[…] un’isola ricca di oro e di argento che basta a se stessa, l’eccellenza dei suoi prodotti, la disciplina e la frugalità di una popolazione attenta all’igiene fino alla pignoleria, un potere onnipresente, una polizia efficiente, una giustizia rapida, onestà ed opportunismo sapientemente orchestrati, in breve: lo Stato meglio governato del mondo. (p. 78)
Una scrittura piacevolissima che impreziosisce il contenuto davvero interessante del libro: partendo da esperienze vissute in Giappone, in vari luoghi, soprattutto nella città di Kyoto, antica capitale, che «conta seicento templi e tredici secoli di storia» (p. 12), conosceremo le caratteristiche del popolo giapponese (che si sono conservate fino ad ora in realtà), la loro visione del mondo, i loro vizi e virtù, la loro sofisticata ricerca della bellezza.
Tutto ciò che appartiene a una divinità - fiato, saliva, sangue, escrementi - può generarne altre he investono a poco a poco il mondo materiale purificando lo dai suoi umori. Le divinità sono miriadi: celesti o terrestri, illustri o modeste, potenti o subalterne, titolari in partibus di un vulcano o di un cespuglio. Alcune solidamente ancorate alla mitologia, altre che, dopo aver reso qualche piccolo servizio, si volatilizzano in fumo. (p. 19)
Diremmo che siamo di fronte a una religione inclusiva: occorrono parecchie divinità, piccole o grandi, per animare le cose, cibo compreso (esiste anche il Kami del Pettine!) e per santificare i mestieri, da quelli più umili a quelli più prestigiosi. In mezzo a questa miriade di divinità, il Giappone è diventato, secondo il mito, uno stato l’11 febbraio del 660 a.C. con Jimmu Tenno, il primo imperatore. Bouvier difende la religione shintoista dalle incomprensioni del viaggiatore tedesco Kaempfer che la considera piuttosto ridicola ed inaccettabile, sostenendo che anche agli occhi di un giapponese i dogmi cristiani (primo tra tutti la verginità di Maria) possono sembrare bizzarri. A differenza del cattolicesimo non esiste nella cultura shintoista il concetto di peccato, né di mortificazione e penitenza, ma tutto può essere lavato via con abluzioni e purificazioni, nessun Inferno, per placare gli spiriti, basta lasciare loro una ciotola di riso e qualche offerta simbolica per ingraziarseli. Nonostante l’avvento del buddismo, lo scintoismo non è stato mai soppiantato, anzi entrambi questi sistemi - che definire religioni non è propriamente corretto - hanno convissuto insieme per tanti secoli:
In quindici secoli di convivenza, il Buddha e lo Shinto non sono mai entrati in conflitto aperto, e nel giardino di un tempio buddhista troverete sempre -in un cespuglio, dietro il pozzo, di fianco alla rimessa del giardiniere - un piccolo santuario Shinto ornato di fiori ancora freschi, segno che l’Antico Proprietario ha mai davvero lasciato questo luogo. (p. 33)
Fresche le immagini che ci dipinge con ammirazione Bouvier della città di Tokyo nella seconda parte del libro: un luogo dove si incontrano due mentalità opposte, quella di Sud Est (shitamaki, città bassa), legata a un’economia di sussistenza principalmente basata sulla la pesca e che si diverte con gli spettacoli di lotta sumo e la parte di Nord Ovest, yamanote (lato delle colline) più raffinata e compassata, economicamente più ricca, che si dedica al teatro No ed alla calligrafia. Vivide le immagini delle viuzze, dei profumi nell’aria, delle ragazze del bordello “fuori orario di servizio”:
In fondo al quartiere tre viuzze parallele, disseminate di enormi lanterne, odorano di erbe medicinali, disinfettante e profumo a buon mercato. Dal 1958 i bordelli, ahimè, sono chiusi. Si sentiva fischiare e sussurrare sulle porte, e dal battente aperto il passante poteva vedere l’ Olympia di Manet riprodotta a mosaico decorare il muro di fondo, ed enormi teiere di ghisa cantare sui bracieri. […] In piedi sulla soglia, in sottoveste, le ragazze prendevano il fresco, bevevano con ingordigia del latte dalla bottiglia o si occupavano del pupo che una vicina le aveva loro affidato, giusto il tempo di fare la spesa. (p. 122)
Interessanti le pagine dedicate alle usanze e alle ossessioni giapponesi: la paura di fronteggiare l’imprevisto, la mania dell’igiene, il pudore perseguito ossessivamente in tutti i luoghi e in tutte le occasioni tranne che nei bagni pubblici, dove la nudità è la regola:
Il Giapponese non è turbato dalla nudità al bagno; ne ha troppo l’abitudine, e se eccezionalmente ne è turbato, be’, cosa c’è di male? Sotto questo aspetto è più spontaneo di noi. Deve essere rimasto a lungo perplesso di fronte al nostro mondo, che metteva le mutande lunghe e faceva tante storie per entrare in acqua…per poi decorare i giardini pubblici con statue di prosperose donne nude simbolo del Commercio o dell’Industria. (p. 126)
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