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«Uno spaccato di vita trans»: "Nevada", di Imogen Binnie. Tra questioni di genere, stereotipi, identità.

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Nevada
Imogen Binnie
Feltrinelli, giugno 2021

Traduzione di Silvia Rota Sperti

pp. 256
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Mi occupo di libri da moltissimo tempo ormai e quando si tratta di recensioni, approfondimenti, dialoghi con gli autori, cerco sempre di approcciarmi al testo e all’autore con la dovuta oggettività, immaginando come tale libro si collochi nel più generale discorso letterario. Questo per me significa anche lasciare un certo lasso di tempo tra la conclusione della lettura e la scrittura dell’articolo, allo scopo di raggiungere il dovuto distacco emotivo, necessario nella mia esperienza a non limitarsi a una lettura “di pancia”. Ci sono poi dei testi che toccano corde più personali di altre, si mescolano all’esperienza umana, a un certo sentire, alla sensibilità verso talune tematiche; ma non sono mai stata il tipo di lettrice che ha l'assoluto bisogno di ritrovarsi tra le pagine, di leggervi qualcosa di sé, anzi, è proprio nella distanza, nell’allontanarmi dalla mia personale comfort zone che trovo un dialogo più vivo e interessante con il testo e il suo autore.
Ho fatto questa premessa – nella quale lancio anche qualche amo che spero possa trasformarsi in dialogo tra me e voi lettori di CriticaLetteraria, qui o tramite i nostri canali social – perché la lettura di Nevada, il romanzo di Imogen Binnie in Italia recentemente pubblicato da Feltrinelli, ha richiesto da parte mia una particolare forma di cura, di rispetto per il testo e l’argomento trattato.

Nevada è uno «spaccato di vita trans», un romanzo che abbatte moltissimi stereotipi e ha permesso a me – cisgender, eterosessuale, donna – di confrontarmi con una realtà di cui non ho alcuna esperienza diretta, ma che riguarda anche me in qualche modo, come essere umano, come donna, come persona che vive nella società contemporanea. Ciò che più di tutto mi ha colpito è proprio l’inquadratura di questa storia: di Maria, la trentenne protagonista del romanzo, Binnie non ci racconta – se non per sommi capi – il delicato momento di scoperta, la transizione, il conflitto con una società ancora assurdamente bigotta e intollerante; nessuna epica epifania, nessun dramma o violenza. No, quello che Binnie fa è, a mio parere – ma anche a detta di molti critici più autorevoli e più vicini all’argomento trattato – ben più “sovversivo”, politico perfino: Nevada racconta la quotidianità di una donna trans. Questo è il cuore, il centro nevralgico della narrazione, ma allo stesso tempo è solo un dettaglio, un qualcosa della protagonista come potrebbe essere il suo colore di capelli o la pizza preferita. Perché, a osservare questa storia dall’alto e da quella che dicevo essere la mia di posizione ed esperienza personale, è soprattutto una sorta di romanzo di formazione in divenire, il racconto della fine di una relazione soffocante, della ricerca di sé e del proprio posto nel mondo (anche attraverso un viaggio, come nella miglior tradizione statunitense), della propria dimensione di felicità.
E di un incontro, con James, in un’amena cittadina del Nevada appunto, che apre alla seconda parte della storia, a un punto di vista narrativo diverso e a ulteriori spunti e riflessioni intorno al tema dell’identità.
Non appena Maria Griffiths vede James Hanson al Walmart di Star City, Nevada, pensa: questo qui è trans e non lo sa ancora. (p. 171)
Ma torniamo un attimo al discorso sul racconto della quotidianità, al potenziale esplosivo e politico di questo romanzo: è proprio qui, nella fusione degli elementi di cui sopra, nel racconto privo di retorica o sentimentalismi che Binnie riesce a costruire un romanzo impregnato di realismo, bellezza e ferocia. Non fa retorica, non è una dichiarazione d’intenti né un romanzo di denuncia politica e sociale in senso stretto, ma è nella narrazione di quel quotidiano – le iniezioni di ormoni, il rapporto con gli altri, la comunità queer, i rituali beauty, l’abbigliamento – che Nevada si colloca perfettamente nel discorso letterario sì ma soprattutto sociale e politico appunto.

