[…] un viaggio per me non può mai significare altro che digressione, l’eterno labirinto che il viaggiatore si costruisce lasciandosi sedurre ogni volta da una deviazione e dalla deviazione della deviazione, dal mistero di un nome sconosciuto sulla guida, dal profilo di un castello in lontananza che quasi nessuna strada raggiunge, da ciò che potrebbe esserci da vedere dietro la prossima collina o montagna. (p. 396)
Verso Santiago è stato pubblicato per la prima volta nel 1992 e raccoglie le impressioni di viaggio, le riflessioni, gli spostamenti che l’autore scrisse durante i suoi viaggi in Spagna, dal 1981 al 1992: Nooteboom attraversò il paese in auto, alla ricerca degli eremi più sperduti, i luoghi deserti, quelli dove il tempo sembrava essersi dissolto, liquefatto, come gli orologi di Dalì. E non rimase deluso. I paesi mediterranei, per lui che veniva dal «basso delta nordico» (p. 10) rappresentano un’attrattiva troppo grande:
Quando nel 1953, a vent’anni, visitai per la prima volta l’Italia, pensavo di aver trovato tutto quello che cercavo da sempre, pur senza rendermene conto. Lo splendore mediterraneo mi colpì come una bomba, tutta la vita come un geniale teatro pubblico in un trascurato scenario artistico millenario. I colori, i cibi, i mercati, i vestiti, i gesti, la lingua, tutto sembrava più raffinato, più intenso e vivace rispetto al basso delta nordico da dove venivo: ne fui soggiogato. (p. 10)
In seguito, in età più matura, riuscirà a farsi affascinare anche dalla Spagna, fino a esserne conquistato per sempre. Ma attenzione: «Chi ha percorso soltanto le tappe obbligate, non ha visto la vera Spagna».(p. 11). Nelle sue pagine, al suo fianco, vedremo coi suoi occhi la magia e lo splendore di una terra impareggiabile. «La Spagna è brutale, anarchica, egocentrica, crudele, la Spagna è pronta a gettarsi nel baratro per un nonnulla, caotica ed irrazionale. Ha conquistato il mondo e non ha saputo che farsene, è legata al suo passato medievale, arabo, ebraico e cristiano […]» (p. 11). Una terra inafferrabile, ricca di storia, di arte, di paesaggi inospitali, con gli occhi sull’oceano: la Spagna con la Reconquista è stata soprattutto baluardo della cristianità contro gli arabi, ha difeso la religione e la cultura cristiana di tutta Europa. È sempre stata un paese che rimane unito nei grandi slanci per poi dimenticarsi della sua grandezza e crollare sui particolarismi che gli sono connaturati. È uno stato così particolare e unico da non sembrare parte dell’Europa, dirà in più occasione il viaggiatore.
Il racconto di viaggio comincia nella terra d’Aragona, a Soria: il tempo qui si è completamente dissolto, tanto che «sulla cartina, il viaggiatore vede le aree bianche sempre più grandi. Non c’è nulla di cui riferire, si sente perso in un abisso di secoli, assediato dalle rovine» (p. 15). Tutto fermo, immobile come nei secoli precedenti. Rimangono, però, innumerevoli eremi, tutti da scoprire, come il convento di Verula, che offre a Nooteboom occasione per riflettere sulla portata che ebbe nella cristianità la regola di san Benedetto da Norcia e le differenze con lo stile di vita di san Bernardo da Chiaravalle e i trappisti.
Con l’auto piena di libri, destinata a riempirsi di tanti altri volumi, lo scrittore ammira lo stile romanico di costruzioni sconosciute, prova a leggerne le iscrizioni, i simboli. Quello che un tempo era patrimonio e linguaggio comune, adesso è oggetto di studi specialistici e di nicchia, si rammarica il viaggiatore curioso. E così, riflettendo sulla battaglia di Badajoz dove il re d’ Aragona, Alfonso IV, in una delle sue «crociate interne» (p. 57) fu costretto alla ritirata da Saragozza per mano degli almoravidi, dinastia berbera originaria del deserto del Sahara, Nooteboom scrive:
In questo senso si può affermare che il passato non esiste. Esistono immagini, ma non parlano il nostro linguaggio. Sono diventate arte, oggetti preziosi, certamente non riproduzioni della crudeltà, del caos, del fetore e della morte di una battaglia come quella, senza la Croce Rossa. […] Tutti quei blasoni a noi incomprensibili allora «rappresentavano» i cavalieri, in modo letterale: grazie a quei simboli chiunque sapeva chi cavalcava, chi assaliva, chi cercava aiuto o moriva nascosto nella sua corazza. (p. 59)
In certe chiese aragonesi la pietra è scolpita fino a farla diventare pizzo, vi è sovrabbondanza di decorazioni, di cesello, di filigrane. Il dialogo dello scrittore con l’arte è ininterrotto: Velázquez, Zurbarán. Incantato per l’inganno dello specchio de Las meninas del primo artista, ammirato per quello che definisce «monumento tessile» nell’opera San Serapio del secondo.
In tempi in cui la gente si avvolgeva in metri e metri di tessuti i pittori dipingevano molta stoffa, ma mai nessuno come Zurbarán. Nelle sue opere la stoffa non è più un attributo, ma un elemento a sé. Togli la testa e le mani del martire Serapione e rimane un monumento tessile, una costruzione che, da qualsiasi punto la osservi, ti si presenta come un avversario tuo pari e con i suoi enigmi si sottrae al tuo sguardo. (p. 98)
Nel libro ci sono delle fotografie in bianco e nero, ma il lettore farà bene a cercare man mano su Google i luoghi e le opere d’arte che a suo tempo sono state ammirate dallo scrittore. Così la lettura diventa più coinvolgente, più completa, ve lo garantisco. Ho cercato in rete anche l’immagine della “svastica rotante”, una raffigurazione particolare (di arte gotica) sulla pietra d’altare nell’eremo in stile preromanico di Santa Maria di Lebena, in Cantabria:
La grande ruota è ferma, ma sembra girare. Dal centro partono sedici linee curve, una svastica in movimento. […] sedici rami, raggi, piste, steli, eleganti linee curve, o come si chiamano. E anche il numero, ovviamente, non è casuale, le decorazioni gratuite non esistevano, ogni cosa aveva qualcosa da dire. Sedici, il quadruplo di quattro. Ma dove voglio arrivare? Niente, voglio ascoltare. […] Gorgoglìi bizantini, eredità su eredità, giubilo mozarabico, fischi copti, mesopotamiche nenie, balbettìi celtici, nessuno esclude la presenza dell’altro su questa terra di tutti che si feconda da sé. (p. 245-246)
Un viaggio dentro a un altro viaggio: ogni cammino sulle diverse strade di Spagna alla scoperta dei suoi innumerevoli scrigni di tesori è un affluente che si dirige e si getta insieme agli altri nel canale principale, il camino de Santiago, che Nooteboom visiterà a conclusione del suo itinerario in auto nel 1992. Questo libro è consigliato a chi ama non solo la narrativa di viaggio - leggere di itinerari e descrizioni di luoghi -, ma è indicato anche a chi cerca pagine ricche di commenti che spesso sembrano di flussi di coscienza di un viaggiatore curioso, colto e contemplativo.
Marianna Inserra