(Age of Vice, 2023)
di Deepti Kapoor
pp. 648
€ 20,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Cinque vagabondi, di quelli che vivono sui marciapiedi, sono per terra morti, sul ciglio di Inner Ring Road, a Delhi.
Sembra l’inizio di una barzelletta di cattivo gusto.
Se lo è, nessuno glielo aveva detto.
Sono morti dove dormivano.
Una scena introduttiva violenta, impressionante: cinque morti, fra i quali una ragazza incinta, trascinati da una Mercedes sopraggiunta ad altissima velocità; quattro poliziotti intervengono e trovano l’autista, un giovane elegante completamente ubriaco, ancora riverso sul volante e circondato da una piccola folla minacciosa. Gli agenti, dopo un attimo di esitazione per il rischio di dover arrestare una persona potente e quindi pericolosa, insomma un “intoccabile” (l’auto di lusso è un indicatore preoccupante), si rendono conto con sollievo di chi hanno di fronte:
Quello che sanno è che non è ricco, niente affatto. […] Gli abiti, la cura personale, l’auto, non possono nascondere le umili origini: il suo odore è più forte del liquore o della colonia.
Sì, è un servitore, uno chaffeur, un autista, un “ragazzo”.
Una versione ben nutrita e ben addestrata dei corpi sulla strada.
E la Mercedes non è sua.
Il che significa che possono fargli del male.
Da questa scena prende il via un romanzo singolare, caratterizzato dall’intersecarsi di più storie ma dall’assenza di una trama vera e propria. Tanti sono i personaggi, soprattutto quelli in secondo piano ma con un ruolo fondamentale per lo svolgersi del narrato. Un lungo prequel ci presenta i tre attori principali, diversissimi fra loro ma legati in modo indissolubile, sebbene più dal caso che da scelte volontarie. Ajay, Neda e Sunny rappresentano tre mondi lontani e incompatibili nonostante le continue interazioni: il primo è cresciuto nella povertà più estrema, venduto ancora bambino dalla madre per saldare un debito, dotato di una lucidità e una capacità di adattamento che gli permetteranno di raggiungere uno stato di relativo benessere, pur rimanendo in condizione di assoluta subordinazione sociale e umana. Ajay rimarrà sempre un servo, usato a seconda delle necessità contingenti fino a conseguenze estreme, nonostante possa godere di una minima agiatezza materiale normalmente inconcepibile per una persona della sua provenienza.
Neda è una giovane giornalista del "Delhi Post" che proviene da una famiglia colta e istruita, progressista e agiata economicamente, laica, democratica ed estranea a dogmi sociali come la stratificazione per caste; Neda è tuttavia vittima paradossale di un condizionamento legato proprio alla sua appartenenza alla classe media, che le fa percepire i diritti sociali a lei concessi e negati a milioni di altre persone come un carico di privilegi che la pone in perenne stato di disagio e la costringe a sopportare sensi di colpa implacabili.
E poi c’è Sunny, il personaggio più complesso dei tre: bello, ricchissimo, apparentemente spavaldo e imperturbabile, è il rampollo della potentissima famiglia Wadia, organizzazione mafiosa con interessi nelle aree produttive più importanti dell’India, dagli zuccherifici alle costruzioni, dai trasporti a qualsiasi altro settore che possa rappresentare una fonte di lucro. Non mancano, naturalmente, i legami a doppio filo con politici di alto livello, strumenti utili a garantire impunità e libertà d’azione.
Sunny viene presentato sotto diverse prospettive, e il suo profilo acquisisce molteplici aspetti a seconda dello sguardo da cui è filtrato: per Ajay, Sunny è il padrone da servire fedelmente e da proteggere a ogni costo, quel padrone che gli permette di avere un tetto, pasti regolari e abbondanti, bei vestiti, una vita infinitamente più comoda rispetto a quella che aveva condotto prima di incontrarlo. La fedeltà di Ajay si spingerà fino a livelli inimmaginabili, senza che questo, peraltro, muti la sua condizione di mero oggetto, utile ma non indispensabile, completamente spersonalizzata, agli occhi del padrone.
La prospettiva di Neda è diversa, più spostata verso una dimensione intima e sentimentale: nonostante all’inizio lo disprezzi per la sua appartenenza alla galassia mafiosa, Neda finisce con l’innamorarsi di Sunny, vedendo in lui un uomo prigioniero delle circostanze, che tenta di sottrarsi all’influenza di un padre spietato cercando un nuovo inizio lontano da lui e dall’ambiente tossico che lo circonda.
La natura di Sunny è sicuramente più vicina al punto di vista di Neda che all’immagine granitica che l’uomo cerca di veicolare: la personalità complessa e multisfaccettata ne diminuisce sensibilmente la negatività, senza per questo renderlo una figura positiva, sia chiaro. Come Ajay (con tutte le differenze del caso, ovviamente) non ha la possibilità di sottrarsi a una vita eterodiretta e fatta di regole assolute: il suo tentativo di affrancarsi da quel padre-padrone opprimente e crudele, oltre che anaffettivo, gli costerà carissimo e lo segnerà in modo devastante.
L’età del male non è un giallo né un noir, non segue una linea narrativa precisa, è piuttosto una rappresentazione della moderna società indiana, con le sue contraddizioni, le sue storture e i suoi innumerevoli problemi. È una storia che parla degli invisibili, donne e uomini (Ajay è uno di questi) vittime di una perenne disuguaglianza anche a causa di anacronistiche ma ben radicate rigidità sociali, come l’implacabile sistema delle caste. Insomma, chi sta in fondo alla scala è condannato a una vita miserrima perché così deve essere, e pazienza se questo sistema inevitabilmente genera senso di rivalsa, livore, violenza e problemi sociali infiniti e irrisolvibili.
Invisibili sono anche le donne, quelle più povere vittime due volte; prelevate dai villaggi per diventare carne da bordello, picchiate, violentate e uccise senza scrupoli, spesso in modo particolarmente crudele. L’autrice, indiana trapiantata in Portogallo, affronta questi temi in modo diretto ed efficace, con uno stile narrativo scorrevole e coinvolgente oltre le aspettative. Le oltre 600 pagine del romanzo si leggono in breve tempo, nonostante qualche leggera caduta di ritmo in alcune parti e, soprattutto, a dispetto di un finale aperto che, in tutta sincerità, non è all’altezza dei capitoli precedenti e appare un po’ troppo “buttato là”, come se fosse stato scritto con la fretta di chi è in ritardo per la consegna.
L’età del male si annuncia come il primo capitolo di una
trilogia (questo spiegherebbe il finale, che peraltro sciatto era e sciatto
rimane) e si parla anche di una possibile serie televisiva. Entrambe le notizie
costituiscono allo stesso tempo una speranza e una minaccia. Vedremo. Ma per il momento leggiamolo, ché ne vale davvero la pena.
Stefano Crivelli
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