Nevada si inserisce nel dibattito letterario e sociale in un momento storico tanto particolare e complesso come quello attuale, in cui è purtroppo necessario e urgente parlare di «trans panic», diritti negati e cancellati, da una sponda all’altra dell’oceano. Maria vive a New York, intorno agli anni duemila – il libro è stato per la prima volta pubblicato nel 2013, poi una nuova edizione pochi anni fa e ora per la prima volta tradotto in italiano – ma, tolti alcuni riferimenti tecnologici che ci lasciano intuire in quale decennio ci troviamo, la maggior parte delle questioni che emergono rimangono le stesse di oggi. Attraverso il racconto di Maria, Binnie contribuisce in modo chiaro e netto a combattere molti dei pregiudizi – e, vorrei dire, l’ignoranza – intorno all’essere trans che oggi si fanno quanto mai urgenti per via del sopracitato «trans panic» dilagante.
Le donne trans nella vita reale sono diverse dalle donne trans che si vedono in televisione. Tanto per cominciare, tolto lo smarrimento, gli equivoci e il mistero, sono noiose come chiunque altro. Oh, nevrosi! Oh, trauma! Oh, guardatemi, ho un passato incasinato e non ne sono ancora venuta fuori! Nonostante quello che potrebbero farvi credere certi talk show pomeridiani e film idioti, qui non c’è nulla di particolarmente interessante. (p. 18)
E la narrazione si inserisce proprio lì, in quel nulla di «particolarmente interessante», nella vita di una trentenne come tante altre, alle prese con la fine di una lunga e logora relazione, la perdita del lavoro, la ricerca di sé, le scelte irresponsabili, il desiderio di fuga. Credo che sia un testo fondamentale per chi finalmente possa riconoscervisi e che possa dire «ecco, finalmente, sta parlando di me», ma anche per chi da questa parte vuole fare tabula rasa di stereotipi e ritratti caricaturali del mondo queer. Testi come questo aprono squarci su una realtà diversa dalla nostra, allenano l’empatia e, cosa importante, ci spingono a mettere in discussione molte delle nostre convinzioni.

Storia e modo di raccontarla vanno qui necessariamente a intrecciarsi in un modo che non poteva essere altro: narrata in terza persona, è una voce sempre vicina ai personaggi che si alterna nel punto di vista ora di Maria, poi di James, in un capito anche di Steph (l’ex ragazza di Maria), in quello che diventa a tratti una narrazione tra flusso di coscienza e monologo interiore, pensieri e dialoghi che in alcuni passaggi sembrano farsi strada in presa diretta. La traduzione di Silvia Rota Sperti si confronta sapientemente con una materia complessa, la resa è puntuale, viva. Il romanzo di Binnie è stratificato, imperfetto e potente, si apre a molteplici riflessioni.

Dicevo in apertura di come certi argomenti tocchino corde più o meno personali: ecco, se Nevada mi ha permesso di uscire dalla mia comfort zone e capire meglio la pluralità della società in cui vivo, di certo riconosco in alcune riflessioni di Maria tante delle mie stesse impressioni.
Ecco com’è essere una donna trans: non sai mai se gli altri sanno che sei trans o cosa può significare per loro. Hai una posizione sociale strana e incerta […] Le donne trans devono sorbirsi la stessa merda di chiunque al mondo non sia bianco, etero, maschio, di sana costituzione o in qualche modo privilegiato. (p. 20)
Penso spesso ultimamente al privilegio, dopo un’infanzia passata nella convinzione che tutto sarebbe stato possibile, che mi trovano nella parte “giusta” del mondo, che avrei avuto le stesse identiche possibilità dei maschi. Da adulte sappiamo bene che non è esattamente così. Sappiamo bene che questo discorso vale fintanto che non ti capita nulla di brutto – e conosciamo da sempre quella sensazione di pericolo costante –, finché ci comportiamo come ci si aspetterebbe da noi, perfettamente calate nel ruolo di donna-moglie-madre. Sappiamo bene che il privilegio vero nella nostra società è possedere tutti e quattro quegli elementi lì: maschio, bianco, etero, normodotato. Se ne manca anche solo uno, le cose si complicano. Se quello che manca è il primo e sei una donna, si apre un ventaglio di pericoli, discriminazioni, stereotipi che sono all’ordine del giorno. Rifletto su questo, sul privilegio, da molto tempo, e leggere Nevada è stata anche l’occasione per farlo da un’angolatura ancora diversa, intrecciando a esso il discorso sul genere, sull’identità, sull’orientamento sessuale – a tal proposito: uno dei testi più illuminanti sull’argomento resta per me Questioni di un certo genere, nato dalla collaborazione tra il Post e Iperborea.

Sta tutto qui, a mio avviso, il senso della lettura, nella capacità di smuovere le nostre convinzioni e magari portarle anche fuori nel mondo reale o perlomeno aiutarci a guardarlo in modo diverso, più onesto e coraggioso. Nevada non sarà un romanzo perfetto – confesso che il finale mi ha lasciato non poche perplessità sulla sua resa letteraria – ma è senza dubbio un romanzo realista e attualissimo, capace di rompere un certo ordine costituito e abbattere stereotipi.
Tra qualche tempo forse dimenticherò la trama, non di certo lo sguardo sulle cose.

Debora Lambruschini