La gente ti sta a sentire, ma non ti ascolta mai veramente! La nuova potente voce, tenera e cruda insieme, della letteratura nordica: Niviaq Korneliussen



La valle dei fiori
di Niviaq Korneliussen
Iperborea, 28 giugno 2023

Traduzione di Francesca Turri

pp. 298
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (eBook)

«È solo che ci sono alcune persone che è come se non fossero adatte a vivere», continuo, «così come ce ne sono altre che riescono a godersi la vita solo quando hanno visto la morte da vicino, per esempio dopo essere state investite da un’auto». […] «Dico soltanto che alcune persone non sono brave a vivere come le altre, e può darsi che fosse solo questo, che lei non appartenesse a questo mondo, che non le andasse di vivere». (p. 140)

La valle dei fiori, pubblicato nel 2020 dalla groenlandese Korneliussen sia nella lingua madre che in danese, è un libro che, attraverso la storia di una ragazza di cui non conosceremo mai il nome, denuncia l’inadeguatezza del sistema groenlandese per la prevenzione della depressione e dei suicidi dei giovani. Ormai da decenni l’ex colonia danese fa registrare la percentuale più alta al mondo di suicidi: un tristissimo primato che deve far riflettere la comunità internazionale, soprattutto perché prima della modernizzazione forzata della Groenlandia, iniziata negli anni Cinquanta e preceduta dalla decolonizzazione, il numero dei suicidi tra i giovani e gli adolescenti inuit era praticamente quasi nullo. Da dove viene allora questo “male del sole di mezzanotte”, se non dalla perdita dell’identità di un popolo costretto ad abbandonare le proprie millenarie tradizioni, la propria cultura per vivere in grigi appartamenti e in un sistema che li ha abbandonati a loro stessi?

La protagonista della storia è una ragazza irrequieta che abita a Nuuk, ha una fidanzata che si chiama Maliina e che la ama profondamente: entrambe le famiglie hanno accolto positivamente e anche con calore la relazione tra le due. Tuttavia si avverte già dalle prime pagine l’indole malinconica, già tendente alla depressione, della protagonista, il bisogno di stare da sola, poiché nell’ouverture del romanzo, prima che comincino i paragrafi - in tutto quarantacinque - numerati regressivamente, la sorprendiamo a riflettere in un cimitero, la Valle dei fiori, intenta a osservare il volo di un corvo, compagno della sua infanzia e adolescenza.
La protagonista decide di proseguire gli studi in Danimarca, ma ha molta difficoltà a integrarsi e a fare amicizia con i giovani studenti che incontra ai corsi: non sa come comportarsi con quei giovani che non sono inuit come lei, non si sente capita da nessuno, soffre di insonnia e così torna a farle compagnia quello strano malessere iniziato con la morte dell’amata nonna e di alcuni cari amici d’infanzia, suicidatisi. La tutor che la segue, per quanto disponibile, le fornisce un supporto che rimane essenzialmente superficiale, legato più che altro a problemi logistici. Quando si suicida Guuju, la cugina adolescente di Maliina, la voce narrante corre di nuovo in Groenlandia per starle vicino, ma non riesce a essere sincera con lei. Mentre era in Danimarca, infatti, l’aveva tradita con una ragazza sordomuta, una certa Sofia, e all’Università non aveva ancora dato nessun esame, a dispetto di quanto racconta ai familiari, ad anaana e ad ataata, mamma e papà.
Maliina soffre tantissimo per la morte della cugina e vuole conoscere i motivi del terribile gesto, per questo si reca con la fidanzata nell’ospedale dove Guuju è stata l’ultima volta  e dopo un lungo tergiversare da parte del medico, scopre che lei aveva provato a suicidarsi con ferite da taglio già una volta, ma l’ospedale non le aveva mai offerto un valido aiuto psicologico:
«Non è che possiamo riempire l’ospedale di giovani che prendono pillole, non c’è abbastanza posto. Devono rivolgersi al comune e chiedere aiuto lì, qui abbiamo troppe cose di cui occuparci. […] Anche i genitori devono prendersi delle responsabilità». (p. 170)
Guuju, Angutivik, compagno gay della protagonista con cui condividevano da piccoli un rifugio sul Monte Corvo e tanti altri giovani adolescenti anonimi che si tolgono la vita costellano il libro, che, con una struttura originale ed efficace, apre ogni capitolo prima con titoli di notizie che annunciano la morte autoinflitta di ragazzi e ragazze, ma anche di giovani uomini e donne groenlandesi, poi con le voci di costoro una volta morti e, infine, con una voce anonima fuori campo che si rivolge a loro:
Ti ricorderemo per sempre, scrivono taggandoti su Facebook, ma truth is che solo una minima parte lo farà davvero. Gli altri continueranno a vivere, continueranno a scrollare i loro feed, e si ricorderanno di te per un attimo solo quando gli sembrerà di averti vista in città. E allora penseranno ah, no, lei non c’è più. (p. 175)

