Il guerriero di
porcellana
di Mathias Malzieu
Feltrinelli, 2023
Traduzione di Cinzia
Poli
pp. 192
€ 17,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Dopo l’intenso memoir Vampiro in pigiama,
Mathias Malzieu torna a trattare in questo nuovo romanzo temi autobiografici, risalendo però indietro nel tempo, a esplorare
la storia del padre bambino,
travolta in modo drammatico tanto dagli eventi storici (il deflagrare della
seconda guerra mondiale) quanto da quelli personali (la morte durante il parto
della madre e della sorellina che avrebbe dovuto nascere). Prostrato dal dolore
e costretto a tornare a combattere al fronte, il genitore rimasto vedovo
sceglie di mandare il piccolo Mainou nella casa della nonna materna, che si
trova però oltre la linea di
demarcazione, in quella Lorena
negli anni continuamente passata di mano, e ora occupata dai nazisti. Da qui, per non dimenticare, il figlio scrive
le lunghe lettere alla madre di cui
si costituisce il romanzo («A volte il
tuo ricordo sbiadisce come le foto con il passare del tempo. Allora ti scrivo e
il processo di sparizione rallenta», p. 58).
Colto dal dramma sul limitare dell’infanzia,
Mainou è costretto a diventare grande in tutta fretta, già dentro il carretto
coperto di paglia in cui è obbligato a trattenere il fiato e gli starnuti per
non farsi sorprendere dai tedeschi durante il viaggio. Lo spostamento dai
luoghi sereni della sua vita precedente a Montpellier alla campagna, selvatica
e ancora inesplorata, che pur con il conflitto in corso riesce a generare a
tratti atmosfere fatate, comporta per il bambino un cambiamento radicale, anche interiore:
L’io di due giorni fa mi sembra un cugino alla lontana. Gli voglio bene, ma non so più che cosa dirgli. (p. 43)
L’effetto di straniamento è immediato,
durissimo adattarsi alle nuove, rigide regole. Nonostante tutti i tentativi di
distrarsi per soffocare il “mal di domande”, che sa di rabbia e
nostalgia, Mainou continuamente si interroga e il suo interrogarsi martella
e riverbera, e raramente trova risposta. A poco servono i tentativi di
consolazione dello zio Émile, figura splendida di sognatore all’interno del
romanzo, che prova a regalare al nipote degli spazi di libertà nella reclusione che gli è imposta. Tema
trasversale alla narrazione è infatti proprio quello della resistenza, sia concreta che emotiva, di fronte alla violenza
dilagante. Ciascuno dei personaggi la persegue, in modo personale e
assolutamente unico, nell’attesa che arrivi la giornata, radiosa, della Liberazione,
in una primavera che esplode di vita.
Il
piccolo Mainou, spirito sensibile, occhi e orecchie sempre all’erta, inizia a
percepire i segreti oltre il non detto
dei suoi famigliari: la Bibbia sottratta al fuoco della zia Louise, le frasi
misteriose che arrivano dalla radio e filtrano attutite attraverso le pareti, i
passi sconosciuti nella soffitta chiusa a chiave…
Il linguaggio adottato da Mathias Malzieu è mimetico rispetto alla prospettiva infantile,
ma non rispetto all’ambientazione scelta: Mainou parla e ragiona come farebbe
un ragazzino d’oggi e questo, se si supera l’iniziale spaesamento, genera in
verità nel lettore un immediato senso di
empatia e conferisce forza alla narrazione. Il confronto con la brutalità
della guerra, il distacco dai propri cari e la necessità di radicarsi in un
contesto nuovo sono infatti espressioni di un’esperienza universale. La
quotidianità appare filtrata attraverso lo sguardo bambino, che tutto
trasfigura, ma senza cedere all’ingenuità. Quelle di Mainou sono piuttosto strategie di sopravvivenza: l’immaginazione
sfrenata diventa via di fuga, modo di addolcire un reale che pure non viene
mai negato.
Sei ancora morta. Forse mi rassegnerò all’idea solo quando morirò anch’io. Nel frattempo, credo di voler scrivere un libro. È dolce scrivere un libro. Si può sempre ricominciare da capo. (pp. 58-59)
A
differenza della Storia, dei grandi eventi, della morte, la scrittura si può controllare, la si può piegare a sé, può plasmare
un mondo a propria misura. Le parole, specie le parole poetiche, come insegna lo zio Émile, sono costruttrici di sogni e possono alimentare l’amore (per
questo, con l’aiuto esterno di un novello Cirano, lui ha allestito un «traffico di poesie», che neppure i
nazisti possono ostacolare, con cui sedurre la bella Rosalie). Le storie sono
anche la personale ribellione di Sylvia, annidata nel sottotetto, il suo «angolino di libertà nascosto in testa»
(p. 90), quello che nessuno può toglierle mentre le viene tolto tutto il resto.
Le storie salvano Mainou, e salveranno un giorno anche suo figlio Mathias, che
svela nel toccante epilogo le dinamiche che hanno portato alla condivisione da
parte del padre, il “guerriero di
porcellana” del titolo, delle vicende della sua infanzia e quindi alla
nascita del romanzo.
Nell’affrontare la nuova opera di Malzieu, è
importante aver chiaro cosa non è: non è un romanzo storico, anche se storico è
il fondale. È, piuttosto, un romanzo di
formazione fortemente introspettivo. L’autore dimostra, come già aveva
fatto ne La meccanica del cuore
(recensito qui), di saper indagare le
contraddizioni più intime della crescita, le ambiguità e le oscillazioni
dei sentimenti, l’esperienza dei primi palpiti amorosi, i sensi di colpa e la
gioia viscerale che questi alimentano. Lo fa con uno stile visionario, immaginifico, ricchissimo di metafore. Lo fa
con la delicatezza e la poesia che ben padroneggia, grazie alla sua esperienza
nel mondo della musica. Ne deriva una lettura che scorre piacevole e a momenti
commovente, nonostante qualche incongruenza cronologica che avrebbe potuto
essere evitata con un editing più puntuale. Quello che rimane è il forte senso di vitalità che emerge
dalle pagine, l’impressione di una rinascita, dell’uomo e della natura, che
lascia un segno concreto ed evidente sull’esistenza dello stesso Malzieu.
Carolina
Pernigo