Tutte le poesie
di Sibilla Aleramo
a cura di Silvio Raffo
ilSaggiatore, luglio 2023
pp. 400
€ 26 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)
Sibilla Aleramo non è stata la prima donna della letteratura italiana. Prima di lei si erano già avute Matilde Serao, Grazia Deledda. Eppure, a distanza di centodiciassette anni dall’uscita del suo primo romanzo, Una donna, la si legge ancora e ancora se ne parla come di una scrittrice eccellente e quasi prima in tutto quello che ha fatto, protofemminista e visionaria. Lei stessa, con poca reticenza, amava definirsi «sola donna poeta oggi nel paese». L’aspetto profetico e divinatorio, d’altronde, le è sempre stato caro, sin dalla scelta dello pseudonimo per rimpiazzare Rina Faccio: «Sibilla come la veggente, Aleramo perché anagramma di Amorale. Nel nome, è il destino che si scelse». Così scrive Ilaria Gaspari nella prefazione al volume Tutte le poesie appena pubblicato da ilSaggiatore: raccolte tutte assieme, le raccolte poetiche di Aleramo formano una linea cronologica lungo la quale si assiste all’evoluzione dello stile letterario e degli interessi filosofici e morali della poetessa.
Scorretta, provocatoria e ribelle, soprattutto passionale: queste cose era Aleramo, evasa da una vita di violenze e monotonia, alternate e inflitte dagli uomini che la circondavano, nelle quali vedeva i germi di un'imminente follia depressiva.
Cresce in una famiglia instabile: una madre fragile, che si getterà dalla finestra in un fallito tentativo di suicidio, e un padre che al contempo maltratta la madre e la figlia incoraggia a lavorare per diventare una donna indipendente. Frequenta solo le elementari, a quattordici anni entra in fabbrica. A sedici, la violenza carnale inflitta da un collega del padre, e il successivo matrimonio riparatore con il suo stupratore: da lì lo scivolamento, giovanissima, in una vita soffocante accanto a un uomo insopportabile. La scrittura già si delinea come unica evasione possibile, ma così isolata dall’Italia intellettuale Rina può solo contare su una scrittura diaristica, confessioni dell’intimo per una lettura intima, e qualche articolo inviato per posta a periodici femminili socialisti.
Dopo qualche anno di matrimonio e un figlio, Rina lascia la famiglia e va finalmente a Roma, dove la sua metamorfosi in Sibilla coincide con l’inizio della frequentazione dell’ambiente culturale romano e della relazione con Giovanni Cena, che la accompagnerà nella sua formazione intellettuale e letteraria e le garantirà la possibilità di pubblicare Una donna. Non a caso il fatto di essere autodidatta, e di avere avuto un battesimo letterario già in età adulta, sarà ricordato da Sibilla come motivo della sua tardiva apertura alla poesia. Quando arriva, dopo le relazioni intrecciate con tanti poeti (Damiani, Boine, Papini, soprattutto Dino Campana), è quasi una concessione che Sibilla si permette: «Fino ad allora m’ero ritenuta negata alla poesia […]. Semplicemente, io non osavo…», scrive in Gioie d’occasione e altre ancora.
Da allora, la produzione poetica sgorga continua e la accompagna fino agli ultimi anni di vita. Selva d’amore (1947) è la raccolta più importante, che accoglie le poesie dal sentimento amoroso fiammeggiante della giovinezza: contiene le sezioni Momenti, la silloge di poesie vibranti di emozioni, Poesie, Frammenti, Sì alla Terra, Imminente sera.
Nell'altra e ultima raccolta, Luci della mia sera (1956), che racchiude la silloge Aiutatemi a dire, il discorso si fa più esplicito sul piano politico e morale.
