Traduzione di Francesca Turri
pp. 298
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (eBook)
«È solo che ci sono alcune persone che è come se non fossero adatte a vivere», continuo, «così come ce ne sono altre che riescono a godersi la vita solo quando hanno visto la morte da vicino, per esempio dopo essere state investite da un’auto». […] «Dico soltanto che alcune persone non sono brave a vivere come le altre, e può darsi che fosse solo questo, che lei non appartenesse a questo mondo, che non le andasse di vivere». (p. 140)
«Non è che possiamo riempire l’ospedale di giovani che prendono pillole, non c’è abbastanza posto. Devono rivolgersi al comune e chiedere aiuto lì, qui abbiamo troppe cose di cui occuparci. […] Anche i genitori devono prendersi delle responsabilità». (p. 170)
Ti ricorderemo per sempre, scrivono taggandoti su Facebook, ma truth is che solo una minima parte lo farà davvero. Gli altri continueranno a vivere, continueranno a scrollare i loro feed, e si ricorderanno di te per un attimo solo quando gli sembrerà di averti vista in città. E allora penseranno ah, no, lei non c’è più. (p. 175)
La valle dei fiori ti porta agli inferi di un sistema che non sa ascoltare, non sa fornire un valido aiuto ad una gioventù allo sbando e ciò che è terribile è che non si tratta di un libro distopico, ma realistico. I giovani groenlandesi più fragili non trovano aiuto né presso le istituzioni, né dai medici e spesso neppure dai familiari. Dietro al suicidio di una ragazza si tende a pensare subito che ci sia stato un abuso sessuale: nessuno è in grado di comprendere e di fronteggiare quel malessere nero che si chiama depressione, una malattia sociale che per quell’area del mondo è per gran parte frutto di una scelta politica della storia recente. Korneliussen, giova precisarlo, nel libro non si sofferma a ricercare le cause di questo fenomeno nella dipendenza coloniale, piuttosto semina in qualche pagina i risultati di studi e ricerche letti dalla protagonista e che si basano sui livelli di serotonina - alquanto bassi - nei giovani groenlandesi: sono studi che, però, non soddisfano neppure lei.
La valle dei fiori tratta una tematica decisamente cupa e triste, anche se terribilmente attuale, ma è scritto in maniera originale, superba e la voce dell’autrice è fresca, ironica, spesso umoristica che aiuta a bilanciare il tenore della narrazione. La penna di Korneliussen è di una crudezza che scortica a sangue, fa male, è corrosiva, ma presenta le giuste pause lirico-evocative che aiutano il lettore a prendere fiato. È una scrittura versatile, che si fa tenera a volte, ma è soprattutto di un realismo crudele: sicuramente è una voce nuova e talentuosa nel panorama della letteratura nordica.
Ho provato a scrivere un discorso indirizzato ai leader del mio paese, ma è come parlare con un muro […] Quindi ho deciso di dedicare questo discorso a coloro per cui scrivo. […] Abbiamo il più alto tasso di suicidi al mondo. Nel corso di diverse generazioni sono venute a mancare tantissime persone che avrebbero potuto essere ancora qui. Che avrebbero potuto vivere una vita lunga, e non diventare solo ventenni, quindicenni, dodicenni. Abbiamo un sistema che vi trascura ripetutamente quando avreste più bisogno di aiuto. Non si assumono la responsabilità, la scaricano su di voi, voi che nemmeno sapete se sarete in grado di superare la notte. (p. 298)
Queste parole sono state tratte dal discorso - che il lettore troverà alla fine del libro - che la scrittrice groenlandese ha pronunciato in occasione del conferimento, nel 2021, del Premio del Consiglio Nordico, il più prestigioso riconoscimento letterario della Scandinavia, prima volta in assoluto per un romanzo groenlandese. Una vittoria ancor più importante, se si pensa che Korneliussen appartiene alla generazione millennial e alla comunità lgbtq e perciò, come fa notare Francesca Turri nella sua postfazione, la sua opera «offre uno sguardo inedito su discorsi che pervadono il dibattito politico internazionale, come quello sulla decolonizzazione, e si fa portavoce di aspirazioni e disagi condivisi dai giovani groenlandesi del XXI secolo» (p. 293).
Marianna Inserra