborazione del lutto viene raccontato minuziosamente da Alessandro Mari. Le pagine sulla cremazione di Ida, che ha voluto compiere lo stesso Pedro, potrebbero risultare dure per alcuni lettori, ma solo perché c'è decisamente scarsa dimestichezza con questi argomenti.
Quel che sorprende è la capacità di trasformare in modo un po' immaginativo il saluto a Ida in una grande festa per tutto il paese, a cui prenderanno parte tutte le persone che le hanno voluto bene o che le sono state grate almeno una volta. Se da un lato assistiamo alle incombenze pratiche che comporta preparare una festa estesa a centinaia di persone, fare pulizia delle beghe burocratiche di Ida o fare i conti con ciò che ha lasciato a casa sua, dall'altro osserviamo il cementarsi di un rapporto di fratellanza sempre più stretto tra Pedro e Adelio. I due, che prima si frequentavano poco, diventano sempre più legati in nome del ricordo di Ida:
Abbiamo impiegato quindici giorni, Pedro e io, per diventare fratelli. E quando fratelli e sorelle non si nasce, quando il legame di sangue non c'è di partenza, credo sia sacrosanto prendere nota di quanto s'impiega per crearlo. Almeno all'incirca. (p. 58)
Non ci si aspetta a questo punto una svolta narrativa decisamente imprevedibile, che fa abbandonare del tutto Ida nella terza parte del romanzo: il cane Lobo forse non fiuta la morte, ma fiuta - un po' fiabescamente - il buono che ognuno di noi lascia sulla terra:
“Volevo trovare un altro po' dell'odore buono di Ida, ma secondo me Lobo ha fiutato l'odore buono di Radu, e Radu è ancora vivo, perciò...” (p. 151)
Ecco perché Pedro si incammina quasi senza averi, come se fosse un pellegrino, alla ricerca di queste "scie" olfattive di buoni ricordi lasciati da questo o quell'abitante di Aridosa in giro per il mondo. Col pensiero, poi, di condividerle con l'interessato al suo ritorno. E questo suo cammino porterà Pedro e il cane lontani da Adelio. Ma - ricordiamolo - Adelio è il narratore della vicenda, ragion per cui assistiamo come spettatori distanti da quanto sta avvenendo, spesso scoprendolo in veloci sintesi - un po' troppo veloci - al ritorno di Pedro. Ed effettivamente quest'ultima parte del romanzo è svelta, sbrigativa: il tempo della narrazione è infinitamente più breve rispetto al tempo della storia.
Se certamente questo risponderà a un desiderio dell'autore, perché Mari è uno scrittore sapiente, trovo che la prima e la seconda parte siano quelle di maggiore intensità e anche le più toccanti. In ogni caso, Qualcosa resta è un romanzo singolare, difficile da inserire in qualsiasi genere, e proprio per questo richiede di essere maneggiato con una certa cura e una grande apertura all'insolito, all'indicibile e alle storie non convenzionali.
GMGhioni