Silvio Raffo, che ha curato il volume collettaneo, parla di un «binomio arte-vita, per di più coniugato al femminile» che contrasta con «un modo assai maschio di porsi in discussione con la vita»: orgogliosa della propria bellezza e capacità letteraria, Sibilla rifugge la passività nella quale il matrimonio relega tante donne, agisce con coraggio (nel 1925 sarà tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce) e scrive a cuore aperto, non obbedendo al altro monito che quello dettato dal suo sentimento:
Anche quest’ore[…] Mi tendo a te che ho colpito,da lontano mi tendopiù pulsante di quando ridevamo nudi nel sole,la fronte più affocata, insaziata.Dono d’angoscia gemente che pur anche si dissolverà,lungi di febbre ansito verso la tua pena… […] (p. 73)
La sua scrittura è calcata e passionale, ma almeno nelle prime poesie d’amore coltiva atmosfere evanescenti, un’estetica quasi decadente di amori languidi bruciati al sole. Modello formale è spesso D’Annunzio, per le sfumature di luce del paesaggio naturale primaverile e per i riferimenti alla mitologia greca in alcuni componimenti («Eleusi Olimpia Nauplia Delfo / da rupi folgoranti /di sangue e nembo / incantesimi vaporando […]»). C’è invece il Montale de La bufera dietro alle molte riflessioni sul tempo trascorso e irrecuperabile («Arrivo a te, / e il compiuto arco degli anni / mi divien corona lieve), riflessioni che punteggiano la sua poesia più matura e nostalgica.
Così raccolte in unico volume, infatti, le poesie di Aleramo testimoniano uno scivolamento palpabile dalle pulsioni e speranze euforiche della giovinezza in uno sguardo più consapevole e rabbuiato sulla propria vita e sulle sorti del mondo, attraversato dalla guerra e uscito corrotto. Stupisce non trovare, negli anni dell’attivismo politico e femminista, alcuna traccia di ciò nelle poesie, che si mantengono sul piano sentimentale e amoroso in particolare: «efflorescenze liriche di un viaggio ininterrotto nei meandri di un lussureggiante labirinto», così Raffo definisce le poesie di Selva d’amore. Ma forse, a ben riflettere, non è una mancanza di Aleramo, al contrario è una conferma della sua fede nella libertà per una donna di scegliere chi essere, e di sottrarsi alla categorizzazione rigida della propria persona. Sibilla può partecipare al I Congresso nazionale delle donne italiane nel 1908 e al contempo ritagliarsi nel verso uno spazio di intimità, una "stanza tutta per sé", in cui dare ordine e grazia alle agitazioni dell'animo.
Senza paroleSenza parolesenza parole in petto,anima spodestata sono,nessuna antenna per richiamarti,solo questo mio silenzio,groviglio in cui ardo [...] (p. 120)
Quando, negli ultimi anni, la Storia e la politica si infiltrano nella sua poesia, lo fanno però in modo troppo paradigmatico, e l’esplicita volontà di Aleramo di lasciare un testamento alle generazioni future danneggia il ritmo e la qualità eterea della sua poesia.
Quel giorno il mondo cantò ( 8 maggio 1945)[…] Ben presto nel mondo lo spettro si riaffacciail sempre incredibile spettro della guerra riappareor lungi or prossimole alpi e gli oceani sussultanole gioie e i dolori stessi dei singoli destinidiventano pallide larve sotto il cielo. […] (p. 321)
Ancora più esplicita è la lettera rivolta alla «Donna nel domani del mondo», in cui incanala in un augurio per il futuro la lezione del proprio attivismo per la causa femminista, la sua difesa della libertà di vivere, amare e morire che deve essere concessa a ogni donna come lo è agli uomini: in questa poesia il passaggio di staffetta è tematizzato («Incinta sono di te, / donna che vivrai nel domani del mondo»), e con esso l’augurio che questa donna sia «armoniosa sovrana […] di libertà e purità».
Infine, ciò che rimane dopo un’immersione nell’universo poetico della Aleramo è l’amore eterno per la scrittura e la fiducia nel suo potere: di salvezza, di autoaffermazione, di consolazione. La poesia, soprattutto, come unico canale comunicativo per l’Amore e con l’Amore, in cui Aleramo ha creduto per tutta la vita, fino all’ultimo:
Tu, poesia?E se fossi tu, poesia,a farmi vincere?Dove non valse il pianto,dove non valse l’umile attesa.Con la tua fiamma, poesia,ch’egli in me un poco amava.Fossi tu a toccarlo, a riportarmelo! […] (p. 200)
Michela La Grotteria