“Che vita dura deve aver fatto questa gente” (p. 69)
I rapporti interpersonali sono sempre stati il fulcro dei romanzi di Edurne Portela: lo testimoniano i suoi primi libri, Meglio l'assenza e Forme di lontananza (editi da Lindau, rispettivamente nel 2019 e nel 2020). Se là al centro c'era soprattutto la violenza generata dal desiderio ossessivo del possesso e dalla gelosia, nel nuovo romanzo, Con gli occhi chiusi, edito da poco per Voland, la scrittrice basca fa un'operazione diversa.
Tanto per cominciare, siamo davanti a un romanzo corale. Da un lato, la storia riguarda Ariadna e Eloy, una coppia in crisi che vive insieme da anni e che ha deciso di provare a uscire dall'impasse di un rapporto paludato ritirandosi ad abitare in un paesino semi-dimenticato dell'entroterra spagnolo, Pueblo Chico. Entrambi possono lavorare da casa, lui in smart working, lei facendo editing di manuali. Il silenzio tra loro e la comunicazione così scabra, di frasi minime, lasciano intuire quanto sia poco il desiderio di approfondimento e condivisione. E il grado di auto-consapevolezza in Eloy è molto alto:
Per lui è un bene che Ariadna non lo interrompa mentre lavora, non gli chieda di adattarsi ai suoi ritmi né di stringere rapporti che non gli destano alcun interesse. A poco a poco si radica in lui la sensazione di conoscere sempre meno il mondo di Ariadna. Questa sua ignoranza non gli crea alcun problema. Conferma piuttosto il suo disinteresse. (p. 50)
Attorno a loro, c'è tutto un paese. Un paese che osserva. Un paese che vive in modo semplice, quasi fosse indipendente dal resto della Spagna, isolato com'è. Un paese con i propri segreti, perlopiù affondati nel passato. Ci sono traumi, legami segreti, omicidi e suicidi, parentele tenute nascoste e altri elementi che rendono gli abitanti meno trasparenti e spiegano la stranezza di alcuni di loro. Siamo davanti a una microcomunità che negli anni ha imparato a conoscersi e a chiudere fuori chi è potenzialmente pericoloso per gli equilibri più disparati. Ecco perché i nuovi arrivati vengono guardati con diffidenza, almeno all'inizio.
Ariadna mostra da subito il desiderio di integrarsi, senza pregiudizi, mentre Eloy è molto più schivo e fatica a comprendere perché la compagna si sia incaponita a restare lì, perché esca prima dell'arrivo del fruttivendolo a conversare con i compaesani o perché si offra di portare a casa di un'anziana i pesanti contenitori con l'acqua della fonte. Forse solo perché è convinta che le sue radici affondino proprio in Pueblo Chico:
“Appartengo a questo posto”.“Non ricominciare con questa storia. Saremmo potuti finire in un altro paese identico a questo convinti che fosse quello di tuo padre e ti sentiresti esattamente allo stesso modo”.(p. 118)
Tra tutti i personaggi, Pedro è senz'altro quello che attira maggiormente l'attenzione: un trauma molto violento gli ha impedito di crescere come tutti gli altri, e dunque lui pensa e parla in modo non sempre chiaro, quasi fosse un oracolo che vede e sente cose ignorate dai più («Ha sempre visto cose che noi non possiamo vedere», commenta una compaesana a p. 140). Dialoga con chi è all'altro mondo e rievoca continuamente un episodio che lo ha reso fragile, come se la sua memoria lo costringesse a rivivere determinati eventi in loop. Ma tutti in paese lo conoscono, e tutti in qualche modo sanno quando riportarlo a casa o come ammansire i suoi demoni. Ci sono verità che vengono tenute a bada solo nel buio della propria interiorità. Pedro lo sa bene, ma anche Ariadna: aprire gli occhi significa non solo vedere, ma anche guardare, e poi è impossibile far finta di nulla.
Romanzo per frammenti, che alterna narratore di primo a quello di terzo grado e adotta varie tipologie di focalizzazione, questo Con gli occhi chiusi destabilizza piuttosto violentemente i suoi lettori, specialmente chi è alla ricerca di una narrazione tradizionale. Tanto per cominciare, i confini dei paragrafi sono molto netti, ma a questi non corrisponde necessariamente la conclusione di una sequenza. È soprattutto il ricordo a figurare interrotto e poi ripreso a distanza di pagine, riportandoci immediatamente in un passato poco rassicurante. La storia di Ariadna ed Eloy viene così lambita, a volte sommersa, da altre vicende della comunità e a volte è difficile raccapezzarsi sui rapporti cronologici: a quando risale questo ricordo di Pedro? A quando il tormento di Teresa?
Edurne Portela sembra quasi suggerirci che non è importante capire esattamente quando, basta che un determinato fatto sia avvenuto prima: così i suoi personaggi sono alla ricerca di una serenità che sembra continuamente essere negata da Pueblo Chico. Infatti, il paese, che in apparenza doveva essere una culla isolata dove piantare un orto e fare lunghe passeggiate per Ariadna, è claustrofobico per Eloy e non manca di conservare qualcosa di inquietante e doloroso.
GMGhioni
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