Apologia di una Napoli teatralizzata e guerriera: "La danza sul vuoto" di Vittorio Viviani


La danza sul vuoto
di Vittorio Viviani
Neri Pozza, Giugno 2023

pp. 448
€ 19,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Una scrittura alta, densa che propone una penna non per tutti, è la cifra stilistica di La danza sul vuoto di Vittorio Viviani, una storia che, nel suo imprevedibile e accidentato sviluppo, acquista una portata epica.
Dalla Napoli pre-fascista a quella "americana", dall'epoca del delitto Matteotti allo sciopero universitario del 1949, emerge in queste pagine tutta l'immobilità di una città disillusa e riservata nella sua natura più sfaccettata, con i personaggi più disparati, portatori di un'interiorità devastata socialmente e moralmente, soprattutto a causa di un dopoguerra ancora più drammatico alla presenza delle forze alleate.

In queste pagine c'è tutta la Napoli selvaggiaspregevole, cruda, verde ed esiliata. Vittorio Viviani - drammaturgo, scrittore di libretti d'opera, giornalista, filosofo, romanziere e "umanista amante di tutto". come lo definisce la figlia Corallina Viviani - guarda la Napoli degli anni Cinquanta che cerca di rinascere dalle macerie attraverso le peripezie di un fidanzamento interrotto tra la ballerina Lily e lo studente universitario Luciano, erroneamente circoscritto e ostacolato dalle vicissitudini quotidiane di una famiglia di artisti poveri che vivono in una casa "sopra Toledo", a Napoli. 

L'autore, figlio di Raffaele Viviani, però è completamente assorbito dalla scrittura della Storia del teatro napoletano, e lo si nota soprattutto nella descrizione di tutti quei luoghi che danno vita alle storie dei personaggi: dalle sale del San Carlo alle canzoni esercitate al pianoforte, dalle prove dei costumi alla spasmodica voglia di Lily di diventare una ballerina professionista:
Quel sentimento diventava la sua vocazione: quando attratta dal fascino delle coreografie, sognava la sua presenza fra le ragazze del ballo, come un atto di giustizia, sentito come amore filiale. Ma allora non si rendeva conto, come doveva accadere due anni più tardi, di quanto coraggio le occorresse per affrontare un mestiere così ingrato; il quale chiedeva spasmi alle game e alle braccia, da portarsi a casa, come una punizione. Disciplina, una durissima regola: ma per lei, la felicità. [...] Riposata, non desiderava che di provare nuove stanchezze, di sottoporsi a nuovi sforzi, anche se brutalmente puntuali; spietati e aridi come pura ginnastica. Sapeva che dopo le sarebbe venuta una nuova ebbrezza; dalla ricarica lenta delle sue energie giovanili. (p. 27)
Una storia, questa, che va oltre la trama. È una rete di pensieri e di immagini che, aggrovigliandosi per tutta Napoli, fa pensare a un incrocio di ruoli e storie che non si afferrano, si bloccano l'un l'altro ma non si arrendono, come la scrittura del suo autore. Viviani con La danza sul vuoto ricerca un linguaggio che, attraverso la poesia, permette di scrivere in prosa. In queste pagine, è proprio il linguaggio a diventare strumento fondamentale per entrare in ogni vita, tutte fatte di sano e innocuo populismo, ma anche borghese disprezzo misto a insurrezione, una lingua che è anche di difficile comprensione: verace, del popolo, del sottoproletariato. Ciò che emerge maggiormente da questa storia di intrighi e continui tuffi nel passato è proprio la capacità di Viviani nel raccontare la città fin dentro le sue viscere. L'autore napoletano sembra aver vissuto appieno certe strade, anche di notte, facendo sua la disperazione per una rinascita possibile che sembra non verificarsi mai. Egli sa di vivere in un posto critico quanto affascinante, ma è pur sempre il suo posto perché a volte Napoli è solo una questione nazionale.

La danza sul vuoto offre un viaggio emozionante nella Napoli del dopoguerra, mettendo in luce le sfide e le esperienze di una famiglia e di una città in un momento cruciale della narrazione italiana. La storia sembra essere costruita come un alternarsi di avvenimenti che, nell'arco di un solo giorno, coprono dieci anni di storia. Le parole di Viviani riescono a portare la borghesia al San Carlino mentre i suoi spettacoli si trasformano negli anni nelle storie di guappi, di luciani e di sciantose, perché sul palcoscenico, come nei libri, il suo inquieto proletariato diventa protagonista. Una storia densa di umanità, di personaggi che si muovono dentro e fuori il vuoto di una nuova era, ai margini di una modernità degradata e sfuggente che ancora è inafferrabile, ma risoluta e impaziente.

Serena Palmese