La valle dei fiori ti porta agli inferi di un sistema che non sa ascoltare, non sa fornire un valido aiuto ad una gioventù allo sbando e ciò che è terribile è che non si tratta di un libro distopico, ma realistico. I giovani groenlandesi più fragili non trovano aiuto né presso le istituzioni, né dai medici e spesso neppure dai familiari. Dietro al suicidio di una ragazza si tende a pensare subito che ci sia stato un abuso sessuale: nessuno è in grado di comprendere e di fronteggiare quel malessere nero che si chiama depressione, una malattia sociale che per quell’area del mondo è per gran parte frutto di una scelta politica della storia recente. Korneliussen, giova precisarlo, nel libro non si sofferma a ricercare le cause di questo fenomeno nella dipendenza coloniale, piuttosto semina in qualche pagina i risultati di studi e ricerche letti dalla protagonista  e che si basano sui livelli di serotonina -  alquanto bassi - nei giovani groenlandesi: sono studi che, però, non soddisfano neppure lei.

La valle dei fiori tratta una tematica decisamente cupa e triste, anche se terribilmente attuale, ma è scritto in maniera originale, superba e la voce dell’autrice è fresca, ironica, spesso umoristica che aiuta a bilanciare il tenore della narrazione. La penna di Korneliussen è di una crudezza che scortica a sangue, fa male, è corrosiva, ma presenta le giuste pause lirico-evocative che aiutano il lettore a prendere fiato. È una scrittura versatile, che si fa tenera a volte, ma è soprattutto di un realismo crudele: sicuramente è una voce nuova e talentuosa nel panorama della letteratura nordica.

Ho provato a scrivere un discorso indirizzato ai leader del mio paese, ma è come parlare con un muro […] Quindi ho deciso di dedicare questo discorso a coloro per cui scrivo. […] Abbiamo il più alto tasso di suicidi al mondo. Nel corso di diverse generazioni sono venute a mancare tantissime persone che avrebbero potuto essere ancora qui. Che avrebbero potuto vivere una vita lunga, e non diventare solo ventenni, quindicenni, dodicenni. Abbiamo un sistema che vi trascura ripetutamente quando avreste più bisogno di aiuto. Non si assumono la responsabilità, la scaricano su di voi, voi che nemmeno sapete se sarete in grado di superare la notte. (p. 298)

Queste parole sono state tratte dal discorso - che il lettore troverà alla fine del libro - che la scrittrice groenlandese ha pronunciato in occasione del conferimento, nel 2021, del Premio del Consiglio Nordico, il più prestigioso riconoscimento letterario della Scandinavia, prima volta in assoluto per un romanzo groenlandese. Una vittoria ancor più importante, se si pensa che Korneliussen appartiene alla generazione millennial e alla comunità lgbtq e perciò, come fa notare Francesca Turri nella sua postfazione, la sua opera «offre uno sguardo inedito su discorsi che pervadono il dibattito politico internazionale, come quello sulla decolonizzazione, e si fa portavoce di aspirazioni e disagi condivisi dai giovani groenlandesi del XXI secolo» (p. 293).

Marianna Inserra